Gazzetta Musicale di Milano, 1872/N. 17

N. 17 - 28 aprile 1872

../N. 16 ../N. 18 IncludiIntestazione 22 dicembre 2021 25% Da definire

N. 16 N. 18

[p. 137 modifica]Col prossimo numero daremo ai signori Associati le Tavole X e XI dell9Album di Autografi. Avvertiamo inoltre che è quasi ultimata la stampa della Cronologia dei RR. Teatri di Cambiasi, e del Piccolo Romanziere di JPan&acchi, i quali verranno spediti nel prossimo mese a quegli Associati che ne fecero richiesi a come premj. ANCORA DELLE IDEE MUSICALI DI GIUSEPPE MAZZINI Lo zelo dell’egregio apostolo che detta le appendici musicali della Perseveranza mi riconduce su questo tema. Il dottor Filippo Filippi che non si lascia mai sfuggire l’occasione di fare un proselito al suo Maestro ha compito testé con molto successo la conversione d’un morto. Ad operare il miracolo non gli occorse gran cosa; lesse alcune pagine delle scritture del defunto, si fermò ad alcuni frammenti dove il pensiero non apparisce molto precisamente determinato, li riportò nelle colonne dell’appendice e giurò ai lettori che quelle scritture non sono altro che l’Apocalissi del Wagnerismo. Siccome ai morti non può venire in capo di protestare nemmeno contro Wagner, e siccome quel morto si chiama Mazzini, così mi credo in dovere di porre in chiaro alla mia volta, come qualmente per servirmi delle parole di Filippi «il grande italiano divinasse più di trent’anni fa le teoriche della nuova scuola del "Wagner al punto che il Wagner stesso oggi le sottoscriverebbe». Nel mio primo articolo sulle idee musicali di Mazzini, ho sfuggito per quanto mi fu possibile il sistema pericoloso di riportare a spizzico le parole di Mazzini, e non l’ho fatto che quando le cose premesse mi parevano avere determinato l’intendimento. Le citazioni non dovrebbero mai essere che illustraz’oni d’un pensiero, ma evidentemente non possono sostituirsi al pensiero, il quale nasce dal confronto di tutto lo scritto, di tutti gli scritti, di tutte le idee dello scrittore. Ora io domando all’egregio appendicista: qual’è l’intendimento di Mazzini? Crede egli in buona fede che colle parole musica sociale non si possa intendere altro se non musica di Vagner? È pronto ad asserire con una mano sul Vangelo, - e sia pure il Vangelo del suo Messia - che musica europea sia assolutamente sinonimo di musica dell’avvenire? E se egli è penetrato nel fondo dell’idea mazziniana, e vi ha visto ciò che io vi ho visto, cioè una musica che è pensiero ed azione insieme, che può muovere il mondo, consigliare gli uomini, fare la rivoluzione, fare la patria, fare l’umanità, e se egli ha battezzato tutto ciò utopia, come io stesso ho fatto, crede perciò di poter dire a quel morto: badate, ciò che voi avete domandato alla musica è un sogno, una chimera; per non spendere inutilmente la vostra profezia, accettate Wagner, ed io parlerò del vostro ingegno profetico e della vostra divinazione nella prossima appendice della Perseveranza? Vediamo. Mazzini disse chiaramente, (e le pagine più chiare non sono citate dall’egregio Filippi), che il dramma musicale dei suoi tempi (1836) doveva presto divenire un’anticaglia, che le formule del melodramma avrebbero ceduto alla unità della forma, che la musica doveva avere «un incremento alla propria potenza di tutte le potenze drammatiche accolte in imo spettacolo». «Ecco Wagner!» esclama con entusiasmo apostolico Filippi. — Ecco il melodramma moderno, dico io, patrimonio di tutti i compositori d’oggi e di ieri, non di Wagner solamente. Ecco Verdi, ecco Meyerbeer,eccoGounod,ecco Halevy! Mazzini dice che l’istrumentazione doveva aver maggior parte «a simboleggiare negli accompagnamenti intorno a ciascuno dei personaggi quel tumulto d’affetti, dMbitudini, d’istinti che oprano più sovente sull’anima sua.» L’accorto apostolo direbbe anche qui: ecco Wagner, ecco Lohengrin, ecco Tanhàuser e che so io, dimenticando che ciò fu fatto nel Ballo in maschera, nel Rigoletto, nel Faust, e in cento altri capilavori e perfino nel Don Giovanni, e nel Roberto il Diavolo, dei quali Mazzini dice espressamente: «che staranno come tipi di profonda individualità svolta con magistero perenne, insistente, non interrotto dalla prima all’ultima nota». E altrove dice che «nella prima scena del Roberto il Diavolo vi sono tocchi che per tinte locali ed evidenza storica dei tempi ricordano il capolavoro premesso da Schiller ai suoi Piccolomini o prima parte del Vallenstein.» E in Italia cita tra i presentimenti della musica futura alcune pagine della Semiramide del Guglielmo Teli, e del Marino Fallerò, e vede in Donizetti il rigeneratore in cui possa riposare con un po’ di fiducia l’animo stanco e nauseato del volgo d’imitatori. j iib HI [p. 138 modifica]138 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO f; ‘L i fri H k I | j î ldi Convenga meco T ottimo Filippi che Mazzini è per lo meno un Wagnerista assai tepido se si accontenta di Meyerbeer, di Mozart, di Rossini e di Donizetti. Nè io gli faccio carico di aver fatto violenza alle idee Mazziniane per farle servire alla sua missione. Quando pure non fosse uno de’ soliti miraggi della fede, sarebbe tuttavia uno di quegli artifìci! rettorici da cui nessun apostolo è innocente. E d’altra parte; anche senza la fede e senza l’arte oratoria, è facile incorrere in simili errori quando si vuol cogliere il pensiero d’uno scrittore nei suoi scritti senza alcun riguardo alle condizioni dei tempi in cui furono dettati. È evidente che se i periodi che Filippi ha amorosamente raccolto nella Filosofia della musica di Mazzini per ricucirli dottamente’in appendice, venissero scritti oggi, alluderebbero più veri similmente al Wagnerismo che al finimondo, ma pretendere che quando fioriva la scuola di Rossini, di Bellini, di Mozart, avessero in mente la scuola di Wagner è tal atto di buona fede perdonabile appena ad un apostolo. Filippi ha riportato un frammento di Mazzini, in cui è biasimata la musica italiana d’allora; e conclude inevitabilmente che Wagner ha le stesse idee. Vediamo ora che cosa Mazzini diceva della musica tedesca. «La musica tedesca procede per altravia. V’è Dio senza l’uomo, immagine sua sulla terra, creatura attiva e progressiva, chiamata a svolgere il pensiero di che l’universo terreno è simbolo. V’è tempio, religione, altare e incenso; manca l’adoratore, il sacerdote alla fede. Armonica in sommo grado, essa rappresenta il pensiero sociale, il concetto generale, l’idea, ma senza l’individualità che traduca il pensiero in azione, che sviluppi nelle diverse applicazioni il concetto, che svolga e simboleggi l’idea. L’io è smarrito. «L’anima vive, ma d’una vita che non è della terra. Come nella vita dei sogni, quando i sensi tacciono, e lo spirito s’affaccia a un altro mondo, dove tutto è più lieve e il moto più rapido, e tutte imagini nuotano nell’infinito, la musica tedesca addormenta gli istinti e le potenze della materia e leva l’anima in alto, per lande vaste e ignote, ma che una rimembranza debole, incerta, t’addita come se tu le avessi intravvedute nelle prime visioni d’infanzia, tra le carezze materne, finché il tumulto e le gioie e i dolori della terra, che calpestiamo, svaniscano. «È musica sovranamente elegiaca: musica di ricordi, di desideri, di melanconiche speranze e tristezza che non possono aver conforto da labbra umane: musica d’angioli che hanno perduto il cielo, e v’errano intorno. La sua patria è l’infinito, e v’anela. Come la poesia del Nord, quando almeno non è sviata da influenza di scuole straniere e serba l’indole primitiva, la musica germanica passeggia leve leve su’ campi terrestri, e sfiora il creato, ma cogli occhi rivolti al cielo. Diresti non appoggiasse il piè sulla terra che per lanciarsi. Diresti una fanciulla nata al sorriso, ma che non ha trovato un sorriso che risponda al suo, piena l’anima d’amore, ma che tra le cose mortali non ha trovato cosa che meritasse d’essera amata, e sogna un altro cielo, un altro universo, e in quello una forma, la forma dell’ente che risponderà all’amor suo, al suo sorriso di vergine, ch’essa adora senza conoscerlo. E quella forma, quel tipo di bellezza immortale, appare e riappare a ogni tanto nella musica tedesca; ma fantastica, indeterminata, pennelleggiata a contorni. E una melodia, breve, timida, disegnata sfuggevolmente; e mentre la melodia italiana definisce, esaurisce e t’impone un affetto, essa lo affaccia velato, misterioso, appena tanto che basti a lasciarti la memoria e il bisogno di ricrearlo, di ricomporre da per te quella imagine. L’una ti trascina a forza fino agli ultimi terznini della passione, l’altra t’accenna la via e poi ti lascia. La musica tedesca è musica di preparazione, musica profondamente religiosa, bensì d’una religione che non ha simbolo, quindi non fede attiva e tradotta nei fatti; non martirio; non conquiste: ti stende intorno una catena di gradazioni maestramente annodate; t’abbraccia d’un’onda musicale d’accordi, che cullandoti ti solleva, sveglia il core, suscita la fantasia, suscita le facoltà quante sono: a qual prò?» 0 m’inganno, o Wagner non sottoscriverebbe, come afferma Filippi, a questa pagina di Mazzini, perchè nessuno, degli ammiratori dell’avvenirista seppe mai fare elogio alla sua musica se non (più ampollosamente) in termini uguali a quelli che Mazzini adopera per combatterla. E mentre il ridicolo che sparge sulle formule melodrammatiche della scuola italiana, oggi non ha più ragione di essere, a questo biasimo della musica tedesca non è da mutare una virgola. Wagner, a questa stregua, non ha fatto un passo; ha portato la musica sinfonica del suo paese sulla scena, nulla più; vi è il divorzio dalle forme viete del melodramma, ma vi è l’eccesso opposto; mancano le formule, ma manca pure l’intento, e il connubio tra l’individualismo italiano e il socialismo tedesco, è ritardato anzi che compito dalla scuola Wagneriana. Per il quale connubio, e con ragione, Mazzini ebbe l’occhio all’Italia, che infranse le vecchie leggi e creò oggi un melodramma dove la finzione riesce meglio all’efficacia del vero, senza snaturare il carattere della musica. E Wagner, per chi guarda bene agli intenti mazziniani, è l’ultimo uomo che possa tradurre in pratica le idee sul melodramma. La scelta stessa degli argomenti su cui egli si piace tessere le sue profezie musicali mostra la natura mistica del suo ingegno, che pure è incontrastabilmente poderoso; Mazzini voleva fare d’ogni melodia un’azione, d’ogni melodramma una missione; 7 O 7 Wagner non crea che fantasmi, invece di agire sogna. Mazzini abbatteva il vecchio Olimpo letterario, che isteriliva il pensiero in contemplazioni vuote, che affogava il cuore in sentimenti menzogneri; che fa Wagner? ricostruisce l’edifìzio in note; sono ancora gli Dei, i semidei, le ninfe, le Driadi, i cigni; è il fantastico, non è il drammatico e molto meno la generosa utopia sociale di Mazzini. Ma queste brevi considerazioni, che non hanno bastato a trattenere l’egregio Filippi dal fare di Mazzini un suo fratello in wagnerismo, sono indubitabilmente già troppo lunghe pei miei lettori. ARINA.: iMVv

  • 3- lai

AL TEATRO REGIO DI PARMA Più d’un’apposita corrispondenza, ei pare opportuno, a dare un’idea esatta del nuovo trionfo dell’ultimo capolavoro di Verdi, ed a provare la scrupolosa fedeltà del nostro telegramma pubblicato nel passato numero, riprodurre i giudizi! della stampa parmense. Pr ima Rappresentazioìie. La Gazzetta di Parma scrive: «Il primo atto procacciò vivi e reiterati applausi al tenore signor Capponi (Radamès) per la sua cavatina Celeste Aida!, al mezzo soprano signora Waldmann (Amneris) ed al soprano signora Stolz (Aida), che venne salutata con entusiasmo al suo primo mostrarsi. Lo scenografo cav. G. Magnani venne evocato all’onor del proscenio per una scena figurante l’interno del tempio [p. 139 modifica]GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 139 di Vulcano e nel corso dell’atto il maestro cav. Verdi dovette presentarsi sèi volte. «Nel second’atto cominciò a fanatizzare il duetto fra Aida ed Amneris; nuovamente si applaudì lo scenografo per altra scena rappresentante uno degl’ingressi di Tebe e calato il sipario, dopo il grandioso pezzo concertato del trionfo di Radamès, il Sindaco da un palchetto di proscenio, presentò all’illustre maestro il diploma che lo iscriveva nel libro d’oro della cittadinanza parmense deliberatagli dalla città nostra e fece distribuire per la platea e pei palchi il relativo decreto col quale è inoltre stabilito gli sia offerta una medaglia d’oro, la quale, con la effigie di lui, porti parole che ricordino la memorabile circostanza in cui fu conferita. Quest’atto procacciò al maestro tredici chiamate al proscenio. «11 terz’atto venne inaugurato da nuovi applausi e chiamata all’egregio Magnani, per una scena che rappresenta un sito scosceso ed il tempio d’Iside sul Nilo. Molto incontrarono la romanza della signora Stolz, 0 patria mia; il suo duetto col baritono Pantaleoni (Amonasro), ed il susseguente col tenore Capponi. Sceso il sipario, oltre ai cantanti ed al maestro si volle vedere al proscenio anche l’esimio direttore d’orchestra, cav. Giovanni Rossi. «Nel complesso dell’atto, cinque chiamate a Verdi. «11 quarto ed ultim’atto fu un’ovazione continua. Il duetto fra Radamès ed Amneris entusiasmò, nè piacque meno la grande aria di quest’ultima: Sacerdoti compiste un delitto. L’ultima scena figurante il tempio di Vulcano ed il sotterraneo, in cui muoiono Radamès ed Aida, produsse reiterati e vivis- * simi applausi allo scenografo signor Magnani. Continuamente interrotti da battimani furono il signor Capponi e la signora Stolz, nella romanza di quello e nel loro duetto finale. — A fine d’opera, i cantanti vennero chiamati due volte al proscenio; cinque, nel corso dell’atto, il maestro, che, in totale si si ebbe ventinone chiamate (1). — Impossibile poi il dire quanti i segni d’approvazione, le battute di mano, i bravo ad ogni singola frase, ad ogni singolo artista. — Insomma, l’esito fu più che completo, esito di vero e grande entusiasmo, il quale riteniamo andrà sempreppiù crescendo, man mano che per successive udizioni si rivelino e si rendino più famigliari le bellezze dello spartito. L’incasso della prima rappresentazione fu di circa L. 5000.» Il Diavoletto scrive: «21 aprile, ore 1 di notte.— Aida!... etiopi, egiziani, sacerdoti, guerrieri, ballerine... a giorno, Stolz, Verdi, Waldmann, Capponi, Pantaleoni,.Vecchi -, gli Ibis, Iside, il Bue Api, tutto ciò danza nella mia testa una ridda spaventevole, che mi rende assolutameote inabile (a quest’ora!) a mettere insieme una relazione anche solo relativamente passabile. Quello che (posso fare è di presentarvi un quadro a fotografia istantanea, uso Diavoletto. “ Ore 8 i/2.— Grande aspettativa. Palchi adorni da belle ed eleganti signore. “ Si alza la tela. — Atto I. Applaudita romanza Radamès (Capponi). Il pubblico dà segni di commozione, 5 chiamate al maestro, queste non sono che l’antipasto, pardon, l’avanguardia. “Atto II. Applauditissimo duetto tra Aida e Amneris. Stolz, Waldmann insuperabili. Gran marcia e finale entusiasmo. Verdi chiamato 9 volte. Il Sindaco gli presenta sul proscenio il diploma di cittadinanza parmense. Entusiasmo massimo. “ Atto III. Duetto Amonasro e Aida stupendo, Pantaleoni, Stolz sommi. Duetto Radamès, Aida e il terzetto susseguente tra Amonasro, Radamès, Aida, rialzano i fondi dell’entusiasmo al delirio. 8 chiamate al maestro e agli artisti.» Atto IV. Grand’aria di Amneris cantata divinamente dalla Waldniann. Duetto Amneris, Radamès applausi infiniti.— Scena ultima magica, féerique. Gli occhi del pubblico sono abbagliati dalla stupenda scena del Magnani; il cuore rapito da melodie celesti... meglio ancora verdiane. Duetto finale... non trovo l’epiteto per adeguarne l’incanto. Il pubblico dal delirio passa... alla pazzia. 10 chiamate a Verdi — totale 32 chiamate. «Orchestra, cori, mise en scène superiori all’aspettativa, per quanto grande. «La Commissione e l’impresa Lasina dichiarati benemeriti dell’arte.— Introito L. 5000. «La natura reclamai suoi diritti.— Corro a dormire sugli allori... di Verdi. «Ecco ciò che cosa dice il Presente:» Ieri sera, 20 aprile 1872, data memorabile nei fasti del nostro Regio, sotto l’appalto Lasina, esordivano le rappresentazioni deXYAida.» Ieri sera ei venne finalmente sollevato il mistico velo di questa Iside verdiana! «Anche Parma adunque (per seconda in Italia) la udrà e la vedrà cotesta Aida, a cui l’autore del Nabucco sembra proprio abbia data la vita, spirata la creazione» d’Egitto là sui lidi». E si che c’è da udir molto, da vedere moltissimo e da ammirare più che tanto!» Asciugata l’ultima lacrima che ne lasciò sulla gota la tremenda semplicità del Quadro Finale, primo dovere di chi scrive si è di porre subito in fatto, che Y Aida ottenne il più completo e desiderabile successo. Si aggiunga però che, a tener conto dell’entusiasmo, il quale talora rasentò, talora si confuse col fanatismo, era d^uopo, era debito di usare a bella prima il più appropriato vocabolo «trionfo! — Buon per noi, cittadini di Parma, ed oggi (1) Intorno al numero delle chiamate i contatori non sono d’accordo., come si vedrà; a noi ne furono telegrafale 35^ ad altri 32, a giornali di Napoli e di altrove 3G_. e ad alcuni perfino quaranta! Concittadini di Verdi, e meglio per F Arte, che non fummo da soli nella sentenza. Erano con noi rappresentanze di varie città italiane e ne verranno, si confida, ancora di molte. Quest’Afta ha dunque le sembianze di presentarsi come una Festa Nazionale, un’àgape gloriosa; ed altrettali saranno, vivaddio, per lo innanzi tutte le pubbliche Mostre del Genio italiano. L’Arte e la Scienza hanno per ufficio di fondersi un po’ meglio che non la Politica e la Guerra... Ma tornando al segno, il giudizio Sull’Afta dal Cairo a Milano, fu portato ieri sera a Parma in terza istanza o Cassazione, che vogliasi; e Cappello, per quanto si obbietti, ne rimase in ogni capo splendidamente raffermato. «A che prò lo enumerare le evocazioni del maestro Verdi al trionfato proscenio, con o senza gli artisti, quando superate le venti, non metteva conto il segnarle fra mezzo ad un turbinìo d’applausi rotti ad ogni misura? È però nobile ufficio ricordar le chiamate che Verdi condivise con quel direttore che è Gio. Rossi, mente, anima e braccio della lodata esecuzione. Che brio, precisione e colorito; che strappate e sfumature; quanto assieme non seppe egli ottenere cogli accenni rapidissimi alle svariate fazioni delle masse e colle scosse dell’olimpica testa? «Giacché siamo in sul lodare dicasi pure che il cav. Magnani meritò fare atto di presenza sulla Boccascena parecchie volte per diverse tele, tra belle e bellissime. Anche il Mastellari, che con affetto studioso secondò, come sempre, l’illustre scenografo, ebbe gli onori del pubblico per F allestimento dell’intimo. tempio di Vulcano e della sottoposta fòssa che per Tenore e Soprano ha il tilol della fame. «Giudizii sul merito. Crediamo di far cosa gradita ai nostri lettori riportando alcuni frammenti di cinque belle appendici pubblicate nella Gazzetta ch Parma da Parmenio Bettoli. Egli piglia prima ad analizzare il libretto: “ Avvegnacchè abituati da lungo a considerare ogni nuovo spartito di Verdi quale un avvenimento nel campo dell’arte, pure nessuno di essi toccò mai l’alto grado assegnato a codesta sua Aida. — Egli è, quindi, con un sentimento di profondo rispetto e con tutte le trepidazioni dell’insufficienza, che il critico si perita all’arduo compito di assumerla in esame e di discuterne, senza ostili preconcetti nè pusille reticenze, i pregi come le pecche». «Per giudicare, con criterio e coscienza, di un’opera musicale, è anzitutto opportuno conoscerne bene a fondo il soggetto, siccome quello da cui il poeta e, dietro il poeta, il maestro trassero le loro prime ispirazioni — ». Segue l’esposizione critica delPargomento; il Bettoli dopo aver difeso Ghislanzoni dell’accusa mossagli da taluno per l’imprecazione di Amneris contro i sacerdoti, prosegue: «Con tutto ciò ed’ammesso pure fondato un simile appunto, il libretto del Ghislanzoni non è manco meritevole del più sincero encomio: c’è progressione d’interesse, ottima distribuzione degli effetti e gentilissima versegiatura. Solo a proposito di questa, m’è necessario rimarcare una cosa che tornerà opportunissima quando parlerò della musica, e cioè: la grande prevalenza nel complesso del melodramma de’versi endecasillabi sciolti e rimati, e la polimetria di molte strofette, quali per mo’ d’esempio: Morir! sì pura e bella! Morir per me d’amore... Degli anni tuoi sul fore Fuggir la vita! T’aveva il cielo per l’amor creata. Ed io t’uccido per averti amata! No, non morrai! Troppo io t’amai!... Troppo sei bella! «Io sono ben lontano dal biasimare codesto modo di fare; ma è fuori di dubbio ch’esso si stacca interamente, non dirò dalle regole, ma dalle tradizioni del melodramma italiano. Da Metastasio a Felice Romani, uso costante fu sempre di servirsi di endecasillabi e di polimetrie miste d’encasillabi, settenari e quinari pei soli recitativi, riserbando ai pezzi obbligati ed essenzialmente melodici le strofette unimetre ed anco, per lo più conchiuse da tronchi — E la ragione è facile a comprendersi quando si consideri come l’endecasillabo non possa venire abbracciato da un solo inciso di frase melodica, nè si presti ad essere tagliato in due parti uguali. Io non biasimo, ripeto, la novazione, a cui è ricorso il poeta; ma ne constato il fatto siccome causa efficiente di talune forme musicali praticate dal maestro. Infanto, per chi, alla udizione della musica, abbia fatto succedere la lettura del libretto, chiaro apparisce l’eccellente partito che il suo autore ha saputo trarre da tutte le situazioni più drammatiche della favola.» L’appendicista viene poi a parlare della musica: «Questione pregiudiziale: la musica dell’Aida è nostrale o straniera, è classica o romantica, è’ del passato, del presente o dell’avvenire? Dichiaro anzitutto di comprendere assai difficilmente codeste meticolose distinzioni in punto ad arte, nel purissimo campo della quale, quando si tratta di geni [p. 140 modifica]140 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO dell o stampo di Giuseppe Verdi, io non ammetto, tutt’al più, che modificazioni cronologiche e differenza di scuole. «A torto, secondo me, si opina da molti che la vera musica italiana debba constare di semplici e nude melodie. — Se Porpora, Pergolese, Paisiello, Cimarosa, Fioravanti non seppero darci quegli artifizi orchestrali, onde, preconizzato dal nostro Paër, fu poi maestro Rossini; egli è che ignoravano completamente le masse corali e le orchestre al di là del quartetto. Mercadante, che, se alla profonda scienza musicale avesse accoppiato un po’ più di slancio, sarebbe forse riuscito a dominare su tutti, seguì i novatori sulla via del progresso; Donizetti, invece, talento versatile e sbrigliato, rimeggiò il tu per tu fra nuovo e vecchio, tra caposcuola e caposcuola e, come avviene sempre di chi troppo vuole abbracciare, non riuscì nemmanco a foggiarsi una caratteristica fisonomia; Bellini, intanto, tutto ispirazione, tutto passione, tutto poesia, col far prevalere le sue melodie pure, sublimi, divine, ribadì il pregiudizio. «Fu, dunque, il caso in gran parte ed in gran parte la deficenza assoluta di buoni melodrammatici, dappoiché lo stesso Romani, comunque ottimo verseggiatore, fosse eminentemente plagiario e modellasse ogni suo lavoro ad un unico plasma; che radicarono in noi uno erroneo concetto dell’opera musicale, come falsarono il vero concetto della tragedia le tragedie di Alfieri.» Bellini infatti va di pari passo con Raffaello: quello in musica, questo in pittura, riescono identici nel predominante idealismo, nella venustà peregrina dei tipi, nella uniforme, spesso troppo uniforme, dolcezza del colorito e sin nella linea distinta che circoscrive ogni loro delicato contorno. — Ma, se la maniera del divino Urbinate si reputasse la sola buona a seguirsi; chè ne sarebbe del nostro Correggio, tanto più incline al realismo, tanto da quel sommo diversa e per la forza delle tinte, e per l’arditezza delle movenze, e pei contorni sfumati, vaporosi, indefiniti? «Eppure Antonio Allegri ha pressoché agguagliato Raffaello Sanzio; il che dimostra tutte le scuole poter raggiungere il supremo obbiettivo dell’arte, in quella guisa istessa che tutte le strade menano a Roma. «Come la pittura ha fatto tesoro de’ nuovi suggerimenti datile dal daguerottipo, dalla fotografia e sino dagli effetti stereoscopici, sicché nelle prospettive aeree ha potuto attingere un tanto maggior grado di eccellenza; così la musica s’è andata via via arricchendo delle conquiste meccaniche dell’arte del suono ed ha necessariamente dovuto subire una consecutiva trasformazione, che si produce spontanea, come da cosa nasce cosa. — Ed ecco, per me tanto, in che consiste tutto il segreto di codesta musica detta, non so se da senno o per celia, dell’avvenire. «Il nostro falso concetto procede, dunque, da una sorta di ammirazione idolatra per uomini sommi, che, mercè la grandezza del loro genio, ei fecero ammettere siccome la migliore ed unica la loro forma ed accettare per regola fissa ed inalterabile un mero e semplice convenzionalismo. «Da Metastasio a noi, tutti i librettisti indistintamente batterono un medesimo sentiero. Un recitativo, poi una strofetta tutta di un metro, ben tornita, ben rimata, ben conchiusa, per le cavatine e le romanze d’ogni singolo personaggio ed una d’ugual fattura per le rispettive strette. — Tale il riparto di ogni pezzo a solo, tale di un duetto, tale di un terzetto, tale di un pezzo concertato. — Epperò sempre una sola transizione di affetti: dalla speranza alla gioia, dal corruccio alla collera, dal dolore alla disperazione; due punti salienti; mai nulla più; mai il graduato sviluppo della passione, nè il suo progressivo esternarsi, nè il suo complicarsi in un tutto: questo in quanto alla forma che dal poeta si trasfuse necessariamente nel compositore. Poco strumentale, o per manco di scienza, o per scarsezza di mezzi meccanici: questo in quanto al modo. «Oltre ai materiali argomenti d’ampliazione, di cui feci cenno più sopra, la musica, siccome scienza numerica, non potè sottrarsi alla meritata influenza che seppero esercitare i tedeschi. Il grande Beethoven, per non parlar d’altri, che è conosciuto fra noi da non più di 30 anni, equivalse da solo ad una rivelazione: a lui si debbe di avere, per così dire, praticamente applicato e commentato Monteverde e gli arditi saggi d’istrumentazione ch’egli tentò ne’suoi concerti e nelle sue sinfonie, produssero naturalmente tutta una rivoluzione nel campo dell’armonia e del contrappunto. «Nè per averne abbracciato le felici novazioni, la musica nostra si può chiamare imbastardita dappoiché, nelle forme e nei mezzi, l’arte sia essenzialmente universa e non debba mantenersi nazionale chè nella tipica impronta dell’espressione. — In essa, i tedeschi pensano e gl’italiani sentono: eglino la indirizzano al cervello, alla imaginazione; noi, al cuore, agli affetti; ecco la differenza. «Anch’io sono avversissimo a quella musica tedesca, classica, dell’avvenire c che so io; se, con siffatti nomi s’intenda indicare quell’arruffamento inconcluso di suoni e di accordi, algebrico e frastuonante, inanzi al quale il musicista si arresta’ pensieroso e perplesso, come il letterato inanzi ad apparente sgrammaticatura, e si arrovella e si cuoce per risolvere il problema dello artifizio, che, di primo acchito, sembra spropositato, e finisce per gridare eureka, come Archimede, quando gli vien fatto scuoprire il segreto di un ritardo o di una anticipazione in un secondo o terzo rivolto di nona diminuita. E una sorpresa, è un godimento di amor proprio soddisfatto, che egli prende sovente per genuina ammirazione; il sentimento istesso che prova il poeta epitalamico, quando invece d’aver compiuto buoni versi e vera poesia, gli riesce menare a fine un acrostico, od un sibillone a rime date. «Ma quella musica arzigogolata, pesante; a pensieri monchi e fuggiaschi; a meschini ardimenti e novazioni, che altro non hanno di vero se non l’audacia e la novità; che non estrinsecano, non trasfondono, non ispirano nulla; io volentieri la lascio ai wagneromaniaci, a tutti gli anarchici dell’arte, che sciaguattano pel suo placido lago, nella speranza forse che il rimestio conduca a galla, come belletta, la loro supina mediocrità. «Chi, a proposito di codesta sua Aida, accusa Verdi di plagio tedesco, sconosce assai male a proposito e la potenza eminentemente creatrice della sua fantasia e la istintiva indipendenza del suo carattere d’artista; confonde in deplorevole guisa le indeclinabili e generali cagioni di progresso, con quelle tutte speciali di scuola. «Chi lanciò la medesima accusa a proposito del Don Carlo, si ebbe se non altro un’apparenza di ragione. Non così Aida, in cui tutto dalla, prima all’ultima nota, è prettamente, essenzialmente italiano’, perchè continuamente melodico. 1 «Certo che non è più la melodia, come da taluni s’intende, ossia: la melodia vocale quasi isolata, il semplice e nudo canto sostenuto appena dalle solite crome, dai soliti arpeggi; certo che non abbiamo più le tradizionali arie e cavatine a caballetta replicata, nè gli annunzi orchestrali e gli eterni ritornelli della vecchia scuola; certo che taluni canti, come l’invocazione dei sacerdoti nel quarto atto, non sono ritmici; che alcuni altri, come i pensieri dominanti intrecciati nel preludio, imitano lo stile fugato alla Wagner, ed altri ancora, come il duetto finale escono di pianta dalla simmetrica quadratura italiana; certo che, finalmente, in codesta opera, più che in ogni altra, Verdi ha rotto tutte quante le pastoie del convenzionalismo; ma non pertanto la melodia regna da assoluta signora su tutto, persino sui recitativi; ma di taluni scarti dalle viete forme, il pubblico nemmanco si accorge, perocché trovino la loro ragione di essere nelle polimetrie usate dal librettista, come già mi avvenne di segnalarlo; ma lo allontanarsi dalla maniera convenzionata non è insignificante vaghezza di nuovo: tende a dare spicco, evidenza, efficacia maggiore a tutte le varie situazioni del dramma, a scolpirne a vivo il carattere individuale de’ singoli personaggi, a seguirne passo passo ed estrinsecarne i sentimenti, gli effetti, le passioni, in ogni loro transizione, in ogni loro slancio, in ogni loro contorcimento: ed è innegabile, che, per siffatta guisa, siasi semprepiù avvicinato alle vere ragioni di un’arte per eccellenza rappresentativa. «Il preludio è la sintesi del dramma: in esso, prima un motivo mesto e soavemente patetico, affidato a’ violini, che rappresenta l’amore di Aida infelice si, ma ricambiato; poi un altro mesto del pari, ma più severo, più cupo, che rappresenta la passione segreta e reietta di Amneris: e codesti due motivi li udite serpeggiare, con portentosa versatilità di forma, per tutto lo spartito, preannunziando, accompagna le due rivali, siccome riverbero dell’intimo pensiero che le predomina e a cui si devono le maggiori peripezie del dramma e la sua tremenda catastrofe. «1 canti religiosi ed i ballabili, che sono di una assoluta originalità, contribuiscon intanto a determinare il colore del tempo, il carattere locale dell’azione. Non possiamo seguire passo passo il Bettoli nell’analisi che egli fa delle bellezze della musica. Ecco com’ei conchiude: «Io altro non so che ripetere: sublime! sublime! sublime!» La velenosa mediocrità trova lo spartito difettante d’ispirazione e gremito di reminiscenze. — «Ripeterò, a tale proposito le parole di un mio distintissimo collega: «Verdi fu molto accusato di plagio a sè medesimo: ma il primo a non» accorgersi di questi plagi deve essere egli stesso. Tanto chi parla, quanto «chi scrive, ha sulle labbra o nella penna delle parole e delle frasi che usa «senza avvedersene: prese all’ingrosso, questo ripetersi di frasi e parole e» disposizione di accenti, costituisce il modo di scrivere di un autore e ne «forma V individualità. Verdi nell’Aida ricorda il Don Carlo, A Ballo in ma» schera ed altre sue opere, come Giusti ricorda Giusti in questa ed in quella «delle sue cento robuste ed originali poesie. «— Io aggiungerò: chi non trovò bello, ispirato, originale il pensiero di Bellini, che regge il magnifico duetto nella Norma «In mia mano alfin tu sei? Eppure lo ha identico Beethoven in una delle sue migliori sinfonie.» S’era preteso che Verdi avesse pronunziato l’ultima sua parola col Ballo in maschera. — Meschini noi, che vogliamo sempre anticipare giudizi e sentenze sulla estensione del genio! — Ecco intanto un’altra più sonante e poderosa parola in codesta sua Aida, che diventa adesso la sintesi massima delle sue facoltà musicali. — E non solo; ma io non stimerò di andare troppo oltre asserendo essere dessa, col Guglielmo Teli dell’immortale Rossini, uno dei due più grandi monumenti dell’arte musicale italiana. Le eterne martinicche dell’entusiasmo — come le chiamerebbe il mio ottimo Sunner — si sono sforzate a ripetere: è un’opera, che, per piacere, vuol’essere udita e riudita più volte. — Calunnia! — Si dica codesto di certi colossi ultramontani, che, di primo tratto, non fanno che sbalordirci ed immergerci in una sorta di ammirativo stupore, emergente dal grandioso, dall’incompreso, e non dal bello, ed a cui vi accostumate grado grado, per forza di abitudine, come Napoleone I faceva dell’oppio. Ma codesta Aida piace, persuade, convince, incanta, rapisce, ad una semplice prima ed unica udizione e, se vi lascia nell’animo un ardentissimo desiderio di riudirla, non è già pei’ bisogno di intenderla, ma per disquisirne gustarne tutte le peregrine e recondite bellezze, meglio ancora: per provare di nuovo quelle care, simpatiche e deliziose sensazioni che essa vi ha suscitato nel cuore la prima volta [p. 141 modifica]GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 141» Per essa, il grande maestro ha spinto l’arte italiana a compiere un passo gigantesco. — Ed era tempo. — La straniomania, levata in onore tra noi dalla invidia e dalla mediocrità, già già cominciava ad invaderci, e mal per noi se non avessimo saputo risorgere ad affermare di nuovo il nostro primato. «Verdi lo ha fatto.» È un altro circolo di più splendida luce che s’aggiunge alla sfolgorante aureola della sua gloria. Successive lìappresentazioni. La Gazzetta di Parma del 26 scrive: «Teatro Regio. — CAida continua a fanatizzare. La prova sta nel concorso del pubblico che va crescendo ad ogni rappresentazione. «Ieri sera, quarta rappresentazione, il teatro era au grand complet. Moltissimi forestieri occupavano palchi e sedie chiuse. «È impossibile descrivere al vero l’entusiasmo crescente che destano gli egregi esecutori, signore Stolz e Waldmann e signori Capponi, Pantaleoni e Vecchi. «L’orchestra, i cori, la banda sempre inappuntabili. E il Presente reca nella stessa data: «Teatro Regio. La quarta rappresentazione dell’Aida, che ebbe luogo ieri sera, mentre pose in maggior rilievo le bellezze dello Spartito procacciava a tutta la Compagnia di Canto le più splendide ovazioni.» Conchiudiamo allegramente riportando le parole del Monitore di Bologna, il quale attinge le sue informazioni al Secolo di Milano (!) Leggiamo nel Secolo:» Un abbonato ei comunica il seguente telegramma da Parma, dove si rappresentò Y Aida; telegramma che copiamo letteralmente: «A Milano. «Musica incompresa — però fanatismo, frenesia, chiamate incontabili nè contate. C.... ««Ed ecco confermato il nostro giudizio e quello del nostro amico che ieri ei telegrafò. Ad onta deH’entusiasmo convenzionale e della réclame, ben naturale che fa alla propria mercanzia la Casa Ricordi, Y Aida dopo aver fatto un giro di curiosità sui principali teatri, finirà come i Vespri Siciliani agli archivi.» Meno male, perchè se i primi curiosi avessero seppellito addirittura VAida, la poveretta non avrebbe nemmeno potuto fare questo giro di curiosità. Oh! la critica curiosa! Ecco il decreto col quale il Municipio di Parma iscrisse il nome di Giuseppe Verdi nel libro d’oro della città. Esso venne presentato dal sindaco all’illustre maestro dopo il second’atto il decreto è scritto in magnifici caratteri sopra la pergamena, ed è ricoperto con elegante legatura. MUNICIPIO DI PARMA L’anno milleottocentosettantadue il giorno cinque Aprile, nel Palazzo di Città, si è radunato in pubblica udienza il Consiglio del Comune. Apertasi la seduta, il Sindaco prende così la parola: Rare volte mi è avvenuto di potervi intrattenere di argomento più gradito e più importante di quello in cui debbo in questa sera favellarvi. Io so che il porgere attestazioni di onore e di stima a chi coll’opere dell’ingegno ha saputo elevare monumenti di gloria imperitura a sè e alla patria, non ritiene dell’efficacia consueta a simili dimostrazioni. So benissimo che a quest’ora non solamente la nostra Città e l’Italia, ma tutte le parti del mondo nelle quali si ha in pregio la divina arte del canto e delle armonie, hanno coronato di plauso e di allori il genio di Giuseppe verdi. Sebbene questo io sappia con voi, mi faccio volentieri interprete di Parma nostra, che, per essergli quasi patria, gloriasi in particolare modo di così nobile vanto, col dirvi che, onorata oggi della presenza di LUI, brama attestare, nel modo più solenne che per ’essa si possa, la propria ammirazione e la profonda estimazione al vastissimo Genio, che di tanti nuovi trionfi e tutti italiani, seppe arricchire la gentile arte musicale. E poiché questo desiderio è pure certamente il vostro, ho l’onore di proporvi che, a raffermare meglio i vincoli di speciale attinenza che legano l’ILLUSTRE MAESTRO alla nostra Città, vogliate dargli manifesto e pubblico attestato che sia degno del desiderio nostro e di LUI. — Udite le quali cose, IL CONSIGLIO Facendo plauso al pensiero del Sindaco, Per acclamazione unanime, DECRETA: Che il nome di (IIUSEI*RE VERDI. che di per sè suona onore alla patria e all’arte sia inscritto nel libro d’oro di questa Città e gli sia a nome di tutta la Cittadinanza Parmense offerta una medaglia d’oro che, decorata della effigie di LUI, porti parole che ricordino la memorabile circostanza in cui gli fu conferita. E commette alla Giunta l’esecuzione del presente Decreto. I CONSIGLIERI F. Albertelli — Giacomo Bertocchi — A. I. Bianchedi — F. Bianchi F. Bocchialini — P. Bruni — G. Cantelli — G. Carraglia G. Cocconi — M. Costamezzana — L. Crescini-Malaspina — G. Dalla Rosa G. Ferrari — Lalatta — P. Laviosa — G. L. Gallani P. Lombardini — G. Musiari — Carlo Orlandini — V. Ortalli-Laurent A. F. Paini — 0. Paralupi — G. Passerini — D.r F. Pellegri A. Redenti — G. Rizzardi Polini — A. Sanvitale — B. di Soragna E. Spreafichi Ing. — A. Terzi — P. Torrigiani S. Vecchi — G. Vighi — F. Zanzucchi IL SINDACO ALFONSO CAVAGNARI U Segretario, E. Bruni NELLA SELVA SINFONIA DI GIOACHIMO RAFF (Concerto sinfonico alla Società del Quartetto) Gioachimo Raff è stato audace, astuto e fortunato. Certo una grande audacia fu quella d’accingersi a scrivere un’opera sinfonica la di cui forma è rimasta deserta da Beethoven in poi, e astuzia fu quella di voler allinearsi in questa affascinante e dissueta maniera dell’arte a fianco di Beethoven, secondo per numero. Epperò si può dire di Gioachimo Raff che la sua astuzia fu la sua audacia e la sua audacia fu la sua fortuna. Non occorre notare che ai mediocri cotali audacie ed astuzie non potrebbero servire; sono le armi naturali degli ingegni elettissimi. Raff riesci felicemente nell’intento suo; buon per lui e per noi che dalla sua vittoria riportiamo diletto. La sinfonia descrittiva è quel lavoro sinfonico che esprime e svolge in varii tempi un tema pittorico preconcreto. La sinfonia di Raff corrisponde pienamente a questa definizione; ‘ s’intitola in Walde, nella selva, e incomincia come un libro che non ha prefazione, come un poema che non ha invocazione. Subito dopo il primo accordo che è estraneo a qualunque tonalità, l’uditore si trova già in un ambiente folto d’armonie e di ritmi; dei frastagli istrumentali inceppano l’orecchio come i cespugli il passo, la penombra delle fronde invade l’anima, una melodia blandissima s’innalza, s’abbassa, vola, cade, rivola, quasi portata dal vento. Chi ode è circondato da un’aria fantastica, e dirò più, da un cerchio magico, la selva di Raff è una selva fatata. Chi vi si trova entro non si rammenta più del come e del quando ei è capitato. Ali ritrovai per una selva oscura E non saprei ridir com’io v} entrai. Non v’ha chi non ascoltando quella musica non ripensi alla prima pagina della Divina Commedia, alla Selva di Dante, un po’ illeggiadrita da quell’altra selva del Purgatorio: La divina foresta spessa e viva o da quell’altra, dantesca pure, delle egloghe: Fraxineam silvam, tiliis platanisque frequenterà Ma poiché la pupilla quando s’aggira da principio nell’ombra poco discerne e non vede che fosco e poi di minuto in minuto dilatandosi le pare che l’aura le si rischiari d’intotno, la musica del primo tempo di Raff progredendo si rasserena anche ed i suoni par che si diradino intorno alla pupilla dell’udito già [p. 142 modifica]142 •GAZZETTA MUSICALE DI MILANO dilatata e riposata. Allora incomincia il gran concerto del bosco, e il gorgheggiar de’ garruletli augelli, e il bordone delle foglie e il dondolamento degli arbori; v’ha chi vi ha udito perfino il muggito de’ buoi, mugitusque boum, ed altri anche il mugolio più dolce delle giovenche, v’ha chi ha riconosciuto uno ad uno gli augelletti che cantano. Noi non abbiamo voluto penetrare troppo in codesta analisi e ei siamo accontentati alla sintesi; abbiamo ammirato grandemente la poetica osservazione della natura nella quale il Raff ha posto tanto diligente studio quanto non avrebbe potuto porne di più un vero pittore. La melodia che domina questo tempo è come abbiam detto, blandissima, vaga, ondulata, partecipa assai della maniera patetica e sensuale del Brahms, ei ha del silvestre e del montanico ad un tempo, ma di lunga lena non è, presto si sperde come la carezza d’uno zeffiro. — Segue un adagio, direi quasi un notturno. Vi scorre mollemente per entro il calmo e solenne respiro della selva addormentata. Avremmo gridato, se fosse stato lecito, ad una certa battuta verso la cadenza estrema del primo canto, avremmo gridato ciò che esclamava il conte-duca Orsino, personaggio di una commedia di Shakespeare. Cette mesure encore ztne fois! elle avait une cadence mourante: oh! elle a effleuré mon oreille comme le suave zephir equi souffle sur un banc de violettes dérobant et apportant un parfum... Assez! pas davantage. Ce n’est plus aussi suave qzie tout à l’heure. Assez, pas davantage. La frase che segue quel primo canto non è più nè cosi soave nè così peregrina; Dadagio continuando, ripetendosi, si diluisce in varie trasformazioni strumentali, acquista grazia forse, ma perde potenza. Un leggiero tremolio di violini e un cinguettio di flauti, come Un’aura dolce senza mutamento lo circonda, ma l’impressione vergine e nuda del tema melodico non è sorpassata. A nostro parere, la prima pagina di codesto adagio è, melodicamente parlando, la più alta di tutta la sinfonia. Segue uno scherzo, la danza delle driadi. Vezzoso, ben adorno di leggiadra, peregrina istrumentazione; elastico nei ritmi, ora balzante su gambe di levriero; or scivolante e fluente come veli di ninfa. Il trio di questo scherzo è un arabesco leggiadrissimo di disegni ritmici e di note flautate colte sull’estreme eseguita del cantino, par in udirlo che ad un tratto i grilli della notte si mettano a cantare mentre continua la danza delle ninfe dei boschi. Il Raff si compiace ad accoppiare nel suo programma sinfonico la mitologia greca alla saga alemanna, le Driadi classiche al Dio Wodàno o Godano e alla fata Hulda, al Mercurio romantico e alla Ecate romantica. Nell’ultimo tempo codeste due deità scatenano una fra le più portentose caccie fantastiche che sieno passate attraverso le visioni d’un cervello umano. Quest’ultimo tempo lungo quanto i tre primi uniti assieme è lo squarcio più ammirabile della sinfonia e può essere analizzato tanto dalla mente d’un musicista come da quella d’un pittore, come da quella d’un poeta. Il Raff ideando cotesto ultimo tempo riuni in sè stesso la fantasia di Weber, di Kaulbach e di Uhland, La notte è ancora folta, le Driadi sono scomparse; la calma regna nella selva. Solo chi tende l’orecchio fra il folto delle querele ode un hallali d’un corno così lontano che per la sua lontananza non è afferrato dall’udito come uno squillo, ma piuttosto come la vibrazione d’una corda sonora. Questo hallali solenne, grave, fatato, è ripercosso dal vento o da altri corni da caccia posti nei varii punti della foresta. Il Raff da questa idea di poeta ha saputo trarre una stupenda esposizione di fuga, Y Hallali ripetuto, riprodotto, modulato, s’avvicina sempre più, fin che il suo vero timbro può esser colto dal senso, infatti all’ultima risposta il corno di Wodàno s’ode nella pienezza delle sue risonanze. Ma un altro Hallali segue il primo, più concitato, più guerresco del primo, più ripercosso dagli echi, più temuto dalle belve. Una seconda caccia invade la selva e già la selva è piena Di nere cagne bramose e correnti Come veltri ch’uscisser di catena. Taïaut! taïaut! taïaut! taïaut!! l’orchestra intiera grida taïaut! come per aizzare i veltri infernali all’attacco; taïaut! taïaut! e all’urlo di caccia risponde l’abbaiamento feroce e stridente dei cani d’Ecate. E impossibile immaginare un più vertiginoso turbine di suoni. A voler seguir passo passo tutta la descrizione musicale del Raff ei sarebbe da riempire un lungo capitolo. La caccia poscia si disperde, s’allontana, ed entrano in iscena i satiri danzanti a suon di sistro, indi ricompare la caccia. Stupendissimo come concezione poetica e musicale, è un frammento di fuga nel centro del tempo che esprime la fuga delle belve inseguite, e stupendissima anche è la fine della sinfonia descrivente l’aurora. Codesto tempo è di gran lunga superiore agli altri tre anche perchè non v’hanno certe rilassatezze della forma come negli altri si notano. Nel primo tempo c’è una progressione di tono che vorremmo non udire, vuoto, volgare, fiacco è anche un intermezzo dell’adagio, li il pensiero del Raff s’accascia come stanco o noiato; in complesso la forma dell’adagio non ei persuade gran che, sempre però facendo eccezione del divino canto che lo inizia. Vero marchio d’originalità nello scherzo non pare che ei sia. Così nei tre primi tempi il dente della critica trova da mordere. Nell’ultimo no. Là tutto è nuovo, possente, tutto è ispirazione sana e robusta. A voler concretare il giudizio si potrebbe dire di questa sinfonia che il colore vi è gettato a piene mani con una profusione da pittore sublime, ma che linea vi fa difetto. Intendiamo per linea quella degli intervalli e dei toni che costituisce la vera ed unica essenza della melodia, quella che trovi in Beethoven su qualunque pagina tu legga. Ad ogni modo se col colore solo raggiunto per mezzo delle fusioni istrumentali ed armoniche il Raff seppe produrre effetti cosi imponenti, lodisi altamente l’artista tedesco e il suo speciale magistero. Vorremmo vedere altri compositori accingersi a scrivere altre sinfonie descrittive e trovare colmata da opere d’intelletti nuovi e gagliardi codesta lacuna dell’arte. La sinfonia descrittiva è un fecondissimo campo da mietere pei maestri d’oggi. La sinfonia descrittiva è una seducentissima forma intermedia fra la musica dipendente e la musica indipendente, fra il melodramma e la sinfonia classica. La sinfonia descrittiva è l’opera musicale romantica per eccellenza. Ma non possiamo finire senza dimostrare la nostra gratitudine alla commissione artistica della Società del Quartetto la quale ha voluto e potuto farci udire a Milano la più importante novità istrumentale della stagione. "Tobia Gorrìo Il nostro egregio collaboratore cav. Casamorata ei scrive una dotta lettera intorno all’aneddoto su Weber riportato in questa rubrica nel N. 15. Weber non si portò a Londra che nel marzo 1826, malaticcio, e vi mori poco dopo, cioè ai primi di giugno. È adunque impossibile che l’aneddoto, riportato da noi sulla fede d’un giornale francese, si riferisca a Weber e siam lieti di dovere questa rettifica ad un nostro collaboratore. Non crediamo per altro come fa l’egregio Casamorata che questa inesattezza possa esserci posta a carico. L’episodio che abbiamo riferito è [p. 143 modifica]GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 143 affatto personale, tocca l’individuo e non l’artista, nè il musicista; e l’essere vero o falso non ha valore di sorta pella critica e pella storia musicale. Nè, anche volendo, potremmo in cosa di semplice curiosità perdere tempo ad accertarci se i periodici che ce la danno non ei inducano o non siano stati essi stessi indotti in errore.


Poesia di A. MAFFEI, Musica di G-. PALLONI La Gazzetta del Popolo di Firenze parla nei seguenti termini di questa bella composizione del maestro Palloni: Lettore, hai mai’ veduto tre arti sorelle andare a braccetto insieme per una medesima strada, si che le bellezze dell’una si riverberino e si confondano con le bellezze dell’altre? Prendi una delle ultime pubblicazioni del Ricordi Due anime, e nella prima pagina troverai un disegno, nella seconda una poesia, nella terza una romanza. Il disegno del Ciseri, e rappresenta due anime pellegrine che s’incontrano in cielo e amorosamente si abbracciano. La poesia è del Maffei, e racconta in mirabili versi una scena paradisiaca. La musica è del Palloni, ed è fedele interprete del gentile concetto che ispirò pittore e poeta. Un’anima pargoletta sale dalla terra in cielo, perchè la morte crudele la separò dall’amabile consorzio del padre e della madre- Salendo nelle sfere celesti s’incontra in un’anima sorella che l’abbraccia e la bacia, lieta di vederla ritornare all’antico suo albergo. Ma sul viso a lei che gustò le gioie terrene brilla mesta una lacrima, e alle inchieste premurose della sorella, la derelitta risponde che quella lacrima cadde dagli occhi della madre infelice, quando la baciò per l’ultima volta in terra; perchè in terra s’hanno dolori e spasimi che le immortali abitatrici del cielo non conoscono. Commossa al pietoso racconto, l’anima giovanotta rivolge una preghiera a Dio, e ‘gli domanda d’andare in terra a consolare il dolore di quella madre disperata. Esaudito il prego, l’anima scende in terra e si veste delle membra gentili d’una bambina, vero angioletto terrestre a cui il poeta fa dire l’affettuosa romanza. Il connubio di quelle tre arti, pittura, poesia e musica, non potrebbe essere più felicemente riuscito. Si vedono nel disegno espressi i sentimenti di mestizia, di gioia, d’infinito desio che spìnge l’una verso l’altra le due anime. Si sente nella poesia tutta la grazia, l’elegante perfezione e la soavità del poeta che domanda al cuore l’ispirazione. E nella musica è felicemente traciotta, con la limpidezza della melodia, la leggiadra originalità del concetto, Faccio invito alle mie lettrici, a cui non è straniera la musica, di provarsi a cantare questa romanza gentile. Le compenserà di tanta musica vuota e pretenziosa che non merita neppure l’onore d’una superficiale lettura. Sabato, 27 aprile. Le sorti elei Politeama sono assicurate; dopo il successo delV Aroldo e della Semiramide, quell’impresa può contare il successo del Ballo in maschera, e così la terna è perfettissima. È inutile spendere parole a dire che l’esecuzione del Ballo in maschera. è obbediente alle leggi di simmetria e rassomigli molto alle compagne che la precedettero. La trascuranza e la fiacchezza dei pezzi d’insieme è malattia ereditaria degli spettacoli del Politeama e finché il pubblico se ne appaga’, ed interviene numeroso, e per non privarsi delle beatitudini di quel tempio dell’arte, sa sfidare anche gli uragani, non è certo l’impresa che si adatterà a sacrificare e far sacrificare il comodo sistema estemporaneo che governa quel teatro. Per debito di giustizia devo dire però che nel Ballo in maschera l’insufficienza di prove era un po’ meno visibile che nella Semiramide e i pezzi concertati un po’ meno sconcertati di quelli dell’Aroldo, e, cosa insolita, i cori fecero bene il loro dovere. Parlo della prima rappresentazione, chè della prima io ne ho avuto di troppo, e i cronisti mi hanno informato che le successive sono andate assai meglio. In quanto agli artisti principali, tolto il Viganotti, che anche in quest’opera è eccellente, gli altri sono poco più che mediocri. La signora Pollaci (Amelia) è un’esordiente, che ha voce gradevole, aspetto gentile, e buon metodo di canto; le nuoce però molto l’impaccio e la paura; la signora Garbato, artista di merito riconosciuto, ha fatto male ad accettare la parte d’indovina, che si direbbe scritta per mettere in evidenza i difetti della sua voce, altrettanto robusta e squillante nelle note acute, quanto fioca ed ingrata nelle basse. Il tenore Tagliazucchi pose nella sua parte molto buon volere, cantò bene la barcarola, Di tu se fedele, ed ebbe qualche buon momento nel resto dell’opera. Bene quasi sempre l’orchestra, diretta dal bravo maestro Baur. La compagnia francese che recita al Re (vecchio) ha dato una nuova operetta dell’inevitabile Offenbach. S’intitola Le Pont des soupirs e la scena avviene in Venezia. Ci è un Cornarino Cornarmi ammiraglio che è fuggito dinanzi all’inimico, ritorna trasvestito in patria e trova la moglie in stretti rapporti con un paggio Amoroso e assediata dalle seduzioni di Fabiano Fabiani Malatromba. Costui è un patrizio potentissimo che fa rapire la bella ritrosa, obbliga il marito incognito a tenergli mano, e il consiglio dei dieci a nominarlo Doge. Ma il mistero dell’ammiraglio è svelato, e il povero Cornarino Cornarmi è condannato a morte. Gli viene presentata la minuta dei supplizi! perchè scelga, e sceglie l’impiccamento, dopo di aver protestato inutilmente che egli non ha appetito di simili vivande. Ma al momento dell’esecuzione si scopre che Cornarino Cornarmi invece d’un vile era stato semplicemente un eroe, si sospende l’esecuzione, gli si ridona la moglie col relativo paggio e cala il sipario. L’argomento come si vede è insulso; ma vi sono alcune amene situazioni, alcuni scherzi ben riusciti, alcune stravaganze di buon gusto, e si ha spesso occasione di ridere. In fondo non so bene se si rida più della repubblica veneta ^parodiata, o dei lazzi degli autori ed attori francesi, ma si ride, e non si può dire che Le IJont des soupirs abbia fatto fiasco. Il motivo più grazioso della musica è la serenata del primo atto; il resto è mediocre quando non è mediocrissimo. Più gradita di questa novità riuscì la ripresa della Perichole colla signora Matz - Ferrare. L’inimitabile artista fu accolta con vivi applausi e giustificò le accoglienze con un’esecuzione piena di moine garbate; essa ha l’abilità d’ingentilire le cose più scurrili, e dove altri non trova che il grottesco o l’osceno essa riesce ancora ad afferrare un lembo, l’estremo lembo dell’arte. Avvenimenti musicali di somma importanza furono i due concerti sinfonici della Società del Quartetto col concorso del celebre violoncellista Piatti. Il Piatti è Bergamasco, ed allievo del Conservatorio Milanese; la sua fama è però tutta o in gran parte straniera, e noi da gran tempo non ne udivamo che l’eco perchè erano 8 anni che egli non si era fatto udire in Milano. Questa volta sbalordì; meravigliosa vigoria, agilità, espressione, canto puro, egli ha tutte le doti del violoncellista perfetto. Nella Sonata VI di Boccherini e nella Litania di Schubert fu una rivelazione. [p. 144 modifica]4’ m^^S^ìsSSWSBs 144 GAZZETTA. MUSICALE DI MILANO Il Piatti è anche compositore valente; ma nelle sue pregevoli composizioni che ei ha fatto udire si è notato il difetto che non si scompagna mai dai concertisti compositori, cioè la ricerca degli effetti e l’assiepamento di difficoltà inutili alla composizione. La parte sinfonica di questi due concerti comprendeva una novità che fece molta impressione anche sui profani, voglio dire la sinfonia Nella Selva di Raff. È musica descrittiva che contiene pagine stupende arricchite da un’istrumentazione miracolosa. Fu eseguita con molto colorito, e Faccio la diresse con vigoroso entusiasmo. Li Ouverture, - la Grotta di Fingallo - di Mendelssohn e quella di Schubert - Rosamunda - piacquero assai; più la prima che è ispirazione melanconica commoventissima. Una notizia: Lunedi si apre la Scala, per dare due rappresentazioni della Lucia a benefìcio degli Istituti Teatrale e Filarmonico. Il capolavoro di Donizetti avrà ad interpreti le signore Adelina Budel Adami (Lucia) e Cappelli, ed i signori Ronconi (Edgardo), Rossi Romiati (Enrico), Marino (Arturo) e Bagioli. Tutti questi artisti prestano T opera loro gratuitamente. Oltre T opera sarà eseguito dalle allieve della Scuola da Ballo un Divertimento Danzante del signor Giovanni Casati. A questo spettacolo, di cui l’iniziativa si deve al prof. Ernesto Cavallini, assisteranno il Re e la Regina di Danimarca, il Re di Grecia, il Principe di Galles e non so quanti altri re, regine e principi che si trovano di passaggio in Milano. Della Scala poi se ne dicono d’ogni cotta; si parla già delle opere che avremo nella prossima stagione 1872-73 degli artisti scritturati (baritoni, Maurel, Colonnese, tenore Campanini, bassi Maini e Milesi) e di quelli che si vogliono scritturare. La sola cosa certa è che il Sindaco ha diretto ai palchettisti una circolare per invitarli a concorrere colle offerte alle enormi spese della stagione teatrale. Il tentativo è lodevole. Ma sarà questa volta più fortunato degli anni passati? •e-ì=®=:-== Un giornale tedesco annunzia; «La sinfonia di G. Vierling, recentemente eseguita con grande successo, fu pubblicata dall’editore Trautwein, ridotta a pianoforte per una sola mano». Sarebbe cosa curiosa davvero! L’Università di Gratz ha finalmente ottenuto una cattedra per la teorica e la storia della musica. Essa venne occupata dal dottor Federico Aon Hausegger, che fece già letture pubbliche interessanti. La festa musicale della Società corale tedesca universale avrà luogo quest’anno, non a Berlino, ma a Kassel alla festa di San Giovanni. Si conta sopra la cooperazione di Franz Liszt. Il teatro popolare Walhalla a Berlino diede, giorni sono, a1 suoi frequentatori uno spettacolo composto della tragedia in cinque atti: Il mercante di Venezia di Shakspeare, dell’opera in quattro atti Guglielmo Teli di.Rossini e di varii ballabili. E tutto ciò per un biglietto d’ingresso di 5 grossi (centesimi 63)! ¥ Il Ministero dell’interno notifica a que’ maestri i quali desiderassero concorrere alla composizione e direzione della Messa funebre da celebrarsi il 29 luglio 1872 nella metropolitana di Torino, in commemorazione della morte del Re Carlo Alberto, che potranno presentare le loro domande, allo stesso Ministero, sino a tutto il 30 aprile. Per la suddetta Messa il Ministero accorda il premio di lire 900, rimanendo a carico del maestro compositore tutte le spese, tanto per la copiatura delle parti di canto e d’orchestra, che per le retribuzioni dei cantanti e de’ suonatori. A Rostock fu rappresentato, con gran successo, un nuovo Faust. L’autore è un certo F. de Roda.

  • Il celebre maestro Bottesini, nel suo passaggio per Alessandria d’Egitto,

aderendo alle vive istanze di numerosi amici, diede un concerto nelle sale del Circolo della Borsa.

  • Fu di passaggio in Milano il chiarissimo maestro Carlo Pedrotti.
  • Il barone Nolli, sindaco di Napoli, si è fatto iniziatore di una sottoscrizione

per erigere in quella città un monumento a Sigismondo Thalberg. ¥ Antonio Rubinstein avrà dato a quest’ora il suo concerto d’addio a Vienna, nel quale doveva far eseguire, tra le altre cose, la sua sinfonia Oceano in sei tempi, avendovi recentemente aggiunti un Adagio ed uno Scherzo. Leggiamo nel Boccherini di Firenze «La Rivista Europea del l.° aprile non reca vermi nome di altri soscrittori alla Soscrizione- Wagner, aperta con tanto entusiasmo dal suddetto giornale. Chi ha torto? Chi fa disegni intorno materie che non conosce, o chi non ha cieca fede nei letterati quando si tratta di musica?

  • E comparso il 3.° volume della Storia generale della Musica di Fétis.

Sono 560 pagine, e trattano della musica dei Greci, dei popoli italici, degli etruschi, della Magna Grecia, dei Romani e dei Siciliani. Si crede che il celebre autore abbia lasciato tali materiali da rendere facile, non ostante la sua morte, il proseguimento d’un lavoro così interessante per i cultori della musica. 4 La celebre Frezzolini è a Bologna. Leggiamo nella Nazione: Il Bazzini ha condotto a fine un suo nuovo lavoro: una Sinfonia-cantata avente a soggetto la disfatta di Sennacherib (Salmo 75) statagli commessa da S. E. il Duca di S. Clemente. Per decreto ministeriale, il privilegio del teatro Nazionale dell’Opera Comica di Parigi fu concesso al signor De Leuven, attuale direttore, fino al primo gennaio 1880.

  • Gli introiti dei teatri Parigini durante il primo trimestre del corrente

anno furono di 4,982,960 lire; avanzano cioè di 101,387 lire quelli del primo trimestre del 1870. Il celebre Mario ha accettato una scrittura per questa stagione al teatro della Zarzuela di Madrid. In una lettera diretta alla Correspondencia egli si accusa in certo modo di prolungare oltre il ragionevole la sua carriera, e ne dà per motivo le perdite enormi subite per i fallimenti di negozianti fiorentini presso i quali aveva collocato la sua fortuna. Cosi la Revue et Gazette Musicale di Parigi. II Re di Spagna ha conferito all’eminente violoncellista J. Van der Heyden la croce di cavaliere dell’ordine di Carlo III. Parigi, 24 aprile. Chi doveva dirci che il teatro Italiano troverebbe unicamente nel Matrimonio segreto la piccola vena d’oro che ha cercato indarno nel repertorio moderno! Il pubblico di Parigi è cosi fatto, che giudica spesso da quel che si dice e da quel che legge sui giornali. Ha udito ripetere dappertutto che l’opera di Cimarosa è un capolavoro; ciò è bastato per sentir un bisogno imperioso, urgente, irresistibile di assistere ad una rappresentazione del Matrimonio segreto. Ed ecco che corre al teatro, non senz’aver prima comperato il libretto, del quale legge avidamente la traduzione francese (in prosa); perchè innanzi tutto - deve saper di che si tratta, deve conoscere l’intreccio della commedia; la musica non viene che in secondo luogo. Ed ardisco dire che la metà almeno dell’immenso successo del Barbiere di Siviglia a Parigi viene dalla conoscenza che il pubblico ha della commedia di Beaumarchais, rappresentata regolarmente ogni due o tre mesi al Teatro-Francese. Voglio dire che anche con una musica meno bella, il Barbiere avrebbe avuto, un egual successo. Il Matrimonio segreto, dunque, è stato rappresentato tre volte [p. 145 modifica]GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 145 di seguito al teatro Italiano, fatto assai raro, sopratutto in questa stagione musicale, che vede cambiare il cartello quasi ad ogni rappresentazione. Nè ciò è bastato: si annunziano altre rappresentazioni per la prossima settimana. Son sicuro che se il nuovo direttore del teatro Italiano avesse preveduto questo successo, avrebbe potuto aprire il teatro, con una compagnia composta dei soli cantanti che figurano nel Matrimonio segreto, e dare quest’opera durante tutta la stagione; trenta, quaranta volte di seguito, più ancora, volendo. Il pubblico si sarebbe sempre rinnovellato, e tutta Parigi sarebbe corsa alla sala Ventadour. È precisamente come i montoni di Panurgo, che discendevano dalle famose pecorelle di Dante: E quel che l’una fa, e l’altre fanno. Andate loro a domandare il perchè. Vi diranno che non possono esimersi di assistere ad una rappresentazione alla quale tutti corrono. - E il perchè non sanno; o almeno non ne sanno altro. Per esempio, tutti son d’accordo nel dire che l’opera fantastica (féerie} intitolata il Re Carota è una scempiaggine, messa in scena con gran lusso; e tutti corrono a vederla. Perchè? Risponderanno: - Tutti ei vanno, ei andrò anch’io. Ed ecco il segreto delle cento e dugento rappresentazioni che conta sovente un’opera che altrove non ne avrebbe avuto che una ventina al più. Lasciamoli dunque andare in estasi col Matrimonio segreto, quantunque la bella musica di Cimarosa sia eseguita in modo assai mediocre e domandiamo al direttore perchè si affatica tanto a mettere in iscena altre opere. Ieri, per esempio, ha dato, la Linda di Chamouniæ per far esordire una tal Marchetti; domani darà la Norma per far esordire una tal Floriani. Incognita quella, non meno sconosciuta questa. Da qualche tempo vediamo sorgere non si sa dove una coorte di cantatrici che avendo ottenuto qualche plauso nei salotti, si credono da tanto da poter cantare in teatro, ed in qual teatro? agl’Italiani, ove non dovrebbero essere ammessi che cantanti di gran merito. Esse fanno anche sacrificii pecuniari per essere ammesse, non dico già nel numero delle cantanti scritturate, ma in quello delle artiste che cantano una sola sera, due tutt’al più. Al bisogno, pagherebbero il fitto della sala, le spese serali, ecc. E ciò per aver la magra soddisfazione di poter mettere sulle loro carte di visita sotto il nome la seguente qualificazione première artiste du Théâtre Italien à Paris. Mi si scrisse un giorno da una città di provincia per domandarmi che cosa pensassi d’un grande artista ch’era là, e che dava lezioni di canto. Risposi che noi conosceva neppure di nome. Sorpresa del mio corrispondente. Com’è che non conoscessi un cantante del Teatro Italiano, un primo tenore! Informazioni prese, seppi che l’artista in questione aveva cantato due sere la parte dello sposo nella Lucia, non quella d’Edgardo, beninteso l’altra. Ciò gli bastava per dargli il diritto di mettere sulle sue carte - ténor du Théâtre Italien. Non so se aveva avuto la tracotanza d’aggiungere -premier ténor. La Marchetti dunque, che, a quanto mi si dice, ha fatto dei sacrificii per cantar la parte di Linda, poteva ben risparmiarseli, e sopratutto risparmiarci la pena di dover parlare del suo poco felice successo. E notate che dicendo «poco felice» obbedisco alle regole della più delicata convenienza, che bisogna serbare col sesso gentile. Se fosse questione d’un baritono o di un basso sarei meno scrupoloso. Non so chi sia questa signora Floriani, che deve esordire giovedì prossimo nella Traviata, ma temo forte che non abbiamo a sopportare una seconda edizione del début di ieri. Il nome stesso che è annunziato sull’affisso dev’essere un pseudonimo. La precauzione non è inutile. Se l’esordiente piace, se è applaudita sarà sua cura di smascherarsi, e di far dire l’indomani da tutti i giornali qual’è il vero nome dell’artista che, per modestia o per ragioni di famiglia, si è nascosta sotto il pseudonimo assai eufonico di Floriani. Se ha la stessa sorte della Marchetti, o presso a poco, si ritira in buon ordine, e nessuno ne parla più. — Quante e quante ve ne ha, che imparano una sola opera, la studiamo più mesi con qualche professore di canto, che pagano più del dovere, e poi si presentano al pubblico del Teatro Italiano, ove i fischi sono ignoti. Se l’artista è al disotto del mediocre, o peggio, si ride, ecco tutto. E si è riso molto iersera alla rappresentazione della Linda. Il direttore del teatro, Amedeo Verger, fece scritturare (in qualità di agente teatrale) or son sei o sette anni, la Marchetti per Caracas. Di là essa andò al Perù, alla Piata, in California, ecc. Le orecchie degli Americani del Sud non se ne trovarono male. Questione di latitudine. Le orecchie francesi (ed anche le italiane, perchè ve n’erano molte al Teatro) non vi hanno trovato lo stesso piacere. Quistione di gusto. La voce esile ed agretta dell’esordiente ha ottenuto un successo d’allegria comunicativa. Tutto ciò è veramente fastidioso. Il Verger non si accorge che guasta completamente i suoi negozi, perdendo la fiducia del pubblico. Come farà ad aprire di nuovo il teatro nel prossimo autunno, se continua ad ispirare la diffidenza? Andate a parlargli di qualche buona cantante, libera e che ha voce e merito, farà il sordo. E poi farà esordire delle artiste che non sarebbero tollerate ad un teatrino di provincia! Povero teatro italiano! Come è andato giù e come minaccia di andar più giù ancora!.... Ma che farci!... Costà si fischierebbe e si farebbe calar la tela prima di finir lo spettacolo. Qui si ride, ed il direttore fa le orecchie di mercante, e, tristo a dire, ricomincia il domani. Se andiamo di questo passo, non sarà più il direttore che pagherà gli artisti; ma viceversa; quelli o quelle che non hanno potuto mai trovare una scrittura, offriranno di cantar gratis, o pagheranno le spese serali e canteranno. Che bella prospettiva per coloro che amano la musica italiana e che erano assuefatti a udirla ben eseguita al teatro Italiano! Questa sera all’Opéra-Comique ha luogo una rappresentazione a beneficio del cantante Chollet, il quale si ^produrrà in un duetto con la signorina Ducasse. Perchè soltanto in un duetto? mi domanderete. Perchè un semplice duetto è anche troppo per un artista che, essendo nato il 20 maggio 1798, conterà tra quattro settimane la bagattella di 74 anni. Cominciò la carriera da corista all’Opéra nel 1815. Entrò all’Opéra Comique nel 1826. Hérold scrisse per lui Zampa, Auber gli affidò la prima parte nella Fidanzala e nel Fra Diavolo, Adam quella del Postiglione di Lonjumeau, che fu il suo cavallo di battaglia. Lasciò, il teatro nel 1840; vi fe’ritorno nel 1854; ma con poco successo; persuadendosi che a 56 anni la voce non è della prima freschezza, si ritirò definitivamente. Questa sera canterà ancora, e sarà applaudito, ma per l’ultima volta. E l’addio supremo che dà alla scena ed al pubblico che l’amò tanto. Si consolerà suonando il violino, giacché è abilissimo suonatore, e se la voce è un po’ tremula, la mano è ancora ferma e nel suo cuore ferve tuttora l’amore inestinguibile dell’arte. Chiuderò questa lettera col dirvi che il successo dellMAùz a Parma è giunto fin qui e che molti giornali hanno riprodotto il telegramma che annunzia questo terzo trionfo dell’opera di Verdi; il Cairo, Milano, Parma, l’hanno applaudita. Quando potrà farlo Parigi? — Quando VOpéra avrà artisti che potranno cantarla. L L Bei’lino, 11 aprile. La settimana santa ei ricondusse una serie infinita di musiche sacre, fra le quali come un fantasma inevitabile, il centenario, La morie di Gesù di Ew. Liebden Graun, di cui non vi parlerò più per paura di promuovervi lo sbadiglio. E davvero inesplicabile l’ostinazione di parecchie società musicali, che eseguiscono ogni anno questo noioso spartito poverissimo di vero sentimento. Un altro musicista de’ nostri giorni, di nome Ueberlée, disse a sè stesso: perchè non potrò aver aneli’ io il piacere, imitando la morte di Gesù, di veder eseguito annualmente un oratorio mio? e scrisse Le parole di Dio, parole più noiose ancora della morte; è un lavoro che non saprei attribuire degnamente ad altri fuorché ad un insignificante al [p. 146 modifica]146 G A Z ZE T T A M U S I lievo di conservatorio, o tenerlo in conto d’un passatempo d’un dilettante mediocre. E vero die le parole furono poco divine, ma oltre che un compositore di talento avrebbe superato quegli impedimenti, l’autore mostra di non avere un’idea minima dello scriver per l’orchestra e meno per le voci, credendole violini o violoncelli. Maggior successo, ma non pari al vero suo merito, ebbe il Deuisches Requiem di G. Brahms, eseguito dal Caecilienverein col concorso della Berliner Sinfonie capelle sotto la direzione del bravo maestro Alessio Hollaender, nella Garnisonkirche; vi assistettero, oltre molte celebrità, l’imperatrice Augusta con parecchie principesse. Questo capolavoro è scritto nella maniera semi-sacra, i luoghi drammatici della missa prò defunctis sono così frequenti, che ricordano spesso il teatro, ciò che naturalmente è un’eresia pei critici severi. A me pare naturale che il compositore, a cui la traduzione delle parole vecchie latine nella lingua vivente del suo popolo concede più di forza nell’espressione e nella descrizione drammatica, adoperi a questa maniera. La gente credette d’udir una messa severa colle fughe doppie nella maniera del Bach e dello Haendel, invece ricevette delle riflessioni sulla vanità degli uomini e del mondo. Un vero fallo del lavoro è, che nella massima parte le parole scelte sono troppo didattiche, essendo cosi base infelice alla vera musica elevata, ma un maestro che ha fama e potenza, come Brahms, superò queste difficoltà e produsse un capolavoro. Fra i pezzi migliori citerò il terzo coro ricco di stupendi effetti, il lungo punto d’organo (basso d’org.) base a vere bellezze armoniche e contrapuntiche; il secondo tempo All’eri)a sembra la carne che ha un’istrumentazione grandiosa principalmente alle parole è disseccala l’erba, è appassito il fiore, e finalmente il coro non abbiamo un luogo di riposo. Speriamo un’altra esecuzione fra poco, e che sia convertita la folla degli increduli. Un altro nuovo oratorio, Giovanni Battista, di Rolbe non potè avere l’esecuzione determinata, perchè un membro dell’opera, nostra, avendo assunto la parte del basso, ebbe la sfrontatezza inaudita di far sapere due ore prima dell’esecuzione al compositore, che non aveva voglia di cantare in un lavoro mediocre. Naturalmente la gente che si era già collocata nell’atrio della Singakademie dovette andar a casa, l’esecuzione non ebbe luogo e le molte spese per l’orchestra, la sala, gli altri concorrenti, ecc., ecc., furono tutte vane. Quel basso chiamasi Behrens, è artista mediocrissimo, e tenne in nessun conto la pena ben meritata d’esser fatto segno a riprovazione da tutti i giornali berlinesi. Dicendovi che la Singakademie esegui nel modo solito, la grandiosa Passione di S. Matteo dell’insuperabile G. S. Bach, parmi di dirvene assai; voglio finire la mia rivista ecclesiastica menzionando un concerto magnifico dato nel Duomo regio dal bravo organista Dienei col concorso della Mallinger (la prima volta ch’essa cantò in chiesa fra noi) del Rehfeldt (violinista) dello Stahlknecht (violoncellista) e del Coro del Duomo. Era tanto affollata la grandiosa chiesa che il pubblico venuto in ritardo, dovette accontentarsi di prender posto sulle lastre del suolo, ma il godimento avuto gliene procacciò compenso. Il Dienei suonò con tecnica grande e con molta intelligenza musicale un preludio di Bach ed una sonata di Mendelssohn, lo Stahlknecht suonò col solito sentimento Tre giorni fa che Nina di Pergolese, il Rehfeldt accompagnò la Mallinger nell’aria Tu cuore gioioso rallegrali della Cantata di Pentecoste di G. S. Bach, e suonò con molta perfezione e purezza una sonata di Tartini. La Mallinger cantò con tale dolcezza e forza, come mai abbiamo inteso da lei; principalmente l’aria Se i miei sospiri dello Stradella eccitò un’impressione indescrivibile sul pubblico. Ripeto che il pubblico berlinese prova assai dolore pella partenza di questa valente artista, che fu veramente ornamento bellissimo della nostra vita musicale. L’ultimo concerto della Riunione di Rotzolt ebbe luogo in questi giorni col concorso dell’amabile figlia del direttore, signorina Antonia Rotzolt e del quartetto Spolir. Le novità nei cori a cappella erano: una canzonetta di Orlando di Lasso (1560) scritta nella maniera grandiosa di quel maestro, un Canto dei CALE DI MILANO marinai a 5 voci di Vierling, vero gioiello nella letteratura del canto a cappella ed una delle felicissime ispirazioni di quel maestro tedesco, non apprezzato quanto merita, un Canto di mattina di Grimm, di buon effetto, ma d’un colorito troppo- strumentale ed una serenata di Al. Hollaender, lavoro pregevole assai. Il coro di Rotzolt è l’unica riunione privata che coltiva il canto a cappella. La rara perfezione di questa società merita molta lode e principalmente il bravo maestro. Cantò la signorina Rotzolt un’aria di Mozart e due canzonette di Taubert e Hopffer, con molta purezza e perfezione, ma senza il vero sentimento artistico. Spohr suonò lo stupendo quartetto (la min.) di Schumann con una perfezione che provò di nuovo l’intelligenza e gli studi profondi di quei signori. Il quartetto, creato non molto prima del famoso quintetto (mi bem) dello stesso autore, mostra la stessa opulenza d’idee, la stessa perfezione nel trattar gli stromenti e la stessa sapienza nel contrappunto; è il migliore quartetto creato dopo Beethoven e Schubert. Un concerto curioso assai ei diede, pochi giorni sono, un compositore russo Leonida di Malaschkin nella Singakademie col concorso della Lehmann, cantatrice regia, delLHenschel, baritono, e della Berliner Symphoniecapelle. Il progamma non conteneva che composizioni d’autori russi: Glinka, Dargomirschky, Séroff (il Wagner russo) e Malaschkin, fra i quali il primo è il migliore, essendo stato (è già morto) allievo dall’ottimo contrappuntista S. W. Dehn da Berlino, e cosi collega di musicisti celebri quali Ant. Rubinstein, Federig. Riel, Bern. Scholz; ma con lui incomincia il decrescendo della potenza musicale russa. Un suo scherzo Kamarinskaja (epitalamio russo), benché non contenga molte idee musicali di gran peso, è lavoro molto pregevole per la fattura e per la brillante stromentazione; l’introduzione all’opera La vita per lo czar ha qualche cosa del colorito e della fattura leggiera francese; entrambe portano le fìsonomie russe, la pletora della zona nordica. Un maraviglióso contrasto formano le canzonette di Glinka e Malaschkin cantate dalla Lehmann o dallo Henschel. Non lasciano i tuoni di minore, ed il curioso pendere fra due toni produce un effetto bizzarro assai. Le composizioni del Malaschkin provano del talento, senza aver nulla di straordinario; la sua istruzione musicale e la formazione dei suoi motivi ha origine nel Mendelssohn e Schumann, oltre che non può formar e lavorar un motivo in modo sinfonico, come lo mostrò una sua sinfonia, vita artistica, che è tutt’altro che una sinfonia. Molto successo ebbero una Fantasia di Kosaki di Dargomirschky, piena di brio e d’eleganza, senza nissuna ruvida stravaganza, ed una introduzione all’opera Giuditta di Séroff. Come ho detto questi è wagnerista, quindi la formazione dei motivi ricorda molto i prodotti di Wagner, nondimeno sa trarre* effetti irresistibili. Consigliamo al Malaschkin di fare studi profondi, perchè crediamo che potrà essere un giorno un valente maestro, e fare onore alla sua patria.

  1. q.

Per abbondanza di materia rimandiamo al prossimo numero le corrispondenze di Napoli e Vienna giunteci in ritardo. MILANO. Per la beneficiata che ha luogo al teatro della Scala la sera del 20 corrente, la rappresentazione al teatro Piando che doveva aver luogo lunedì 29 corrente viene differita al successivo martedì giorno 30. [p. 147 modifica]GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 147 ROMA. Ottimo esito al teatro Capranica il Trovatore; non cosi i Masnadieri. per colpa dell’esecuzione poco felice. Piacquero nondimeno la signora Novetti, il tenore Lucidi e il baritono Ciolli. FIRENZE. Alla Pergola ebbe luogo un concerto a grande orchestra a benefizio degli Ospizi marini e degli asili infantili. Vi prese parte il violinista Brogialdi. Fra i pezzi più fortunati che vi si eseguirono sono le sinfonie del Domino Nero di Auber e della Mignon di Thomas, una Ballata polonese del Brogialdi e un duetto L’Estasi del Mabellini. Molti applausi, ma pochi spettatori. REGGIO. Ci scrivono: Applausi nella Chiara di Rosemberg a tutti gli esecutori, fra i quali emerse la signora Clementina Flavis-Cencetti che ebbe applausi e chiamate innumerevoli, specialmente dopo il rondo. Ottimamente il buffo Galli, bene Clementi, Giommi e Mola. GENOVA. Al Teatro Boria andò in scena con esito assai lieto il Ballo in Maschera, eseguito dalle signore, Trafiord, Gerii e Porati, da Parmisini, Buti e Cesari. TRIESTE. Ci scrivono: «Anche il Trovatore procurò vivi applausi ai valenti esecutori che sono: la signora Pascal-Damiani, il tenore Tombesi, che cantò ed agì egregiamente, come al solito, in tutta la sua parte, il Burgio, baritono, di elette maniere di canto e di forza drammatica poco comune; la signora Foà (Azucena) e il basso Zucchetti benissimo. Bene anche i cori e l’orchestra. ANCONA. Al teatro delle Muse ebbe splendido successo V Africana, interpretata dalle signore Destin e Contarini, dal tenore Carpi e dai signori Bellini e Fiorini, i quali tutti ebbero applausi senza fine. Il duetto del quarto atto fra tenore e soprano valse agli artisti sei chiamate al proscenio. L’orchestra, diretta dal maestro Polidori, fu inappuntabile e dovette ripetere le famose sedici battute. ALESSANDRIA (Egitto). Al teatro Zizinia ebbe luogo nei primi del corrente mese un concerto a profitto dell’ospedale Elleno. Vi prendevano parte la signora Sass, il celebre Bottesini, il violinista Consolo e la compagnia Meynadier. Bottesini ebbe i primi onori; anche la Sass e il violinista Consolo ebbero applausi entusiastici. BERLINO. Secondo una statistica testé pubblicata, nello scorso anno 1871 furono date sui regi teatri di Berlino 549 rappresentazioni, cioè 273 all’Opéra, 269 alla Commedia, 7 nella Sala dei Concerti. Le opere rappresentate furono 48, i balli 14. Le opere che ebbero maggior numero di rappresentazioni furono: Faust, Il Barbiere di Siviglia (11 volte ciascuna); Don Giovanni (9 volte); Gli Ugonotti, Jessonda, Freischütz (8 volte); Roberto il Diavolo, L’Africana, Mignon (7 volte); La Dama Bianca, Fritjof, Le nozze di Figaro, Il Trovatore, Lohengrin (6 volte); Fra Diavolo, Fidelio, L’Ebrea, Una notte a Granata, Czar und Zimmermann, Il flauto magico, Così fan tutte, Tannhaüser, Oberon ( 5 volte ). — Non ebbero che una sola rappresentazione le opere Carlo Broschi, Il domino nero, I diamanti della corona, Marie, Marta, Armida, Zieten-Husaren, Meistersinger, Rienzi. — Quanto ai balli, il Flik e Flok fu rappresentato 25 volte, Fantasca 17 volte. — Il Tannhauser raggiunse a Berlino la 100.a rappresentazione, Lohengrin la;50.a, Flik e Flok la 3OO.a NUOVA-YORK. Scrive VEco d’Italia del 10: Il Don Giovanni, capolavoro di Mozart, ebbe una inarrivabile interpretazione venerdì sera all’Accademia di Musica dal classico applauditissimo terzetto Parepa-Rosa, Santley, Wachtel, La Parepa-Rosa sostenne la parte di Donna Anna da eminente artista, per cui si-procurò straordinarie ovazioni. Essa emerse particolarmente nell’aria. La Vanzini, al cui timbro di voce sono più appropriate le opere di carattere serio, fece una impressione molto favorevole, ed ottenne un buon successo nel duetto col baritono, che si dovè replicare. Il Santley caratterizzò e vestì con molta espressione e squisitezza la parte del protagonista. Il celebre Ronconi fu un Leporello inimitabile per brio, e comica disinvoltura; fu sempre e lungamente applaudito, particolarmente al racconto: Madamina. Il "Wachtel in quest’opera non potè fare sfoggio della sua immensa estensione di voce, ma cantò molto bene la romanza, che sortì un bell’effetto. Il Dubreuil fu infine un buon Masetto, ed il Ryse sostenne con maestria la parte del Commendatore. Bene i cori e benissimo l’orchestra e le tre bande sul palco scenico nella scena del ballo, in cui si è molto distinta la ballerina italiana, signora Pagani. Lunedì sera, per generale richiesta, si è dovuto ripetere il Rigoletto, p l’esecuzione di questa bellissima musica di Verdi riuscì anche migliore di quella della prima sera. MADRID. Al teatro Jovellanos la Lucrezia Borgia, eseguita dalla signora Urban, dal tenore Ugolini e dal basso Castelmary, ebbe esito splendido. Il Don Pasquale colla Volpini, col tenore Vergés e col buffo Fiorini, fu un altro successo lietissimo. SIVIGLIA. Al teatro San Fernando la stagione fu inaugurata splendidamente colla Sonnambula, cantata dalla signora Ortolani-Tiberini, dal tenore Gayarre e dal basso Maini. Succedette con egual successo la Lucia, interpreti i coniugi Tiberini e il baritono Pandolfini. Nel Rigoletto ebbero accoglienze entusiastiche la signora Berini, il tenore Stagno, Pandolfini e Maini. Anche il Faust fu ben accolto; la Berini fu un’ottima Margherita, e la Corsi un bravo Siebel. Eccellenti Stagno, Pandolfini e Maini. PEST. Il Teatro Variété si aprì splendidamente col Trovatore a cui succedette V Emani. — Nelle due opere ebbero applausi vivissimi la ’signora Amalia Fossa, il tenore Patierno (che dovette ripetere la cabaletta di quella pira), il baritono Bertolasi, e il basso Milesi. Del gran finale dell’Emani «oh! sommo Carlo, si volle il bis. AVANA. La cessata stagione teatrale diretta da Tamberlìck al teatro Tacon lascierà grandi memorie. Al celebre tenore furono degni compagni la signora Giuliani e il tenore Vidal. Le opere eseguite furono: Trovatore, Emani, Ballo in Maschera, Profeta, Otello, Belisario, Figlia del Reggimento. Marta, e ultima la Marina di Arrieta che ottenne esito lietissimo. Il vasto teatro Tacon fu sempre insufficiente a contenere gli spettatori. Tamberlick è ora partito per Madrid, ma fu riconfermato al Teatro Tacon per il prossimo inverno. Pare che intenda scritturare le signore Krauss, Tiberini e Marimon ed il basso Petit. COPENAGHEN. La prima rappresentazione dei Maestri Cantori di Riccardo Wagner ebbe esito lietissimo. BRUXELLES. Coll’Amleto di Thomas il teatro La Monnaie prese la rivincita del fiasco del Vascello Fantasma. La signora Hasselmans (Ofelia) ha fatto dimenticare la Sessi; e il baritono Lasalle seppe non far desiderare Faure. — Firenze. Venne eseguita in S. Gaetano, per l’annua festività di S. Cecilia, una Messa a due cori del cav. Maglioni. Malgrado una esecuzione incerta, tutta la professione applaudì a questo lavoro magistrale. — Il maestro Krauss diede giorni sono un concerto biografico di Carlo Maria von Weber. Vi presero parte i professori Galli, Giovacchini, Sbolci, Polacco ed altri, oltre molte allieve del valente professore. - Il prof. Krauss si proponeva di dare un saggio della maniera di comporre di Weber dai suoi primi tentativi in età di 12 anni sino All’ultimo pensiero. L’interesse era vivissimo, la scelta dei pezzi fatta con molto gusto, l’esecuzione squisita. [p. 148 modifica]148 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO Montoro al Vorhano. È aperto il concorso per il posto di maestro di musica, per la istruzione e direzione della Banda e della Società Filarmonica.— Lo stipendio è di L. 1000 annue, oltre altri proventi. Perugia. Nel 15.° Reggimento Fanteria è vacante il posto di capomusica. Rivolgersi al colonnello del reggimento. scm li.. SPIEGAZIONE DEL REBUS DEL NUMERO 15: Metà degli uomini ride dell’altra metà Editore-Proprietario, TITO DI GIO. RICORDI. Tipi Ricordi — Carta Jacob. Oggioni Giuseppe., gerente. — Vienna. L’inaugurazione del monumento a Schubert è fissata al lo maggio venturo. La statua è interamente terminata ed è esposta nel laboratorio dello scultore Kundmann. La Mannergesangverein prepara un gran concerto per questa occasione. — Parma. Ieri, 22, — scrive la Gazzetta di Parma, — il nostro prefetto riceveva un telegramma di S. E. il ministro Correnti, col quale gli era partecipato che S. M. aveva, motuproprio, nominato l’illustre maestro Verdi, grande ufficiale dell’ordine della Corona d’Italia. Tale lieta notizia è stata partecipata dal prefetto al Verdi, degna ricompensa del re all’egregio maestro. — Genova. Il 24 corrente nella Sala Sivori ebbe luogo un concerto dato dal violinista Rodolfo Luise. Vi presero parte la signora Nina Martini, cantando la Povera madre di Mariani e un’aria di bravura del maestro Bozzano, col titolo T’attendo, il signor Spedalieri che cantò con molta vis comica alcuni pezzi buffi, e il signor Vassallo che cantò pure una romanza. Il violinista Luise fu assai applaudito nei varii pezzi eseguiti. — Siena. Ci scrivono: - Nella gran sala dei Rozzi ebbe luogo giorni sono un concerto a beneficio degli Asili Infantili e dell’Associazione popolare dei bambini scrofolosi. Vi presero parte tutti i più valenti dilettanti della nostra città, diretti dal maestro Formichi. Fra i pezzi eseguiti il Coro la Carità di Rossini, e la meditazione sul Preludio di Baeh di Gounod. Tutti gli esecutori, e in special modo le gentili e brave esecutrici ebbero applausi senza fine. — Iseghem. Si legge nel Guide Musical: La direzione del Crombez zanggenootscìiap ha l’onore di informare il pubblico che il giuri istituito per il concorso ha aggiudicato il premio di composizione ex aequo a due composizioni intitolate: Alleen e Ket Klooster, musica la prima di Giulio Devos, compositore a Gand, l’altra di Ludovico Felice Brandts-Buys da Zutphèn (Olanda) Una menzione onorevole fu accordata alla composizione Een Zomernacht, e il giurì espresse il suo dispiacere di non poterle decretare un secondo premio — Weimar. Il nuovo concerto per violino di Gioachino Raff fu eseguito per la prima volta alla presenza della Corte granducale, di Franz Liszt e molte altre celebrità artistiche, ed ebbe un successo straordinario. Raff dirigeva personalmente -, Wilhelmy eseguiva la parte assolo. I due artisti vennero chiamati molte volte. Franz Liszt, che aveva suggerito la scelta di Wilhelmy, lo abbracciò, profondamente commosso per la sua ottima esecuzione. — Firenze. Cesare Paganini, cultore di studi musicali, autore d’un’opera col titolo: Nuova teoria musicale vera normale, ossia radicale riforma ortografica grammaticale degli elementi della musica, basati sulla rigata meloplastica cavata dalla tastiera del pianoforte, morì testé a 65 anni. Fu ingegno versatile, forse troppo, e l’aver saputo esser poeta, pittore incisore, cantante e musicista gli tolse di elevarsi a grande altezza. — Corfù. Nicolò Coleopulo-Manzaro, maestro compositore di musica. — Mannheim. Carlo Kühn, cantante pensionato. — Iglau. Carolina Hess, cantante, morì il l.° aprile. — Vienna. Antonio Halm, distinto compositore e professore di pianoforte: fu amicissimo di Beethowen; morì il 6 aprile in età di ottantaquattro anni. — J. B. Navratil, professore di musica, morì il 25 marzo a 76 anni. Quattro degli abbonati che spiegheranno il Rebus, estratti a sorte, avranno in dono uno dei pezzi enumerati nella copertina della Rivista Minima, a loro scelta. Ne mandarono la spiegazione esatta i signori: maestro Gio. Becchis, maestro Giuseppe Falavigna, rag. Bernardo Bonandrini, P. Pomé, Achille Melzi, Giuseppe Belletti, P. Pietra, Camillo Cora, maestro Salvatore Botta, Camillo Ciccaglia, Ernestina Benda, Emilio Donadon, Antonio Casati, Alfonso Fantoni, Cesare A. Picasso, Carlo Castoldi, Francesco conte Tarsis, capitano Cesare Cavallotti, prof. Annibaie Mandelli, Orazio Zunica, prof. Angelo Vecchio, Citerio Amos, S. Saladini, Talia Bianchi Giovini, E. Bonamici, B. Lopez-y-Royo Duca di Taurisano, Giuseppe Onofri, Giovanni Battista Griz, Aldo Beppi, G. Piccioli, maestro Antonio Biscaro, Paolo Grassi. «Estratti a sorte quattro nomi, riuscirono premiati i signori: Bernardo Bonandrini, Orazio Zunica, B. Lopez-y-Royo e Salvatore Botta.