Gazzetta Musicale di Milano, 1872/N. 18
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REDATTORE SALVATORE FARINA SI PUBBLICA OGNI DOMENICA Al presente numero sono annessi il IV. €> della. RIVISTA MINIMA e le tavole IO e 11 de^Ii AirOGRAII. ULTIMI GIORNI DI BEETHOVEN “ Benché io non abbia raggiunto un’età molto avanzata, rimangono in vita pochi assai di quelli che, al par di me, ebbero l’onore di vedere il più grande artista del nostro secolo e di trattenersi con lui. Dotato d’intelletto precoce, come la maggior parte dei musicisti, io potei seguire dal 1825 al 1827 le lezioni del celebre Kummel a Weimar, e mi fu dato di accompagnarlo in un giro artistico per Lipsia e Dresda a Vienna, viaggio che egli intraprese nel 1827. In quell’anno aveva nevicato abbondantemente e faceva un freddo vivissimo, però avemmo più d’un fastidio. Mi sovvengo tuttavia con piacere della corsa in slitta che facemmo da Dresda a Praga con un tempo superbo. Sento ancora una reminiscenza di giovinezza penetrarmi quando mi vedo assiso al fianco del mio maestro diletto, volando attraverso le montagne della Boemia coperte di neve e dorate dal pallido sole d’inverno. Il lunedì 6 marzo 1827 arrivammo stanchi nella villa ini-periale. Alle 8 andammo a visitare Beethoven. Benché in quel tempo si riuscisse ad apprendere assai meno intorno ai più grandi uomini di quel che oggidì si apprenda in una settimana intorno ai minimi, la notizia della malattia di Beethoven era giunta fino a Weimar. Beethoven soffriva d’idropisia. A Vienna tutti gli artisti che venivano a visitare Kummel ei davano nuove assai inquietanti sul suo stato, che non solo era disperato ma eziandio triste al di là d’ogni espressione. Una sordaggine assoluta, un sentimento di diffidenza sempre crescente; sofferenze fisiche; operazioni senza risultato favorevole; una tristezza continua nella sua solitudine; una fìsonomia quasi spaventevole — ecco la pittura che ne veniva fatta dello stato del grand’uomo. Così prevenuti, noi prendemmo il cammino del sobborgo. (1) Ferdinando Killer che, in età giovanissima, ebbe la fortuna di avvicinare Beethoven, ei informa degli ultimi giorni che precedettero il tramonto del grande compositore. Dopo di aver attraversato una vasta anticamera, dove entro alli armadi erano accatastati enormi pacchi di manoscritti di musica, entrammo (mi batteva il cuore) nell’appartamento di Beethoven, e fummo assai meravigliati di vederlo seduto alla sua finestra in aria di buon umore. La sua ampia veste da camera di stoffa grigia era semi-aperta; portava stivali che gli giungevano alle ginocchia. Assottigliato dalla malattia, mi parve d’alta statura quando si levò. Non aveva fatto radere la barba e l’abbondante capigliatura grigiastra gli cadeva in ciocche disordinate sulle tempia. L’espressione del suo viso si rischiarò e divenne amichevole quando riconobbe Kummel, e parve rallegrarsi molto della sua visita. Si abbracciarono cordialmente. Kummel mi presentò; Beethoven mi si mostrò benevolo, ed io potei sedermi in faccia a lui nella finestra. Nissuno ignora che la conversazione con Beethoven doveva farsi in parte per iscritto; egli parlava, ma il suo interlocutore doveva scrivere le sue domande e le risposte. A tale effetto egli aveva sempre sotto mano dei foglietti di carta e delle matite. Come doveva riuscire penoso a quest’uomo sempre così vivace, direi quasi pronto all’impazienza, di dovere attendere ogni risposta e incatenare ad ogni istante la sua splendida intelligenza, sempre che avveniva una pausa nella conversazione. Per quanto me ne dolga, io non posso farmi un rimprovero di non aver annotato seriamente tutte le parole di Beethoven; devo anzi rallegrarmi di aver avuto, a quindici anni, e trovandomi per la prima volta in una gran città, abbastanza calma per ritenere alcuni particolari. Colla coscienza in riposo, posso ora garantire la perfetta esattezza di ciò che comunico. Da principio la conversazione si mantenne nei limiti delle cose banali: si parlò di viaggi, di soggiorni, di relazioni con Kummel, ecc. Beethoven chiese con interesse affatto speciale di Goethe, di cui noi potemmo dare le migliori notizie. Alcuni giorni prima, prevedendo il nostro viaggio, il gran poeta aveva scritto alcune linee nel mio album. Il povero Beethoven si lamentava molto del suo stato. «Sono quattro mesi che mi trovo qui, sciamò egli; ce ne sarebbe da perdere la pazienza.» Tutto sommato la maniera con cui le cose cammina 150 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO vano a Vienna non rispondeva alle sue vedute, ed egli biasimò con termini pungenti «il gusto artistico attuale e il dilettantismo che guasta tutto.» Lo stesso governo non si sottrasse alle sue critiche. «Scrivete dunque una raccolta di salmi della penitenza e dedicateli alla imperatrice,» disse in tono sarcastico ad Kummel, il quale non seguì punto questo consiglio. Kummel, da uomo pratico, mise a profitto la situazione favorevole in cui si trovava Beethoven per fargli una comunicazione che tuttavia era alquanto oziosa. La contraffazione^ a quel tempo, era al suo apogeo in Germania. Durante la stampa d’un concerto del mio maestro (quello in mi, se ben mi ricordo) avvenne questo fatto singolare, che il pezzo, di cui un esemplare era stato sottratto nella stamperia del vero proprietario, non solo fu contraffatto, ma ancora edito dal contraffattore prima del tempo convenuto per la pubblicazione. Kummel volle agire giudiziariamente contro il colpevole; e a tale effetto l’appoggio di Beethoven gli era utilissimo. Mentre egli si occupava a redigere il suo lamento, ebbi T onore di continuare la conversazione con Beethoven. Io feci del mio meglio, e il maestro diede, colla più gran confidenza, un libero corso alle melanconiche espansioni del suo cuore. Per lo più riguardavano un suo nipote, al quale era molto affezionato, ma che gli cagionava molti dispiaceri e che era allora tradotto dinanzi ai tribunali per alcune bagattelle, almeno a quel. che ne diceva Beethoven. «Si appendono i piccoli ladroncelli e si lasciano andare i briganti!» ripeteva tristamente. Avendomi interrogato sui miei studii mi incoraggiò a perseverare. «Bisogna sempre, mi disse, applicarsi ad elevare l’arte.» (Contìnua) P ’ * La Società del Quartetto di Milano ha introdotto una novità ne’ suoi programmi, quella cioè d’indicare la data della nascita, della morte degli autori, ed il luogo e la data della prima esecuzione del pezzo. È cosa utilissima e buona, ma si desidererebbe una migliore e più elegante distribuzione. Per esempio le caselle danno al programma l’aspetto di un foglio del registro dell’ufficio di Stato Civile, o mortuario: quando poi si frammischiano i nomi degli autori morti a quelli degli autori vivi, produce un senso poco piacevole il vedere che anche questi ultimi hanno la loro casella mortuaria aperta, e pronta a raccogliere la data letale. Non ei pare che la Società del Quartetto aspiri a dare co’ suoi programmi al pubblico una lezione filosofica, rammentandogli il salmodico pulvis es. E poiché parliamo di questi programmi, avvertiamo che la data della prima esecuzione della Sinfonia di Raff è sbagliata: questo pezzo fu eseguito per la prima volta a Weimar nel 1870. Rivista Milanese Sabato, 4 maggio. Intorno alle due rappresentazioni straordinarie della Lucia alla Scala, a quest’ora si è già detto in cento modi che il teatro era affollatissimo, che i palchi, adorni di belle donne ed eleganti, offrivano l’aspetto di corone di fiori viventi, che l’plluminazione a giorno di tutti i volti leggiadri od illeggiadriti ne cresceva la leggiadria, si sono contati i sorrisi, si è fatta l’anatomia delle acconciature (operazione pericolosissima), si è detto che la Principessa di Galles era sfolgorante di bellezza, che la regina di Danimarca aveva nel viso la dolcezza d’una buona mammina, che il Re di Danimarca complimentò il Sindaco, che il Sindaco complimentò il Re di Danimarca, e che l’ambasciatore di Danimarca complimentò il Re ed il Sindaco e mille altre ghiottonerie di questa fatta. Pensandoci bene è il meglio che si possa dire ancor oggi dello spettacolo, avvertendo però di aggiungere questa notizia non indifferente, cioè che i Pii Istituti incassarono con quelle due rappresentazioni la bagattella di dodici mila lire. Questa cifra eloquentissima ha fatto mandare assolti i preparatori d’uno spettacolo assai men che mediocre, indegno della Lucia, indegno della Scala, indegno dell’occasione. Si salvarono, oltre l’orchestra e i cori, la signora BudelAdami, e il tenore Ronconi, i quali, seppero ad ora ad ora, farsi applaudire; il resto naufragò, nè tanto per colpa degli artisti, i quali, benché insufficientissimi per la Scala, non mancano di qualche merito, quanto per la sconnessione organica di tutto lo spettacolo. — Anche il divertimento danzante era un vecchiume rimesso a nuovo, che non aveva altra ragione d’essere fuorché quella di far passare in rassegna ai principi il corpo di ballo della nostra scuola. Si ripete con monotona cantilena: «è uno spettacolo straordinario, si tratta d’una beneficenza, gli artisti si prestano gentilmente» e si crede con ciò di levarsi di dosso ogni carico. I giornali tacciono, il pubblico ride e l’indulgenza del pubblico e della critica assicura per l’avvenire la produzione di simili frutti immaturi, che non riescono meno indigesti o meno indecorosi perchè benefici e straordinarii. Io domando: è egli indispensabile che a Milano, la beneficenza cammini inevitabilmente a braccetto colla noia? La risposta al prossimo spettacolo straordinario che si dice in gestazione a beneficio dei danneggiati dall’eruzione del Vesuvio. Al Politeama le successive rappresentazioni del Ballo in maschera ebbero miglior successo della prima. Vi emerge, oltre il Viganotti e la Pollaci, la signora Lezi, di cui ho inavvertitamente taciuto nel numero scorso. È un paggetto grazioso che canta con molta grazia le due ballate e si fa applaudire con frenesia. Alla prima Ulrica (Garbato), ne succedettero altre due la signora Martino e la signora Giussani! ^Quest’ultima regna e governa con mediocre fortuna ma senza opposizioni. Oggi va in scena allo stesso teatro la Luisa Miller, colla signora Vaneri-Filippi1, con Viganotti, Ronconi e Manni; per il giorno 7 è annunziato il nuovo ballo Shakespeare del Coreografo Casati, e per il giorno 9, L’Italiana in Algeri del commendatore Rossini. Il Re (vecchio) è un malato incurabile; le ricadute vi si succedono sempre più fatali. La commedia Les Trois Chapeaux fu il malanno più grave della stagione; si dovette calare il sipario prima della fine. Si ricorse subito alla medicina, e si allestì l’Orphée aux enfers in cui la Matz-Ferrare e il bravo Carrier fanno prodigi e riescono a far ridere di gran cuore il pubblico accigliato. Alla vigilia di scomparire dal mondo il Re (vecchio) pensa sul serio al suo morituri te salutanl. Si parla di spettacolo d’opera coll’Italiana in Algeri e colla Cenerentola. Un’altra diceria che desideriamo sia confermata dal fatto è GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 151 quella della costruzione, presso il caffè del Salone ai Giardini Pubblici, d’uno chalet adatto a spettacoli estivi di operette e di parodie. Gli spettacoli, dicesi, saranno allestiti dalla Compagnia Milanese, la quale può farci passare delle belle serate purché non ei obblighi da capo ai viaggi monotoni ed interminabili del Barchet de Boffalora. Non è vera la notizia data da un giornale quotidiano che il nuovo teatro della Commedia in Piazza S. Fedele possa essere inaugurato in autunno, con opera in musica; l’inaugurazione avrà luogo in dicembre colla Compagnia Bellotti-Bon. In quanto al vasto teatro Dal Verme si sa che l’impresa è stata assunta per un novennio dal signor Lorini. ALLA RINFUSA In una vendita di autografi, che ebbe luogo testé a Parigi, ne fu venduto uno di Rossini colla data Parigi l.° dicembre 1823 e cosi intestato: Basi della scrittura che il signor Rossini pensa di proporre al governo francese. Egli vi si obbliga, per 40,000 lire annue, a comporre un’opera ed un’opera comica per l’Academia di Musica e pel teatro Italiano e ad accettare quelle funzioni che Sua Maestà crederà di attribuirgli, prendendolo al suo servigio. A questo autografo fu aggiunta una lettera firmata V. de Lapelouze, colla data 18 dicembre 1843, relativa all’esecuzione in marmo di una statua di Rossini. Questo lotto interessante fn aggiudicato per la somma di L. 7 e •cinquanta centesimi!
- Nel teatro del Liceo di Barcellona sarà rappresentata quanto prima
una nuova opera col titolo Los hijos de la costa, musica del signor Marqués, il quale intende iniziare con questo componimento il vero genere di musica drammatica. Cosi i giornali.
- II maestro svedese Carlo Wisser ha condotto a termine un’opera in
musica col titolo Don Chisciotte. ¥ E il maestro Telesforo Righi, professore al Conservatorio di Parma, ha in pronto una nuova opera col titolo Marcellina.
- Alcuni particolari intorno al nuovo teatro dell’Opera di Parigi. Questo
monumento ha undici piani; è alto 72 metri (le torri di Notre-Dame sono! alte 66 metri); le mura delle fondamenta hanno 10 metri di altezza: la lunghezza totale è di 152 metri, la larghezza di 102 metri. Dalle loggie al fondo della scena si misurano 80 metri; il palcoscenico è lungo 53 metri. Una nuova opera Le Florentin del maestro Lenepveu fu accettata dalla direzione dell’Opera Comica di Parigi e sarà eseguita nei primi mesi del 1873. V Al teatro dell’Opera di Parigi ebbe luogo la cinquecentesima rappresentazione degli Ugonotti. V E aperto il concorso per l’appalto dello spettacolo d’opere serie in musica, da darsi nel teatro comunale del Giglio di Lucca nei mesi di agosto e settembre prossimi venturi. Le offerte verranno ricevute a tutto il corrente mese di maggio nell’ufficio del Municipio, ove trovansi ostensibili le condizioni. Il maestro Nino Rebora da Genova, ha condotto a termine la musica di un suo primo melodramma col titolo Corinna. E il maestro Agostino Mercuri, a quel che ne scrive YArpa, ha finito la sua Teodolinda che deve esser rappresentata in agosto a San Marino. V Dal 15 novembre al 12 dicembre è d’appaltarsi senza dote il teatro Grande di Brescia, per un corso di rappresentazioni drammatiche. Le spese serali sono di L. 85 per recita. > A Zurigo fu rappresentata con esito lieto un’opera nuova, di Teodoro Staufer, direttore d’orchestra a Costanza. Il titolo è Les Touristes.
- Secondo la Gazzetta d’Italia, l’orchestra del R. Teatro della Pergola
di Firenze fu definitivamente disciolta. Il Consiglio Municipale di Messina ha deliberato di tener chiuso per due anni il Teatro Vittorio Emanuele per dar tempo ad ingrandirlo. A Palagi ha incominciato le sue pubblicazioni un nuovo giornale teatrale. Il suo titolo è: Journal officiel (!) des théâtres.
- Il reputato’ maestro D. Speranza, sta per fondare un Istituto Musicale
Italiano a San Francisco di California. •V Il battello a vapore spagnuolo, Il Monarca, su cui erano imbarcate le sorelle Ruggero-Antonioli, è colato a fondo nell’entrata del porto di Marsiglia. Le due artiste perdettero tutti i loro bagagli ed effetti. Nella breve stagione di primavera (un mese!) testé terminata a Gorizia si cambiarono: tre baritoni, due tenori, due bassi e due direttori d’orchestra. Nulla più! CORRISPONDENZE Toi’ino, 2 maggio. I Due Foscari han dato lo scambio ai Vespri Siciliani e il pubblico del Balbo ha fatto le più liete accoglienze ai nuovi venuti, quantunque gli artisti si comportassero meglio in Palermo che in Venezia: solo il Gabella, baritono che piace assai, guadagna di molto sotto le spoglie del vecchio Doge e la grand’aria finale dell’opera gli procura seralmente interminabili ovazioni. A giorni andrà in scena l’opera Attila con un altro baritono, quindi, se è vero quanto si bucina dai cronisti dei nostri giornali politici, avremo un’opera nuova d’un maestro esordiente, vale a dire Caterina di Belp, melodramma storico (?) in tre atti di Odoardo Ciani, musica di Giuseppe Bozzelli, direttore del Liceo Musicale di Bergamo. V’Ombra di De-Flotow continua a piacere al teatro Rossini e mantenne sempre viva la ricerca, perchè non mai soddisfatta, delle sedie chiuse e dei posti riservati. Sabato, tanto per variare il repertorio, avremo il Don Pasquale di Donizetti, ma per quanto incontro possano fare gli artisti in quest’opera, che la musica non è qui in causa, egli è certo che dopo due o tre rappresentazioni bisognerà tornare a’Ombra. Il concerto del flautista professor Beniamino è riuscito stupendamente: prima di tutto l’uditorio era numeroso e vi si è notato con piacere la duchessa di Genova, poi i pezzi erano sceltissimi e l’interpretazione al di sopra di ogni elogio, tanto per pai te del concertista che dei suoi degni compagni, fra cui emersero la signora Teja-Ferni, della quale abbiamo specialmente ammirato una cavatina per violino di Raff., il violoncellista Casella ed il pianista G. E. Marchisio, A proposito di concerti, alcuni egregi artisti e dilettanti avendo ideato di stabilire anche fra noi i concerti cosi detti popolari di musica classica, furono a tale scopo aperte sottoscrizioni per raccogliere azioni di lire 10 cadauna, e queste avendo oltrepassato il numero richiesto di cento cinquanta, la società si è definitivamente costituita: i concerti avranno luogo al teatro Vittorio nelle prime ore pomeridiane dei giorni festivi, saranno affidati alla intelligente direzione del Pedrotti e la prima serie avrà probabilmente principio il giorno 12 del corrente. Frattanto domenica prossima darà il suo nella sala Marchisio il sullodato violoncellista cav. Carlo Casella, il quale si è procurato il gentile concorso della signora Teja-Ferni e del Marchisio sovra encomiati, non che della signorina Virginia Ferai, cantante, del maestro cav. Fallò e d’una scelta orchestra per accompagnare un Concerto in’la minore di Alfredo Piatti, la cui istrumentazione è dovuta al chiarissimo Pedrotti. Ma pur troppo in mezzo a queste belle vicende musicali ei ha oppresso il dolore d’una irreparabile sventura. Anglois, il famoso contrabassista, già professore alla R. Cappella, sostegno delle nostre orchestre, artista coscienzioso, ottimo padre di famiglia, non è più. Un improvviso malore, provocato da trascurata costipazione, lo rapiva inaspettatamente la sera del 24 ultimo mese scorso non avendo raggiunto il 72.° anno di vita. Luigi Anglois figlio di Giorgio, pure rinomato concertista di contrabasso, nacque in Torino il 25 ottobre 1801 e a soli 13 anni, sotto la scorta del padre, entrava al servizio del Re di Sardegna, e montato sopra apposito sgabello prendeva parte alle funzioni di chiesa ed ai concerti della cappella e della Corte. Si produsse in seguito all’estero e specialmente a Londra più volte, a Parigi, a Lisbona, a Rio Janeiro ed altrove. Il re D. Luigi di Portogallo, del quale era amico personale, lo decorava dell’ordine del Cristo e Carlo Alberto di quello di S. Maurizio e Lazzaro. Un metodo di Contrabasso, da esso dettato in unione al L. F. Rossi, lo aveva rivelato eccellente didattico e ultimamente il Municipio lo aveva destinato ad insegnare questo istromento presso il nostro Liceo Musicale. Berlioz nel suo Grande Trattato d’Istrumentazione a pag. 76 (Edizione Ricordi) dice: «Un artista piemontese, il signor Langlois, (accorciativo di L. Anglois) che suonò a Parigi pochi anni sono, stringendo la corda alta del contrabasso fra il pollice e l’indice della mano sinistra, invece di comprimerla sulla tastiera, e portandosi in tal guisa fino al ponticello, otteneva coll’arco dei suoni acuti singolarissimi e d’una forza incredibile.» E queste poche linee bastano per assegnare al compianto artista quella fama imperitura, che ha saputo guadagnarsi col suo straordinario talento, mentre l’arte, il paese, la famiglia, gli amici, di tanta perdita saranno sempre inconsolabili. 152 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO Napoli, 25 aprile. Due giovani maestri napolitani presentaronsi in questi ultimi di al tribunale della critica: Giovanni Avolio e Vincenzo Fornaci. Il primo fa le prime armi con uno spartito buffo; l’altro con un lavoro serio, comunque avesse già scritto molta musica per chiesa e per camera. Mi credete: è per me oltremodo spinoso il dar ragione d’un nuovo lavoro di giovane maestro. Mi si presentano agli occhi le aspre censure che i compilatori della Rivista eli Edimburgo portarono su’ primi lavori giovanili del Byron e i sinistri presagi che fecero sul grande ingegno che doveva poi darci la Parisina, Lara ed altrettali capilavori e mi sgomento. Ma poi prendo animo; se il critico fosse dotato di spirito profetico, allora giudicherebbe inappellabilmente e senza riserve di sorta. Il libretto dell’opera dell’Avolio intitolasi Rosetta ed è ricavato da un’antica commedia del fecondissimo Palombo portante per titolo: La Giardiniera abbruzzese. Il giovane Golisciani l’ha ridotta, in parte l’ha accresciuta, riducendola alla foggia di quelle composizioni che i francesi chiamano pochade. Un agricoltore diviene ricco per un tesoro trovato, ed incomincia a metter su case e poderi, e si tratta da principe, ma nulla perde delle sue abitudini, e, incapace a diventare un po’ più civile, resta sempre un contadino goffo. Ha un figlio che delicatamente fa educare e affida per l’istruzione ad un abate Ruccoletti che avrebbe fatto chi sa che cosa all’idea di quel metallo. Il buon villano pensa al fine di far contrarre matrimonio al figliuolo e tratta con la sorella d’un signore napolitano. Don Sossio del Cocomero, così avea nome quel contadino che comprò poi il titolo di barone, fece i conti senza gli osti, e i fidanzati cercano giuntarlo, chè l’uno, il figlio suo, ama una giardiniera e l’altra, senza il consenso del fratello, avea giurato amore ad un signor Riccardo. L’abate Ruccoletti conviene con esso loro che farà paghi i loro desideri! e poiché era da tutti risaputo che il barone dovea tutte le sue ricchezze al tesoro trovato, esso Ruccoletti travestesi da chinese insieme con Rosetta, il baroncino ed altri, *e, presentatosi in loro compagnia a Don Sossio, gli dice sè essere stato un dì mercante d’asini, e viaggiando, esser giunto in Foggia, dove fece dimora lungamente, e là perchè non glieli toccassero, sotterrò in un giardino 425,000 lire. Percosso da qualche sciagura e ridotto al verde veniva a riprendere il suo denaro. Ma poiché sua figlia avea adocchiato, ritornando ivi con lui un bel giovane, egli avrebbe rinunziato ai denari presi indebitamente da Don Sossio, se questi acconsentisse alle nozze di suo figlio, appunto il bel giovane che avea invaghito la chinese. L’altro accetta, firma un foglio, ma dopo scovre nel Chinese l’abate, nella figliuola di lui la giardiniera Rosetta. Ecco la tela di questa che io non posso chiamare commedia lirica, perchè un’accozzaglia di scene senza saldi legami. La musica segue il libretto, ed è un’accademia di pezzi, alcuni dei quali di effetto, ma senza uniformità di stile, nè vien serbato sempre il carattere della commedia, vanto della scuola napolitana. Per altro è il primo lavoro dùm giovane, il quale mostra di essere abbastanza provetto nel trattar la parte armonica. Il primo atto è superiore agli altri due. Noto precisamente, perchè di maggior effetto l’introduzione, la cavatina di Rosetta, un duetto tra Rosetta e Nicandro ed il finale; nel secondo non è spregevole la romanza di Riccardo, ed il finale; nel terzo atto un’aria dell’abate Ruccoletti e l’aria finale sono i luoghi più notevoli. L’esecuzione affidata ai tenori del Giudice e Lambiase, alla De Nunzio ed ai buffi Savoia e Lamonea fu nel complesso lodevole. Non crediate già che Maria di Torre fosse figliuola di qualcuno di quei potenti signori del milanese: è invece una povera fanciulla di Torre del Greco e l’azione avviene nel 1799, quando i francesi occupavano queste terre. Il libretto è un viavai contitinuo di personaggi; la protagonista non è in iscena che al primo atto, ed al terzo non si presenta che per morire in iscena. Vi sono quattro donne, un tenore, un baritono, un basso. Perchè tanto, lusso di personaggi? Quest’opera, se mal non m’appongo, fu scritta per dilettanti, chè come saprete, il maestro Fornari ed il fratello Ferdinando sono a capo di una filarmonica. Cominciarono dall’eseguire pezzi di piccola lena e finirono con duetti, quartetti celebri. Il bel successo riportato da un lavoro di molta vaglia di quell’eletto ingegno di Niccola d’Arienzo, pur cantato da filarmonici al teatro Accademico al Vico Nilo, allettò, credo, il Fornari a dettar la sua Maria di Torre; ecco perchè tanti personaggi. Fu promessa dal Landi quando il Politeama si aperse a spettacoli in musica, ma poi non andò, come tutte le altre promesse, pel fallimento dell’impresario. Il desiderio di veder rappresentata questa musica fece diventare impresario il Fornari e domenica sera fu eseguita per la prima volta innanzi ad un affollatissimo pubblico la sua Maria. Applausi ve ne furono e senza fine, due bis, innumeri chiamate all’autore che dal suo posto di capo orchestra ringraziava. Come successo il maestro non poteva desiderarlo più brillante, ma nè il brillante successo, nè gli applausi, nè i bis, nè le chiamate potranno farmi astenere dall’esaminare la capacità del giovine maestro, e tralasciare quelle generali osservazioni che coscienziosamente ho in mente di produrre intorno al merito della musica. Il Fornari dispiega una vena melodica alquanto fresca e spontanea; le sue armonie non sempre sono ordinate con arte, la tessitura de’ suoi pezzi, salvo.alcune eccezioni, pecca di lunghezza, il suo stile d’ineguaglianza e taluni pezzi non sembrano coordinati, ma nati a caso. Il Fornari abusa un po’ troppo delle risorse meccaniche della forza degli strumenti di ottone, ma talvolta sa cavare dall’orchestra effetti discreti. Quello pertanto che mi dà piacere e mi fa sperar molto dell’ingegno del Fornari è l’accorgimento drammatico ch’egli appalesa in più d’un tratto dove seppe ben seguire colla musica la poesia e nel ritrarre acconciamente con quella gli affetti e le situazioni espressi da questa. E di accorgimento drammatico fe’ mostra il giovane compositore nel finale del primo atto risultante da un allegro mosso di molto slancio. Nell’aria del baritono, spiega una certa originalità di pensiero e di condotta; a me piace più la prima idea; la cadenza è troppo iperbolica. Dopo questi due pezzi, i migliori dello spartito, vo’ segnalare la romanza di Maria, ch’è appassionata e pur bellina; mi va poco a sangue quel quartettino di donne, nè ben condotto nè ben disposto. Confuso e di equivoca forma è il primo pezzo dell’atto terzo, tuttavia per la maestrevole esecuzione del Montanaro piacque a dismisura. E giacché mi trovo a parlar di esecutori, piacemi qui lodare il baritono Mastriani che seppe rendere accetta tutta la parte sua e vi riuscì in ogni pezzo, vuoi con la perizia drammatica, vuoi col canto lungo e con l’accento passionato. Gli altri (la Sainz, la Malvezzi-Pollettini, la Correris, la Massini, il Tessada, il basso Jorio) fecero del loro meglio. Anche l’orchestra andò bene, anzi fecesi molto applaudire il suonatore di corno inglese nell’assolo e nell’accompagnamento dell’aria al secondo atto. Torno al giovane Fornari per dire che la Maria di Torre presentasi come un pronostico, una speranza di lieto avvenire, e dà certezza dell’attitudine di comporre d’un giovane il quale quando si sarà fatto più franco nel maneggiare la parte esteriore della musica, e più perito nel trattare gli effetti scenici, libero allora da ogni impaccio, più arditamente potrà spaziare nel campo della ispirazione. Le novità non sono ancora finite; dovrei pur rendervi conto della Selvaggia, nuova opera del Viceconte, rappresentata al S. Carlo. Ma ne parlerò di proposito nel prossimo corriere. Per ora vi fo conoscere soltanto che l’esito alla prima sera fu ottimo prendendo argomento delle innumerevoli acclamazioni che il compositore ebbesi al primo e secondo atto; il terzo passò freddamente, all’altra rappresentazione ieri sera, gli applausi scemarono di molto e le 15 chiamate della prima rappresentazione, calarono di due terzi. Ora che tutti i giovani maestri studiano la parte armonica, la strumentale, le situazioni migliori del libretto, meravigliò vedere un compositore, ancor giovane, inalberare una bandiera bianca, segno innocente di reazione musicale. In questa Selvaggia ritornasi all’antico, ma a che antico... saprete altra volta. Due notiziucce e finisco. La Società di Mutuo Soccorso fra i musicisti esecutori d’ordine del Questore venne sciolta, e questa deliberazione fu prodotta dalla morte di quel sonatore di tromba aggredito dal Presidente della Sezione mentre usciva dalle prove del teatro la Fenice come voi annunziaste, Il Trisolini apre il Mercadante in Giugno con spettacoli musicali; udiremo due opere comiche, del Serrao l’una, l’altra del Sarria, il festeggiato autore del Babbeo, rappresentato ben settanta sere al Rossini; sono scritturati i tenori Serazzi e Lambiase per ora. La Maria Tudor del Pacini non sarà rappresentata al San Carlo; la Commissione crede non essere adatta alle nostre massime scene perchè non è delle favorite del fecondo compositore e poi non fu data, e con dubbio successo, che in due teatri. Il Cottrau pertanto, proprietario dello spartito, sogna i grandi successi riportati su quindici teatri si fa promotore di una sottoscrizione tendente a far torre il veto della Commissione. Ma perchè si vuole insultare alla memoria di quel povero ^Pacini riproducendo una delle sue più.scadenti musiche? ÿcUTO. GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 153 Napoli, 1 maggio. Mantengo la promessa e ritorno alla Selvaggia del maestro Viceconte. Lasciate prima che vi esponga l’orditura del libretto, che è del Morgigni, poeta di bella fama ma che questa volta dormicchiò. La seconda lega lombarda, o più propriamente la lega guelfa, avea fatto nascere in parecchi siciliani nemici dell’imperatore la speranza di scuotere il giogo svevo, che troppo avevano in uggia. Tutti costoro nelle castella lungo e vigoroso assedio sostennero, ma alfine, avendo ricevuti bugiardi patti, furono tutti menati a morte. Il Deus ex machina di tutto quest’ordito, è la figliuola dell’imperatore, Selvaggia che sebbene abbia quarant’anni è in tutto il fulgore della bellezza. È dessa che si fa ministra della vendetta ghibellina, e con le sue lusinghe ottiene che il principe Rodrigo rompa la fede data ai guelfi di poter salpare in sicurtà per Genova. Fra i dannati al supplizio è Gualtiero, figlio di Selvaggia; questa lo svela al fine del dramma, ma il figlio non vuol saperne, la rinnega e corre al suo destino. Questo libretto con la musica nacquero or è qualche annetto, per conseguenza vi è l’antica falsariga, e lo stampo de’ pezzi è di quelli iti proprio in disuso da un bel pezzetto, quindi mentre ognuno aspettavasi un lavoro serio di giovane artista e coscienzioso vede farglisi innanzi una vecchia con le rughe, e sotto mentite spoglie. Il Viceconte fu scritturato fin dall’anno scorso e poteva perciò, anzi doveva seriamente pensare che presentando questa Selvaggia egli sconosceva ogni, progresso nella parte melodica e nello strumentale. L’amor paterno il vinse ed egli, come quella madre che volendo condurre la figliuola gobba e sciancata alla festa affannossi a farle raddoppiare* i tacconi alla scarpa del piede zoppo, e a rimpinzarle guancialetti intorno ai fianchi ed alle spalle, esagerò con gli strumenti di ottone qualche punto che poteva destare impressione. Ma ciò non bastò; chè le antiche cadenze fanno spesso capolino, le modulazioni sono del tutto comuni, le vere risorse orchestrali neglette, abbondanti invece quegli attacchi che ebbero da lunga pezza T ostracismo. Nulla v’ha di nuovo; il canto patriottico, che è il pensiero dominante dell’opera, ricorda una felice idea di Bellini; la romanza del contralto, vuoi per l’idea come per la struttura armonica e fin nello strumentale riproduce la ballata di Pierotto nella Linda. Il finale secondo è un vano sciupio di sonorità; e T opera termina col ben noto motivo: là ei darem la mano. Una pagina sola di questo libro musicale merita un po’ d’attenzione ed è il coro di cortigiani al secondo atto, e per un certo effetto che produce merita che si menzioni l’aria del baritono, poi il meglio che si può fare è di chiudere il volume e gettarlo in un canto per non riaprirlo mai più. Il pubblico alla terza rappresentazione non volle più saperne e l’opera finì tra disapprovazioni manifeste. L’esecuzione fu accurata, l’Aldighieri volea far di tutto per trarre in salvo questa sdruscita navicella, ma non vi riusci che la prima sera solamente; bene la Tati ed il Celada. La Blume non è cattiva artista, ma io aspetto, per giudicarla convenientemente, la seconda opera che eseguirà. Sarà senza fallo la Maria Tudor, chè la Commissione ha ceduto ed ha permesso che venga rappresentata. A quest’ora conoscete certamente i danni che ha arrecato quest’ultima e tremenda eruzione del Vesuvio, ma non sapete che vinto da forte timore il baritono Aldighieri, insalutato hospite, abbandonava la nostra città, lasciando in imbarazzi serii il Musella, il quale, dicesi, ha messo in moto il telegrafo per avere un nuovo baritono che possa cantare nel Manfredo. Intanto per colmo di sciagura la Krauss è inferma, sì che il teatro è chiuso per ora, e se si riapre, ritorneremo alla Borgia. Per la paura che invase la nostra cittadinanza non potè ancora aver luogo l’ultima tornata di quest’anno in casa Clausetti; sarà offerta la prossima domenica; udremo al solito dell’eccellente musica. Ed a proposito di accademie i soci del Casino dell’Unione ne daranno una pubblica a pagamento, e l’introito sarà a beneficio dei danneggiati dell’eruzione: si eseguirà molta musica di Wagner. A Napoli cominciasi ad elevare a sistema che per far rappresentare le proprie opere bisogna diventare impresario o avente causa in un’azienda teatrale. Dopo il Salomè, TAlberti ed il Fornari è venuta la volta del dilettante marchese Domenico Tupputi. Riaprirà il Politeama e vi farà eseguire la sua musica Regina, che gli amici suoi udirono parecchie volte provare in casa sua. Buona fortuna. jA:CUTO. Genova, 2 maggio. Era molto tempo che non udivo musica di Bellini, giacché non oso dire di averne udita due anni or sono a Venezia quando assistei allo strazio della Norma, strazio che se ben vi rammentate si perpetrò al teatro Malibran; ieri a sera potei gustare le melodie soavi del cigno catanese al teatro Doria. Se l’esecuzione dei Puritani non fu perfetta e quale potrebbe richiedersi da artisti di cartello, pure fu buona, e se vogliamo aver riguardo alla modicità del biglietto d’ingresso, alle condizioni economiche di quel teatro, in cui alcuni proprietari di palco hanno l’ingresso per sè e famiglia, bisogna esserne contentissimi. I pezzi concertati andarono benissimo e più volte il pubblico irruppe in applausi dovuti più spesso alla musica. La signorina Trafford ha una bellissima voce di soprano, educata a buona scuola, eseguisce tutte le agilità con eleganza e somma facilità, e senza esitanza per mezzi vocali posso chiamarla distinta: il difetto di questa giovane artista è d’esser inglese a quindi di essere solamente cantante, e non artista; se essa potesse agire, come canta, non dubito che potrebbe fare una carriera brillantissima; non so se la Trafford abbia mezzi, ma io le darei un consiglio, quello cioè di andare qualche stagione con una buona compagnia drammatica ed ivi apprendere il possesso di scena che le manca. Ritengo anche per lei ottima cosa sarebbe se potesse o volesse prendere lezioni di ginnastica tanto per rendere i suoi movimenti più sciolti ed eleganti. Non crediate che questi consigli io li dia puramente a vantaggio della giovane cantante, ma anche nell’interesse dell’arte melodrammatica, perchè colla penuria che abbiamo di vere somme artiste, mi fa male il vedere elementi così buoni rimanere incolti. Artista distinto è pure il Buti e con lui mi congratulo pel modo forbito e delicato con cui seppe rappresentare ed eseguire l’importante sua parte. Il basso Cesari ed il tenore Parmizzini non guastarono, ma se fossi in loro non accetterei mai parti nelle opere dove è necessario il canto forbito ed elegante. L’orchestra, sebbene qualche volta suonasse un poco troppo forte, andò bene e i tempi furono sempre bene indovinati. Le decorazioni abbastanza buone. Al Nazionale dopo il brillante esito del ballo Md Dan Dan si mise in iscena l’Elisir d’amore, che passò freddamente per cui si ritornò alle Educande. Al Paganini, Le Petit Faust, la Belle Hélène e Le Sourd non piacquero affatto, per cui si ritornò a Les Brigands, e questa sera avremo il debutto (pardon) la comparsa, della celebre Virginia Deyazet colla nota commedia Les premières armes de Richelieu. Nella Sala Sivori furonvi due concerti, il primo dato dal pianista R. Luise a cui non assistei, ed il secondo dal simpatico Braga che coadiuvato dalla signorina Giovanelli (del Nazionale) e dal sig. Buti fece passare una deliziosa serata. — Il pubblico genovese è ben grato al Braga di aver dato un’accademia prima di recarsi nelle turbolente Spagne per assistere al suo Calligola, ed è lieto di aver conosciuto davvicino un distinto compositore ed eletto violoncellista. p- p•?■ 1 maggio. In fatto di opere nuove musicali al teatro non abbiamo avuto in quest’ultima settimana che una cosettina (non saprei come chiamarla altrimenti) un atto ed ancora molto breve, a due personaggi, una lusinghiera a nome Silvia ed un cantore di strada che risponde a quello di Zanetto. Il libretto è di Francesco Coppée, giovine poeta più che librettista, il quale ha pubblicato e fatti rappresentare vari drammetti in un atto, tra i quali quello che ha sortito un esito più felice è le Passant, che non può tradursi che 11 Passeggierò. Zanetto, infatti, si trova per caso a passare nella sua qualità di cantor nomade sotto la finestra della bella Silvia, donna dai facili e folli amori. È un bell’originale questo Zanetto, un menestrello che non possiede se non la sua mandolina o il suo mandolino, come meglio vi garba, giacché v’ha chi pretende che questo istrumento è ermafrodito. Il Tremacoldo aveva il liuto ed il fardello; Zanetto trova che il fardello è un lusso inutile. Mangia quando può e come può, beve alla prima fontana o al ruscello e dorme all’aria aperta. Spensieratezza ed indipendenza sono le sue qualità predominanti; ed è felice. Felice al segno, che addormentatosi su d’una panca nel giardino di Silvia, questa, credendolo un meschineìlo, lo desta, gli parla, finisce per divenirne innamorata, essa che non ha conosciuto il vero amore, e Zanetto dopo averle fatto un quadro della sua vita libera ed indipendente, la pianta e va via. 154 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO Come si fa, vi domando a mettere in musica quest’opera, composta di due o tre scene, vale a dire di due monologhi e d’un dialogo? I due monologhi sono un’aria di Silvia preceduta da un recitativo, una canzone o mandolinata di Zanetto, ed un duetto assai lungo, anche troppo lungo. In un teatro non di musica, all’Odéon, il piccolo dramma di Coppée, piacque e fu molto applaudito: là «è vinta la materia dal lavoro»: i versi sono belli, gli attori li dicono con grand’arte, nulla di più naturale che il successo. Ma perchè ritornarci sopra per farne un’opera lirica? La musica scenica vuole innanzi tutto le situazioni: per belli che siano i versi, van perduti per la più parte quando lo strumentale impedisce di ben intenderli e di valutarne i pregi. Se almeno il compositore Paladilhe, giovine ancora e che fu laureato al concorso del gran premio di Roma, avesse preso il partito di esser melodico, di prodigare le frasi di canto, o quel che noi chiamiamo i bei motivi!... Ma no; ha voluto più specialmente occuparsi del lavoro strumentale. Comprenderete facilmente che il suo tentativo è rimasto sterile e che il successo non poteva coronare la sua operetta. Crederete dal poco che vi ho detto, che il Paladilhe non sappia trovar le belle melodie. Errore, La sua Mandolinata (è il nome che ha dato al solo di Zanetto perchè accompagna il canto pel suo istromento) è bellissima, d’una melodia facile, graziosa, elegante e che l’orecchio ritiene senza fatica. Vuoisi peraltro che sia ispirata da una canzone o romanza italiana: ma di ciò non essendo sicuro, non fo che ripetere quel che ho inteso dire. Vi ha anche qua e là qualche bella frase che fa supporre che il compositore, se il volesse, potrebbe essere melodico. Ma pare che no’l voglia. E perchè? Noi credereste. Perchè è affiliato alla > cuoia novella, ad una scuola che tiene a vile la melodia, chiamandola trastullo da femminette, e che vorrebbe ridurre la musica scenica al semplice lavorio dell’orchestra. Non conosce e non vuol conoscere che l’armonia. Il canto le cale ben poco. Le voci per essa non sono che altrettanti strumenti da fiato da aggiungere a quelli dell’orchestra per divertire la parte più volgare del pubblico. Sono flauti. clarini, oboe, fagotti, che impacciano il compositore, ma di cui è pur forza che si serva per far piacere agl’inetti! Ecco a che siamo giunti! Ecco quel che pretende la novella scuola; ed il peggio è che il numero dei suoi partigiani aumenta di giorno in giorno. Ed è ben naturale: tutti quelli che non sanno trovare nel loro vuoto cervello etto battute che contengano una frase di canto, nuova, originale, piacevole, adatta alla situazione, van gridando che la melodia è inutile e divengono affiliati alla nuova scuola. Ma nel numero ve n’ha di quelli che non mancano di idee, che potrebbero benissimo trovar dei canti, e che nullameno sembrano averne vergogna. Quando scrivono qualche pagina melodica, se ne giustificano come di un errore involontario; temono d’essere sgridati dai sedicenti corifei della nuova scuola. Direbbero come il fanciullo che ha meritato le staffilate per qualche grosso strafalcione: «non l’ho fatto apposta e non lo farò più». E questo pare essere il caso della mandolinata del Paladilhe, che per altro ha ingegno e cominciò molto bene la carriera. Il preludio che serve d’introduzione al Passant è molto lodevole; si vede che il nuovo compositore conosce perfettamente la parte strumentale ed in tutto il resto dell’operetta ciò che concerne l’orchestra, è scritto veramente con arte. Ma a che vale? Se non vuol occuparsi che dell’orchestra, scriva sinfonie, non domandi un libretto per comporre un’opera. Vero è che un libretto come quello che ha scelto, avrebbe messo nell’impaccio anche il più facile e fecondo melodista. Come si fa a mettere in musica un dialogo ragionato, una specie d’argomentazione, una difesa della vita libera o della schiavitù dell’amore. Ma credo che appunto perchè il libretto non offriva situazioni drammatiche, il Paladilhe lo ha scelto. Ha potuto cosi non occuparsi che della stromentazione e lasciar da banda il canto. E da sperare, per lui, che l’accoglienza piuttosto fredda fatta dal pubblico alla rappresentazione del Passant faccia riflettere il signor Paladilhe al rischio che egli correrebbe se volesse ostinarsi a restar esclusivamente armonista a discapito della melodia. Del resto tutti quelli che seguono questa via, hanno sorte eguale. Il povero Berlioz che non era mai andato sì oltre contro il canto, non ottenne mai o quasi mai un felice successo alla scena, ed aveva ben altro merito e ben altro ingegno che i pigmei dell’arte che si pretendono fondatori o fautori d’una scuola novella. Non parlerò dell’esecuzione dell’operetta del Paladilhe; avrei ben poco a dirne. La Priola nella parte di Silvia è insufficiente. Che voleté che una vocalista faccia di un.continuo recitativo, giacche anche la sua aria, anche il duetto non sono che un lungo e monotono recitativo. La Galli Marié nella parte di Zanetto è oltremodo graziosa. Il vestimento maschile le va a pennello, e la bella canzone sul mandolino è cantata da lei in modo da farla, ridomandare. Tanto è vero che il pubblico ama la mef. lodia, perocché non appena gliene date un pochino, è soddisfatto e grida bis! Questa volta non vi parlerò nè deìY Opéra, ove non si dà ancora nulla di nuovo, nè del Teatro Italiano, il quale annunzia le rappresentazioni della signora Sasse, e farà esordir domani sera nella Tnaviata una nuova cantante, la signora Floriani. Dico nuova, perchè non ha mai calcato la scena. Vuoisi che si dia al teatro per solo amore dell’arte. Il suo vero nome è Emilia Lavai, ed è allieva del tenore Royes e della De La Grange. «Se è rosa, fiorirà.» Ve ne parlerò nella prossima mia lettura. Intanto da più giorni non vi è più un palchetto nè un posto di platea che non sia stato preso. Tutti hanno la curiosità di sapere come sarà accolta la bella esordiente. E generalmente tutti vorrebbero vederla riuscire. fi. fi. Londra, 23 aprile. (ritardato) Le improvvise indisposizioni continuano più severe e più frequenti che mai fra la compagnia del Covent-Garden. Non è però a maravigliarsene troppo, visti i capricci veramente straordinari della stagione. Oggi estate, domani inverno, e un altro giorno estate e inverno alternativamente ogni ora. Pare incredibile, ma cosi è. Anche simili spettacoli, come potete credere, sono però gustati non invero dall’animo, sì bene dal corpo, il quale soffre in conseguenza. I disappunti della settimana si limitano a due. La Saar dovea debuttare nel Flauto magico di Mozart, e la stella canadiana dovea comparire per la terza volta nella Sonnambula. Alla Sonnambula fu sostituita la Traviata, e il pubblico a giudicare dal suo contegno entusiastico non nb fu malcontento. I principali interpreti della Traviata furono Naudin, Cara voglia e la Lucca. Il Caravoglia è il sostituto provvisorio del Cotogni, il quale continua ad essere ammalato. La improvvisa indisposizione della Saar, se ho da credere alle male lingue, non è un fiore di stagione, ma piuttosto un fiore di virtù. Sembra che quell’amabile donna non sia da tanto da poter tentare la parte di Pamina, e il nuovo annunzio del Flauto magico tende a dar ragione a quelle male lingue. Il Flauto magico è annunziato per lunedì prossimo, 29 corrente, e la brava Lucca sarà Pamina. La Saar debutterà invece nelY Amleto, che è annunziato per giovedì sera col Faure, col Bagagiolo e colla Sessi. La rappresentazione della Favorita colla Lucca, col Nicolini e col Faure è stata nuovamente un successo. Con simili artisti non può essere altrimenti, sebbene Nicolini lasci molto a desiderare a causa della sua voce generalmente tremola. Contro il Nicolini milita quella benedetta r nativa, che egli non può seppellire con tutta la sua buona volontà; e oltre a ciò sembra che una specie di panico s’impadronisca di lui ogniqualvolta presentasi sulla scena. L’Esmeralda del maestro Campana verrà data nella seconda metà di maggio, e sarà interpretata dai soliti artisti. Che quest’opera sia riservata alle celebrità non è piccolo onore al merito. A dispetto di ogni avversa critica Y Esmeralda è sparsa di melodie, che si cercherà invano di seppellire, e che vivranno per essere ammirate e gustate. Il fatto più notevole nei fasti del Drury Lane è la rappresentazione degli Ugonotti col Fancelli, coll’Agnesi, col Mendioroz, col Foli, colla Titiens, colla Colombo e colla Trebelli-Bettini. L’esecuzione meno imperfetta dal principio della stagione è stata questa degli Ugonotti. Tutti più o meno si distinsero, il Fancelli non eccettuato, a dispetto della sua ignoranza di scena Della Trebelli-Bettini, che sostenne la parte d’Urbano, ripeterò quello che ha detto Y Observer, giornale accreditatissimo della domenica. «La sua prima comparsa sul palco scenico fu salutata con sincero entusiasmo. La sua personificazione del paggio è la più fascinante che possa desiderarsi su qualunque teatro italiano o altrimenti. Ascoltare l’intonazione perfetta della Trebelli è per sè solo un distinto piacere; ma questo dono di natura, poiché è cosa che non può acquistarsi nè collo studio nè colla pratica, è in lei congiunto a un istinto egualmente rimarchevole per l’esatta misura del ritmo musicale, e a un talento spiccatissimo per la scena. Aggiungerò che tutti i giornali senza eccezione sono rimasti egualmente entusiasmati della Trebelli-Bettini nella parte di Urbano. Gli ammiratori di Sir Sterndale Bennett, che non sono pochi, hanno istituito in suo onore un premio annuo perpetuo, che porterà il suo nome, e che sarà dato a un allievo della Reale Accademia di Musica. L’istituzione di questo premio è stata festeggiata in forma solenne con con gran corso di artisti e amatori in St James’s Hall. GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 155 I compositori milanesi, quasi sperassero la rifusione con interesse delle loro spese postali, par che siano venuti in massa colle loro composizioni, che forse nemmeno saranno lette, a concorrere per gli onori di rappresentazione nel Royal Albert Hall. Poveri delusi! u. Vienna, 24 aprile. Ho tardato fin oggi a riferirvi della campagna musicale che l’impresario Merelli venne a sostenere tra noi colla sua brigata di artisti e di opere italiane, perchè voleva vederne tutto il successo e riassumerne poi l’effetto prodotto sul nostro pubblico. Stimai essere codesto il meglio che potevo fare, e ciò meno ad onore degli artisti, che in argomento d’ammirazione per l’arte italiana. Se fossi in vena di poetare, canterei l’ardita impresa e le gesta mirabili di que’ novelli cavalieri erranti che s’attendarono durante la fiorente primavera sulle rive della nostra Wieden ed a parecchie riprese, in nobili certami, conquistarono all’arte italiana trofei novelli. Su questo metro finirei coll’immergermi negl’imbratti dell’adulazione ed il mio carme andrebbe ad ingrossare il numero di quelli che già furono spietatamente immolati all’oblio. La mia ambizione mi fa desiderare un esito più soddisfacente, ed è perciò che senza abbandonarmi al lirismo dell’apoteosi, farò di tenermi pedestre a quelle osservazioni generali che l’esecuzione di musica italiana ha occasionato tra noi. Mitigatomi a temperanza, non potrò neppur seguire ad una ad una le serate alle quali per dovere di mio ufficio come vostro relatore ho assistito; l’enumerazione stancherebbe e la ripetizione dell’elogio mi tornerebbe inevitabile. Alle corte, so a chi riferisco e sarà mia la cura di non abusare nè del vostro spazio nè della vostra benevolenza. Mi rallegra anzitutto poter confermare il fatto, che il nostro pubblicò si mostrò oltre ogni credere lietissimo di far oneste e belle accoglienze all’opera italiana. A dirvi il vero io ne temevo, per la sola ragione che a questi lumi di luna, con tante preoccupazioni in aria, coi rovesci subiti alla borsa, la bella mercè delle prodigiose forme di fondazioni novelle, c’era da metter pegno che l’opera italiana sarebbe rimasta deserta per parte di coloro, i quali imprimono l’impulso alle abitudini pubbliche della giornata. Godo assai che la mia preoccupazione sia stata senza fondamento- Dimenticato fu il ribasso dei valori, posto fu in non cale l’arrabattarsi delle politiche fazioni, furono relegati in un angolo remoto della memoria e i Carlisti e l’Alabama e quasi alcun punto nero non minacciasse rovinio nè dal Levante nè dal Ponente, i nostri viennesi e gli ospiti nostri accorsero in folla straordinaria al teatro suburbano per bearsi alle soavi delizie della musica italiana, ed attingervi ispirazione ai compiti diversi delle loro occupazioni. Affé ch’ei sarebbe uno studio di non lieve psicologico momento l’indagare quanta parte ebbe il Barbiere di Siviglia nella compilazione d’una nota diplomatica del ministro Andrassy; quanta intonazione in una risposta dell’ambasciatore Banneville, portata seco colla.reminiscenza di quell’0 Dio morir sì giovane, e quanta influenza ebbe esercitata la canzone del Savojardo nella Linda sopra le operazioni fatte dal vostro generale conte Robillant a proposito dell’intempestivo discorso del signor De Schmerling alla Camera dei Signori. Non c’è neanche a dubitare che il ministro dell’impero germanico signor De Schweinitz, udita la Norma, avrà sentito ribollirsi il sangue contro l’infedele latino, e guai alla Francia se in quella disposizione d’animo ei fosse stato richiesto d’un parere. Io conosco un giovine studente di matematica, a cui il Don Pasquale rese per qualche dì amenissime l’equazioni più ingnillite; e so di un altro, seguace d’Esculapio, la cui lingua dopo il Rigoletto, divenne ben più pronta e baldanzosa ai vanti che prima noi fosse stata mai. In una parola, la diplomazia e la scienza, l’economia domestica e l’industria, l’opificio e la scuola, la cancelleria e la bettola subirono per qualche settimana almeno l’imperioso ascendente della musica italiana e la sua efficacia si tradusse in quei tanti piacevoli o concitati parlari che di questi giorni si fecero tra noi in ogni ordine di persone. Per la stampa poi l’opera italiana fu un vero avvenimento. Dai giornali più serii ed autorevoli fino ai minuscoli e faceti, l’opera italiana ebbe l’onore di apposite elucubrazioni esteticofilosofiche e lepido-umoristiche a josa. I critici più eruditi per i quali la storia e la statistica della musica sono affare di scienza come sarebbe il cadavere per l’anatomo, o le combinazioni aritmetiche e le linee per il matematico di professione, acuminarono le loro disquisizioni e riandarono i loro prontuari per ripetere quanto di più lusinghiero fu detto già del Bellini e del Donizetti, del Rossini e del Verdi, ed ammanirono delle appendici che al postutto suonano gloria ed onore dell’arte italiana e de* suoi maestri. Fu anzi un esimio professore di critica musicale, che, lasciatosi andare all’ammirazione incondizionata e quasi lirica, dimenticò che anni addietro non era stato dello stesso avviso, sopratutto noi fu quando trattavasi di far propaganda per il nuovo maestro della musica tedesca, La stampa minuta che da noi è il più sguaiato figuro nel più sguaiato e provocante degli atteggiamenti possibili, si acconciò al coro dei plaudenti come meglio le tornava e non potendo far peggio applicò dei manrovesci all’impresario che tenne i prezzi d’ingresso all’altezza degli acutissimi trilli. Per conto mio, mando il mi rallegro all’Italia, la quale, malgrado i tentativi della scuola moderna, sa conservare lo splendore intemerato e puro della sua arte e costringere anche i meno proclivi a tributarle l’omaggio dell’ammirazione e della fede. Questa volta ella ei mandò anche un’eletta de’ suoi, che valsero a meritarle pienamente l’onore della vittoria. Dopo nove anni d’assenza noi abbiamo riveduta e riammirata l’Adelina Patti, che ei apparve tanto più fenomenale nelle sue prerogative, quanto più rara è l’occasione d’abbatterci in artisti di cotai levatura. Ella rimase fedele a sè medesima, fedele alla sua vocazione, fedele al progresso de’ suoi studi. Gli elogi sperticati che le prodigò l’Europa fin dal suo primo apparire nel mondo teatrale, non l’abbagliarono; ella non si tenne per l’infallibile Diva, proclamata da chi la comprese come altresì da chi il faceva per vaghezza d’imitazione; ella studiò trionfando, e noi che non l’avevamo nè veduta nè sentita da tanfo tempo, siamo al caso di valutare la perfezione artistica, alla quale la condussero i suoi studii e le doti naturali onde fu privilegiata. Il suo successo fu completo; ella ei fece sostenere con coraggio e l’afa tropicale del teatro zeppo di spettatori e le grida stridule e tumultuose degli applausi fremebondi e i prezzi crudelissimi dell’entrata. Il magistero della sua esecuzione, sia dal lato drammatico, sia dal lato musicale rivela in lei un amore passionato all’arte che professa, amore ch’ella inimitabilmente sa inspirare ne’ suoi uditori. Cresciuta fra la pratica incessante della scena, ella ne acquistò pieno possesso e mentre noi l’ammirammo già per il suo vigore, per il suo brio, per il timbro potentissimo della sua voce, questa volta ei siamo stati presi eziandio all’arte mirabile del suo gesto e delle sue pose che s’accoppiano in modo straordinariamente bello al suo canto. Sia che la si senta cantare l’idillio della Linda ed il sentimento della Sonnambula, sia che i traviamenti d’una perduta o i furori d’una nordica sacerdotessa le invadano l’anima, l’effetto affascinante ch’ella crea è irresistibile. Dove poi la si ammira nel suo vero elemento, dove l’ingegno di quest’artista spiega tutta la sua pienezza è appunto nelle grazie della sua Rosina. Una spigliatezza che somigli la sua, un’interpretazione che accresca il pregio insito all’oggetto interpretato e lo avvicini alla comune intelligenza per farlo meglio sentire in tutte le sue più recondite bellezze, è un dono ed è un progresso ad un tempo, che ei porgono una creazione novella colà dove noi ei aspettavamo il risveglio d’una sbiadita memoria. Quanta freschezza nella sua Calesera! Quanta gentile gaiezza nel suo bolero tolto ai Vespri siciliani ed intarsiato nella lezione di canto del Barbiere! Il Rigoletto, la Lucia, la Linda, la Traviata, furono veri trionfi per l’Adelina Patti a Vienna, la miglior parte della cui popolazione serberà gratissima ricordanza delle soavi emozioni e dei più puri diletti, provati la bella mercè della celebrata e festeggiatissima artista. Mi sono proposto di non eccedere in adulazione; se continuo di questa intonazione, corro pericolo di non tener fede al mio proponimento. Finisco dicendo che la beneficiata della Patti fu un’ovazione continua. Della compagnia condottaci dal Merelli rileveremo ancora il baritono Graziani che va considerato a giusto titolo come uno dei più valenti baritoni della giornata; voce e scuola, azione e nobiltà gli procurano tanta onoranza. Al tenore Nicolini supplì il Corsi; inadeguatamente; però non cosi da portar detrimento all’assieme. Il Moriani è artista di vaglia. Degli altri vi faccio grazia, non perchè abbiano demeritato, cibò! ma perchè a petto all’astro del giorno impallidiscono le minori stelle. L’Arditi fece l’impossibile: disciplinò e plasmò un’orchestra che avrebbe fatto disperare artisti meno abili di lui. In somma campagna egregia, il Merelli ritornerà. F Per abbondanza di materia rimandiamo al prossimo numero una corrispondenza di Berlino ed un’altra di Londra giunteci in ritardo. MILANO. Riuscì assai bene la rappresentazione dei bambini dell1 Istituto Vittorino da Feltro al teatro Fiando. 1 piccoli artisti, e il loro maestro, l’infaticabile Varisco, vi ebbero applausi in gran copia. BOLOGNA. Al teatro Brunetti ebbe esito lietissimo Y Elisir d’amore di Donizetti, interpreti i coniugi Paoletti che furono applauditissimi. Appena mediocri gli altri esecutori. 156 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO FERRARA. Il Guarany del maestro Gomes ebbe al teatro Comunale lieto esito. L’esecuzione era affidata alla signora Pascalis, al tenore Bulterini, al baritono Bergamaschi e ai signori Sterbini e Manfredi. I giornali fanno grandi eloa’i della signora Pascalis, del Bulterini e del baritono Bergamaschi. Ottima l’orchestra, diretta dal maestro Sarti. PARMA. Le rappresentazioni AeMAida sono un continuo trionfo per gli artisti, per l’orchestra, pei cori... e per la cassetta dell’impresario. Applausi a josa, e teatri riboccanti. BARLETTA. Le rappresentazioni del Macbeth continuano splendidissime. Applausi infiniti alla signora Cattinari Fassi, al baritono Parboni a De Santis e a Loparco. Cori ed orchestra lodevoli. NOTIZIE ITALIANE — Milano. Domenica prossima nel Giardino del Caffè Cova principieranno i Concerti a grande orchestra. Per ora avranno luogo tutte le domeniche ed i giorni festivi, e verso la fine del corrente mese oltre i detti trattenimenti, vi saranno tutte le sere i concerti a piccola orchestra. Come al solito il direttore sarà l’egregio maestro Rivetta. I Concerti Cova hanno ormai acquistato tale rinomanza che stimiamo inutile il fai’ gli elogi degli esecutori e dei programmi: il pubblico, al pari degli scorsi anni, accorrerà numeroso a quelli geniali ritrovi, ove in mezzo alla verzura, fra le armonie dell’orchestra e delle tazze e bicchieri si ammirano le più belle signore del gran mondo., le eleganti toilettes estive ed... il cilindro di parata dell’avveduto signor Chierichetti, fortunato proprietario del rinomato Caffè. — Roma. Leggiamo nell’Opinione: Fu confermato nella carica di maestro delle scuole corali municipali il signor Alessandro D’Este, che era succeduto provvisoriamente al defunto maestro cav. Magazzani, il quale aveva con la sua morte lasciato vacante quel posto. — Genova. Riportiamo con molto piacere le parole del Movimento del 1 corrente, che confermano il successo grandioso del Braga, segnalatoci dal nostro corrispondente: «Lunedì a sera, come avevamo annunziato, avea luogo il trattenimento musicale dato dal celebre violoncellista e compositore Gaetano Braga. La stupenda ed elegante Sala Sivori, che a buon diritto desta l’ammirazione di quanti vanno a visitarla, offriva un magico colpo d’occhio, ricolma com’era della più eletta nostra cittadinanza. Il Braga si addimostrò sommo in ogni singolo pezzo, tanto che ad ogni frase che accentava sul suo violoncello lo si interrompeva con fragorosi e reiterati applausi. Gli si volle far ripetere il Corricolo Napolitano bozzetto caratteristico e di bellissima fattura.» ULTIME NOTIZIE 3Io(1otiìl 5 Maggio -12 72 antim. PRIMA RAPPRESENTAZIONE dell’Opera in 4 atti O L EI IVI /K LIBRETTO DI F. M. PIAVE Musica di CARLO PEDROTTI Se giudicare si dovesse dagli applausi con cui venne accolto questo lavoro, si direbbe che il primo e secondo atto ebbero lietissimo successo, il terzo e quarto atto successo mediocre. Dal canto nostro, per quanto guardinghi si debba procedere dopo una prima udizione, diremo francamente che T Olema non ei pare destinata a lunga vita. La smania del nuovo, la preoccupazione dell’inusitato fecero sì che la bella musa del Pedrotti, tanto gentile e chiara, cadesse nel monotono, nel pesante. Le frasi sono stranamente contorte, senza spontaneità, e con ritmi barocchi e difficili a percepirsi: l’orchestra, tormentata e tormentosa, vuota taluna volta, troppo romoreggiante tal’altra; non novità di impasti strumentali, nessun effetto orchestrale. Questa preoccupazione del nuovo ad ogni costo che indubbiamente accapigliò il Pedrotti, fa si che s’egli riesce poco felice nella forma, nella trovata della melodia, pur tuttavia questa non manca di una cotai novità di concetto, mentre per lo contrario, vedi stranissimo contrasto, la forma generale dei pezzi, il loro disegno, il loro svolgimento nulla contiene di assolutamente nuovo, anzi il convenzionalismo appare ovunque coi ritornelli delle cabalette, degli adagi, dei couplets delle romanze, e colle interminabili cadenze che coronano ogni pezzo. La musica con cui volle caraterizzare l’arabo personaggio di Ben-Zagal (Silenzi) è affatto mancata: perfino una invocazione ad Allah finisce con una interminabile cadenza, adatta al più rococò fra tutti i rondeau del mondo. Il soggetto dell’Olema presenta buone ed interessanti posizioni sceniche nei primi due atti; il finale del secondo, in ispecie, avrebbe potuto dar luogo ad un pezzo grandiosissimo; il terzo e quarto atto sono quanto mai di comune, di scurrile trovar si possa; scene appiccicate a gran stento, per dar luogo alla cabaletta del baritono, ed alla romanza del soprano: di questo gran difetto la musica doveva naturalmente risentirsene. L’ultimo duetto fra soprano e tenore è una copia sfacciata del divino duetto del quarto atto negli Ugonotti: l’identica, precisa posizione drammatica, le stesse parole, gli stessi incidenti, così che perfino la musica rammenta in molti brani quella incomparabile del Meyerbeer. - Come mai il Pedrotti non avvisò sconcio siffatto?... Gli applausi e le chiamate, pur tuttavia, non furono poche, ma più che alla musica, dovute alla Galletti, somma, inarrivabile cantante, ed al nome simpatico ed onorato in arte del maestro Pedrotti: furono 10 nel primo atto, 11 nel secondo, e 5 nel quarto: totale 26 chiamate. Si volle la replica della cabaletta del duetto fra soprano e contralto del primo atto, e si voleva pure la replica della romanza del soprano nell’ultimo atto. Ed invero sono i due migliori brani dello spartito. La stretta del duetto fra le due donne è di molto effetto: concitate, appassionate le risposte musicali fra l’una e l’altra voce: ma di assai superiore.è la romanza del soprano nel quarto atto, cantata dalla Galletti divinamente. È la sola parola che possa esprimere il modo col quale questa somma artista sospirò la bellissima melodia, che, se ne togli un barocco ripetersi di veloci si, si, si, si, si, è veramente peregrina nella fattura e nel concetto; anche i versi in questo solo brano possono chiamarsi: versi. L’esecuzione fu perfetta, sublime, deliziosa per parte della Galletti (Olema); buona per parte della signora Tiozzo (Giovanna) simpatica artista; mediocre per parte degli altri e dei cori: pessima per parte dell’orchestra, diretta.... anzi deragliata continuamente da una bacchetta direttoriale assai inesperta. Meschinissimo il vestiario: belle le scene nel disegno, ma pessime nell’esecuzione per mancanza assoluta di colorito. Sommando tutto, il nostro giudizio è ispirato ad una tal quale severità; severità che crediamo dover nostro d’avere, trattandosi di un maestro come il Pedrotti. Noi siamo certi d’essergli veri, cordiali amici, desiderosi dell’accrescimento della sua bella fama, col dirgli colla maggior franchezza che il suo stile non ei pare chiamato al genere serio, drammatico. Nell’opera buffa il Pedrotti non teme oggigiorno rivali: perchè scendere di tanti e tanti gradini, col tentare l’opera seria? Quanto è grazioso, simpatico, efficace, ispirato nella prima, altrettanto è pesante, irrequieto, vuoto nella seconda. 0 che?... gli allori della Fiorina, del Tutti in Maschera, della Guerra in quattro, non sono essi abbastanza gloriosi, per non invogliare il bravissimo Pedrotti ad aggiungervi nuove fronde?... Egli lo deve, e lo auguriamo pel bene dell’arte italiana. G. R. SCIARADA M altro per quante volte il primo vuole Get’tai sperando meno avaro il flutto. Di bel clima, bel cielo e ardente sole Si allieta il tutto. Quattro degli abbonati che spiegheranno la Sciarada, estratti a sorte, avranno in dono uno dei pezzi enumerati nella copertina della Rivista Minima, a loro scelta. SPIEGAZIONE DELLA SCIARADA DEL NUMERO 16: CON - FORTI Fu spiegata dai signori: S. Saladini, Ernestina Benda, ai quali fu spedito il premio. Editore-Proprietario, TITO DI GIO. RICORDI. Oggioni Giuseppe., gerente. Tipi Ricordi — Carta Jacob.