Galateo ovvero de' costumi/XXVIII

Capitolo XXVIII

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XXVII XXIX
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Cap. XXVIII. Che in tutte le azioni dee il ben costumato cercare la leggiadria e la convenevolezza: cose sconce essere in prima tutti i vizi; e perciò da fuggirsi. Si divisano in particolare molte cose che deggiono farsi con modi acconci, e distintamente si parla delle vesti.

146. Non si dee adunque l’uomo contentare di fare le cose buone, ma dee studiare di farle anco leggiadre. E non è altro leggiadria, che una cotale quasi luce che risplende dalla convenevolezza delle cose che sono ben composte e ben divisate l’una con l’altra, e tutte insieme; senza la qual misura eziandio il bene [p. 93 modifica]non è bello, e la bellezza non è piacevole. E siccome le vivande, quantunque sane e salutifere, non piacerebbono agl’invitati, se elle o niun sapore avessero, o lo avessero cattivo; così sono alcuna volta i costumi delle persone, comechè per se stessi in niuna cosa nocivi, nondimeno sciocchi e amari, se altri non gli condisce di una cotale dolcezza, la quale si chiama, siccome io credo, grazia e leggiadria.

147. Per la qual cosa ciascun vizio per sè, senza altra cagione, convien che dispiaccia altrui conciossiachè i vizi sieno cose sconce e sconvenevoli sì, che gli animi temperati e composti sentono della loro sconvenevolezza dispiacere e noia.

148. Perchè innanzi ad ogni altra cosa, conviene a chi ama di esser piacevole in conversando con la gente, il fuggire i vizi; e più i più sozzi, come lussuria, avarizia, crudeltà, e gli altri; de’ quali alcuni sono vili, come lo essere goloso e lo inebriarsi: alcuni laidi, come lo essere lussurioso: alcuni scelerati, come lo essere micidiale: e similmente gli altri, ciascuno in se stesso, e per la sua proprietà, è schifato dalle persone, chi più e chi meno; ma tutti generalmente, siccome disordinate cose, rendono l’uomo nell’usare con gli altri spiacevole, come io ti mostrai anco di sopra. [p. 94 modifica]

149. Ma perchè io non presi a mostrarti i peccati, ma gli errori degli uomini, non dee esser mia presente cura il trattar della natura de’ vizi e delle virtù, ma solamente degli acconci e degli sconci modi, che noi l’uno con l’altro usiamo; uno de’ quali sconci modi fu quello del conte Ricciardo, del quale io t’ho di sopra narrato, che come difforme e male accordato con gli altri costumi di lui belli e misurati quel valoroso vescovo, come buono e ammaestrato cantore suole le false voci; tantosto ebbe sentito.

150. Couviensi adunque alle costumate persone avere risguardo a questa misura, che io t’ho detto, nello andare, nello stare, nel sedere, negli atti, nel portamento e nel vestire e nelle parole e nel silenzio e nel posare e nell’operare. Perchè non si dee l’uomo ornare a guisa di femmina, acciocchè l’ornamento non sia uno e la persona un altro, come io veggo fare ad alcuni, che hanno i capelli e la barba innanellata col ferro caldo, e ’l viso e la gola e le mani cotanto strebbiate e cotanto stropicciate, che si disdirebbe ad ogni femminetta, anzi ad ogni meretrice, quale ha più fretta di spacciare la sua mercatanzia e di venderla a prezzo.

154. Non si vuol nè putire, nè olire, acciocchè il gentile non renda odore di poltroniero, nè del maschio venga odore di femmina [p. 95 modifica]o di meretrice. Nè perciò stimo io, che alla tua età si disdicano alcuni odoruzzi semplici di acque stillate.

152. I tuoi panni convien che sieno secondo il costume degli altri di tuo tempo, o di tua condizione, per le cagioni che io ho dette di sopra; chè noi non abbiamo il potere di mutar le usanze a nostro senno, ma il tempo le crea e consumale altresì il tempo. Puossi bene ciascuno appropriare la usanza comune. Che se tu arai per avventura le gambe molto lunghe, e le robe si usino corte, potrai far la tua roba non delle più, ma delle meno corte; e se alcuno le avesse o troppo sottili, o grosse fuor di modo, o forse torte, non dee farsi le calze di colori molto accesi, nè molto vaghi; per non invitare altrui a mirare il suo difetto.

153. Niuna tua, vesta vuol essere molto molto leggiadra, nè molto molto fregiata; acciocchè non si dica, che tu porti le calze di Ganimede, o che tu ti sii messo il farsetto di Cupido: ma quale ella si sia, vuole essere assettata alla persona, e starti bene, acciocchè non paia che tu abbi indosso i panni d’un altro, e sopra tutto confarsi alla tua condizione, acciocchè il cherico non sia vestito da soldato, e ’l soldato da giocolare. Essendo Castruccio in Roma con Lodovico il Bavaro in molta gloria e trionfo, duca di Lucca e di [p. 96 modifica]Pistoia e conte di palazzo e senator di Roma, e signore e maestro della corte del detto Bavaro, per leggiadria e grandigia si fece una roba di sciamito cremisi; e dinanzi al petto un motto a lettere d’oro: Egli è come dio vuole e nelle spalle di dietro simili lettere, che diceano: E’ sara’ come dio vorra’. Questa roba, credo io, che tu stesso conosci che si sarebbe più confatta al trombetto di Castruccio, che ella non si confece a lui. E quantunque i re sieno sciolti da ogni legge, non saprei io tuttavia lodare il re Manfredi in ciò, che egli sempre si vestì di drappi verdi.

154. Dobbiamo dunque procacciare che la veste bene stia non solo al dosso, ma ancora al grado di chi la porta; e oltre a ciò, che ella si convenga eziandio alla contrada ove noi dimoriamo; conciossiachè siccome in altri paesi sono altre misure, e nondimeno il vendere e il comperare e il mercatantare ha luogo in ciascuna terra, così sono in diverse contrade diverse usanze; e pure in ogni paese può l’uomo usare e ripararsi acconciamente.

155. Le penne che i napoletani e gli spagnuoli usano di portare in capo, e le pompe e i ricami, male hanno luogo tra le robe degli uomini gravi, e tra gli abiti cittadini, e molto meno le armi e le maglie; sicchè quello che in Verona per avventura converrebbe, si [p. 97 modifica]disdirà in Vinegia; perciocchè questi così fregiati e così impennati e armati non istanno bene in quella veneranda città pacifica e moderata; anzi paiono quasi ortica o lappole fra le erbe dolci e domestiche degli orti, e perciò sono poco ricevuti nelle nobili brigate, siccome difformi da loro.

156. Non dee l’uomo nobile correre per via, nè troppo affrettarsi; chè ciò conviene a palafreniere e non a gentiluomo: senzachè l’uomo s’affanna e suda e ansa, le quali cose sono disdicevoli a così fatte persone. Nè perciò si dee andare si lento, nè sì contegnoso, come femmina o come sposa. E in camminando, troppo dimenarsi disconviene; nè le mani si vogliono tenere spenzolate, nè scagliare le braccia, nè gittarle, sicchè paia che l’uom semini le biade nel campo. Nè affissare gli occhi altrui nel viso come se egli vi avesse alcuna maraviglia.

157. Sono alcuni che in andando levano il piè tanto alto, come cavallo che abbia lo spavento; e pare che tirino le gambe fuori d’uno staio. Altri percuote il piede in terra sì forte, che poco maggiore è il romore delle carra. Tale gitta l’uno de’ piedi in fuori, e tale brandisce la gamba; chi si china ad ogni passo a tirar su le calze, e chi scuote le groppe e pavoneggiasi: le quai cose spiacciono non come molto, ma come poco avvenenti. [p. 98 modifica]

158. Che se il tuo palafreno porta per avventura la bocca aperta o mostra la lingua; comechè ciò alla bontà di lui non rilievi nulla, al prezzo si monterebbe assai, e troverestine molto meno; non perchè egli fosse perciò men forte, ma perchè egli men leggiadro ne sarebbe. E se la leggiadria si apprezza negli animali e anche nelle cose che anima non hanno nè sentimento, come noi veggiamo che due case ugualmente buone e agiate non hanno perciò uguale prezzo se l’una averà convenevoli misure, e l’altra le abbia sconvenevoli: quanto si dee ella maggiormente procacciare e apprezzare negli uomini?