Fra la favola e il romanzo/Zaccaria/VII
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VII.
Era scorso un mese. L’ex-caporale aveva ottenuto il desiderato permesso tanto per sè quanto per Zaccaria, ed era destinato che da lì a tre giorni ambedue sarebbero partiti sopra una nave, che, proveniente da Marsiglia, dopo fatto carico a Civitavecchia, doveva veleggiare per l’Oriente.
Già da due giorni il sigaraio aveva smesso la sua bottega, e prestava l’opera sua all’ex caporale per allestire un certo carico destinato al loro commercio. Era venuto il momento di spendere una parte del danaro, e Zaccaria salì alla soffitta per prenderlo. Non appena ebbe messo la chiave nella toppa, che la serratura della porta cedè da sè stessa. Perchè? Eppure uscendo aveala ben serrata!
Va allo stramazzo; introduce la mano in un piccolo foro che v’aveva fatto: cerca, fruga, rifruga, il borsellino non v’era. Ma come, se destandomi l’ho sentito io questa mattina con la mia mano? Stava qui, proprio qui. Dio mio dove sarà andato! Forse più giù? Non v’è! proprio non v’è. — Ed il ragazzo tutto convulso, tremante, avea fatto un lungo squarcio per cercare meglio. Invano. Nulla, nulla: il borsellino era sparito. Zaccaria sentì togliersi il lume dagli occhi; un singhiozzo lungo lungo da soffocarlo troncò la sua voce, non potè gridare e cadde bocconi sul letto. Ma con uno sforzo violento: — al ladro, al ladro! — urlò finalmente — me l’hanno rubato, me l’hanno rubato — e rialzatosi, fuori di sè traversò di volo il corridojo e scese le scale a precipizio.
Sparite le economie del suo lavoro di più anni, sparito il mezzo per andare da Roberto, non avere più nulla! Egli si trovò sulla strada, forte piangendo e ripetendo: — al ladro, al ladro!
Dinanzi al portone era una bottega da fabbro-ferrajo. Per caso il maresciallo della brigata ed un gendarme stavano là parlando col maestro. Alle grida del fanciullo si volsero frettolosi e domandarongli che cosa fossegli accaduto. Zaccaria balbettando, lagrimoso, e tremante: — m’hanno rubato — disse loro. — Avevo la mia borsa, la borsa della signora con tante monete, lassù, dentro lo strapunto, e me l’hanno rubata.
— Calmati, figliuolo, riprese autorevolmente il maresciallo, e dimmi bene com’è andata la faccenda.
Intanto per precauzione s’era posto col gendarme sul portone della casa, in modo da sbarrarne l’uscita. Zaccaria narrò loro la sparizione del borsellino, e rispose a tutte le domande che il maresciallo gli indirizzò.
— Lo troveremo, lo troveremo, questi soggiunse, e tutti e tre ascesero al piano delle soffitte.
— Voi qui — disse il maresciallo dandogli la consegna — e che nessuno esca.
Nel corridoio stavansi congregati le due vecchie, l’intagliatore ed il sartorello tutti sconvolti ancora dalle grida e dalle parole del fanciullo. Ciascuno voleva rientrare nella propria stanza, ma — nessuno si muova — ordinò severamente il maresciallo — altrimenti guai a voi!
Avendo con sè Zaccaria, entrò nella soffitta del sartorello, rovistò le cassettine del tavolo, gettò all’aria i meschini vestiti accumulati sopra una panchetta, si avvicinò al letto, il fanciullo s’accorse che il gendarme perquisiva le robe del povero sartore sospettando di lui, ed esclamò: — no, no, signor soldato, non è possibile; è un galantuomo, ci giurerei. — Ma il gendarme proseguì a frugare finchè fu convinto che là dentro non v’erano monete, eccettuati pochi soldi rinchiusi in un vecchio guanto. Passò poi nella soffitta dell’intagliatore, il quale, coi capelli rabuffati, con cipiglio represso e le braccia conserte s’era posto vicino all’uscio. A vederlo il suo aspetto non ispirava niente fiducia, ed il maresciallo pensò — qua dentro sta il furto, — e senza badare a Zaccaria, il quale protestava che il suo padrone di casa era brav’uomo quanto il sartore, prese minutamente ad osservare quanto gli apparteneva. Frugò i letti, il cassettone, le pentole, la catasta di forme, sulle travi del tetto, e fra una specie di assito.
L’intagliatore non seppe più oltre sostenere quell’onta ed avanzandosi verso il maresciallo, rialzatesi le ciocche de’ capelli, esclamò — ma guarda, viva Dio, guarda se questa è fronte da ladro! Guarda queste mani incallite, e dimmi se non ho sempre vissuto col lavoro delle mie braccia?
Ed intanto tendeva verso di lui le palme spalancate come a testimonio della sua onoratezza.
Il maresciallo inesorabilmente seguiva a perquisire, e nel frugare in fondo ad un cassetto del banco ebbe trovato il borsellino avvolto in alcuni stracci.
Zaccaria non potè tenersi dal gridare. — Ah, eccolo! — ed il maresciallo ponendolo sotto gli occhi dell’intagliatore: — a voi, galantuomo — gli disse.
Fu un colpo di fulmine. L’infelice rimase con le braccia tese, le palme aperte. Poi battendosi la fronte: — ah miserabile, tu sei il mio assassino.
Zaccaria comprese all’istante. Il ladro era Giovannino. Volle parlare; ma al misero padre, certo che la propria innocenza sarebbesi fatta palese, ripugnò d’accusare il figlio per giustificarsi; e con un gesto, con uno sguardo pieni di energia imposegli silenzio.
Il maresciallo credè l’artiere adirato contro il fanciullo, e per avere maggior prova del delitto: — è questa la borsa? — domandò a Zaccaria.
— Sì.
Quindi rivolto all’intagliatore.
— Questa è la vostra stanza?
— Sì.
— Questo è il vostro banco?
— Sì.
— Chi vi ha posto questa borsa?
— Non lo so.
— Ah! non lo sapete?
— Vi dico che non lo so. — ripetè fermamente il povero padre.
— Non lo sapete? ebbene lo direte al signor Presidente.
Di lì a poco l’intagliatore con le manette ai polsi entrava nella presidenza del rione, seguito da Zaccaria che andava per attestare della onestà di lui.
Non aveva sorpassato l’ingresso che un ragazzo con la testa fasciata, e tutto malconcio giungeva condotto da altri gendarmi.
L’intagliatore ravvisò il figliuolo, e: — te lo aveva detto io, gli gridò, te lo aveva detto che finiresti in galera!
Ecco il fatto. Quando Zaccaria, dopo, la partenza del sergente, salì a rinchiudersi nella sua soffitta, Giovannino non si tenne contento di averlo sbeffeggiato, ma volle puranco spiare il povero ragazzo. Si pose in agguato presso l’uscio logoro, e dagli spiragli lo vide tirar fuori il borsellino e contare il danaro. Il luccicchio di quelle monete diedegli la vertigine — Ah pistoletta! Ah polpo! egli diceva fra sè, tu sei ricco quanto Torlonia, e io sto asciutto come l’esca — e cominciò a ruminare il modo d’impossessarsi di quel tesoro.
Trascinato dai cattivi compagni lasciavasi vie più vincere dal vizio del giuoco, e già da tre giorni perdeva parecchi soldi sulla parola. Danari non aveva e bisognava pagare. I compagni lo schernivano dicendo:
— Paga, disperato!
— Disperato? Domani ve compro a tutti. —
Il giorno seguente attese che Zaccaria fosse uscito. Il padre era andato per certo lavoro, le vecchie recitavano il rosario, ed il sartorello stava occupato con alcune sue faccende. Il momento non poteva essere più propizio. Trova un lungo chiodo; ne torce la punta, e tenta servirsene come da grimaldello. La serratura cede; entra di soppiatto; toglie dallo stramazzino la borsa; invola parecchie monete; vuole rimetterla in posto, ma udendo il padre ascendere le scale, la involge frettoloso in uno straccio, e gettala in fondo al cassetto del banco. Poi scende in piazza. Ebbro dal possesso del danaro, paga, giuoca, insulta; viene a rissa con gli altri mariuoli; riceve un colpo di pietra nel capo; e quando sta per vendicarsi del suo offensore col chiodo ritorto, i gendarmi lo afferrano; egli lotta per disvincolarsi, ed intanto alcune monete, fra le quali una d’oro, gli sdrucciolano dalla tasca.
Condotto dinanzi al Presidente, tutto fu chiarito. Il povero ed onesto intagliatore fu rimandato libero a casa sua, ed il figlio inviato alla Direzione di polizia; e poi trasferito con grave condanna alle carceri di Termini1. Zaccaria per mitezza di cuore, per pietà del padre pregò a fine di ottenere la grazia dello sciagurato Giovannino; ma fu già molto se vennegli concesso di riaver subito il proprio danaro.
Note
- ↑ Casa di pena vicino alla stazione della ferrovia.