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— Vi dico che non lo so. — ripetè fermamente il povero padre.

— Non lo sapete? ebbene lo direte al signor Presidente.

Di lì a poco l’intagliatore con le manette ai polsi entrava nella presidenza del rione, seguito da Zaccaria che andava per attestare della onestà di lui.

Non aveva sorpassato l’ingresso che un ragazzo con la testa fasciata, e tutto malconcio giungeva condotto da altri gendarmi.

L’intagliatore ravvisò il figliuolo, e: — te lo aveva detto io, gli gridò, te lo aveva detto che finiresti in galera!

Ecco il fatto. Quando Zaccaria, dopo, la partenza del sergente, salì a rinchiudersi nella sua soffitta, Giovannino non si tenne contento di averlo sbeffeggiato, ma volle puranco spiare il povero ragazzo. Si pose in agguato presso l’uscio logoro, e dagli spiragli lo vide tirar fuori il borsellino e contare il danaro. Il luccicchio di quelle monete diedegli la vertigine — Ah pistoletta! Ah polpo! egli diceva fra sè, tu sei ricco quanto Torlonia, e io sto asciutto come l’esca — e cominciò a ruminare il modo d’impossessarsi di quel tesoro.

Trascinato dai cattivi compagni lasciavasi vie più vincere dal vizio del giuoco, e già da tre giorni perdeva parecchi soldi sulla parola. Danari non aveva e bisognava pagare. I compagni lo schernivano dicendo:

— Paga, disperato!

Disperato? Domani ve compro a tutti.

Il giorno seguente attese che Zaccaria fosse uscito. Il padre era andato per certo lavoro, le vecchie recitavano il rosario, ed il sartorello stava occupato