Fra la favola e il romanzo/Zaccaria/VIII

Zaccaria - VIII

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VIII.



La nave che portava l’ex-caporale, Zaccaria, parecchi soldati, cavalli, foraggi ed altre munizioni avea sciolto le vele dal porto di Civitavecchia col favore di un vigoroso ponente, e filava veloce.

Il fanciullo che per la prima volta usciva da Roma e si trovava sul mare, taceva estatico per la maraviglia. Navigavasi terra terra; e indicategli dal caporale, vide da lungi Fiumicino e l’antica Ostia presso le quali il Tevere, diviso già in due rami, mette foce nel Mediterraneo; poi Nettuno, Porto d’Anzio, la torre d’Astura; e al declinare del giorno potè scorgere il luminate dagli ultimi raggi del sole a destra le isole di Ponza e di Zannone, a sinistra il monte Circeo, oggi monte S. Felice. Venne la notte: cielo e mare si confusero, e tutto fu silenzio a bordo. Solo il vento sibilava fra i cordaggi, e le onde sobbollivano sotto la prua tagliente. Quel nuovo, sublime spettacolo altamente commosse il piccolo Zaccaria che s’era rincantucciato dietro ad alcune balle. Egli per la prima volta sentiva Dio nella vastità del mare, nella immensità del cielo, nello scintillar delle stelle; trasse dal petto la crocellina della signora, che egli avea [p. 93 modifica]sempre gelosamente custodita, e pregò; ripetendo più volte quelle poche preci che gli avevano insegnato stando all’ospedale; quindi s’addormentò profondamente e non si destò se non quando il sole era già in alto.

Prima di sera la nave era ancorata nel porto di Napoli dopo un rapido e felice viaggio.

Per alcune provviste di paste e di liquori il caporale, scendendo a terra, menò seco Zaccaria, il quale era sbalordito girando per le vie di quella popolosa città. Si fermava dinanzi agli acquaiuoli, ai maccheronai, agli ostricari, alle marionette, ai corricoli, alle venditrici di polpi bolliti, e di formentone abbrustolito sulla brace. Vide la piazza di San Francesco di Paola con la chiesa ed il portico semicircolare, vide il palazzo reale, la banchina di santa Lucia, la magnifica strada di Toledo tutta adorna di belle botteghe ed il Vesuvio, il quale con un fitto pennacchio di fumo facevalo trasecolare.

Da Napoli a Messina i venti essendo poco propizî fu d’uopo tenere il mare per sette giorni. Sorpassato il golfo di Policarpio, si navigò sempre lungo le coste della montuosa Calabria finchè fra Scilla e Cariddi, entrato il canal di Messina, si prese il porto di quella ridente città, che con le sue belle case, le vaste strade ed i vari fortilizî si estende lunghesso le rive.

Si trattava ora di far rotta direttamente per Costantinopoli, il viaggio era lungo e si attesero i venti favorevoli. Dopo dieci giorni di felice, ma lenta navigazione, l’aria cominciò a turbarsi e scoppiò una violenta tempesta. La nave era ben costrutta, l’alberatura solida, il capitano esperto, e sebbene tutti si risentissero a bordo di quel continuo scotimento, dopo [p. 94 modifica]aver rasentato l’isola di Candia, passato per mezzo alle isole Cicladi, e traversato il mare Egeo, lo stretto dei Dardanelli, ed il Mar di Marmara, nave, uomini, cavalli è munizioni giunsero salvi e senza avarie nel porto dell’antica Bisanzio.

Rimessa in assetto la nave, si riprese il viaggio; e percorso l’incantevole Bosforo che dal mar di Marmara mette al mar Nero, fu volta la prua dritto ai lidi opposti, chè si trattava di sbarcare sulle terre dei Russi in Crimea, dove già gli eserciti alleati cominciato aveano le operazioni di guerra.

Il mar Nero è sovente procelloso; i venti vi soffiano gagliardi e sbrigliati, e la navigazione riuscì tarda ed ingrata. Pure senza alcun infortunio si approdò nel porto di Lamiesch lontano appena due leghe da Sebastopoli, città marittima, cinta allora da gigantesche fortificazioni e munita da circa 2000 cannoni.

Da Roma alle spiagge della Crimea, il viaggio avea durato due mesi.

Due mesi sul mare, sempre sul mare, sono lunghi per chi non è marinaio! Non è facile abituarsi a quel dondolare continuo da dritta a manca, dall’avanti in dietro che chiamasi rullio e beccheggio. I ragazzi però hanno il piede marino più degli adulti, e Zaccaria s’abituò ai disagi della navigazione come un piccolo mozzo. Lo jodio, che, sviluppando dalle acque salse diviene uno degli elementi assai salubri della respirazione, aveagli arrecato grande vantaggio. Sebbene la sua statura non fosse cresciuta neppure d’un capello, l’organismo avea guadagnato assai e le fibre acquistato forza ed elasticità.

Tardavagli però di giungere al destino. L’animo di lui era spesso rivolto a Roberto, e come vedeva [p. 95 modifica]sorgere dal mare qualche isola o spiaggia lontana ansioso domandava: — è là che sta la guerra?

Lo sbarco ebbe luogo felicemente in mezzo a numeroso naviglio di brik, di golette, di schooner e barche di ogni sorta. L’ex-caporale e Zaccaria col carico delle loro provviste, senza por tempo in mezzo si avviarono a Sebastopoli, che gli alleati stringevano già di assedio, dopo vinta la sanguinosa battaglia dell’Alma, fiumicello non molto discosto, e dopo essersi impossessati di Balaklava, città di mare che nel medio evo fu popolata di genovesi e commerciante assai.

Una parte dell’esercito francese, quello cui appar teneva il reggimento di Roberto, stava a campo fra la baia di Streletzkaia ed il vallone, detto della quarantina, avendo a sinistra la baia di Kerson.

Colà furono diretti i loro passi.

Non è possibile descrivere lo stupore di Zaccaria nel trovarsi in mezzo all’accampamento! Era un mondo nuovo per lui, non mai visto, non mai sognato. Tende, tende e poi tende pei soldati, tutte allineate. Qua e là padiglioni più alti per gli ufficiali. Lunghe file di cavalli legati ciascuno ad un piuolo; cannoni, obici, mortai, cassoni, mucchi di palle, immense baracche per viveri, foraggi e munizioni; poi più indietro spaziosi attendamenti pei malati e pei feriti.

Ecco una sentinella. La conosco sì, no, sì è mossiù Bordal; addio, mossiù Bordal. Poi un’altra. La conosco, ma non so come si chiama. Un’altra! Ma questo dunque è il reggimento di mossiù Roberto! E Zaccaria in preda ad un eccitamento convulso corre senza posa fra le tende cacciando il capo in ogni apertura, e gridando — mossiù Roberto, mossiù Roberto. [p. 96 modifica]

Da un padiglione più vasto e più adorno degli altri, segnalato da una bandieruola tricolore, uscivano, dopo dato il loro rapporto al colonnello, varî ufficiali. Il fanciullo s’imbatte in essi, dà un guardo in giro, e veduto Roberto, slanciasi verso di lui, e gli si gitta fra le braccia.