Fra la favola e il romanzo/Zaccaria/VI
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VI.
In sull’albeggiare di un bel mattino di Luglio il reggimento di Roberto era tutto schierato lungo la piazza di Venezia. I soldati, benchè carichi sotto il peso dello zaino, del cappotto, della coperta, della tenda, dei scodelloni, eran pieni di brio; sembrava che si avviassero ad una gita di piacere. Ma alcuni di essi che, legato ad una cordellina, seco traevano ciascuno il suo fido cagnuolo, i più brutti della loro specie; altri che portavano penzoloni una gabbietta con qualche volatile; due che in cima allo zaino fra le spalle e la coperta aveano un bel gatto biondo tranquillamente accovacciato; gli ufficiali col cappotto ad armacollo ed i calzoni rimboccati negli stivali; alcuni carri stracarichi di casse e bauli; un carrettone d’ambulanza; la vivandiera in abiti femminili con giubba nera e scuffiotto bianco, seduta, sulla banchetta del suo carrozzino, chiaro mostravano che il reggimento sloggiava per non tornare.
Roberto avea fatto gli addii a Zaccaria la sera innanzi, ed aveagli consegnato il borsellino della signora contenente i suoi risparmî di circa tre anni. I soldati lungi dal loro paese hanno il cuore facile alle affezioni, specialmente verso i deboli e gl’infelici. E tu li vedi talvolta prendersi di un vero amore per una povera vecchia, per uno storpio, per un fanciulletto ed anche per una bestia qualunque. È un potente bisogno del cuore che paventa l’isolamento? È un lontano riflesso delle affezioni di famiglia?
Così accadde al sergente Roberto. Egli avea finito coll’amare il derelitto orfanello, ed ora eragli doloroso il separarsi da lui. Ma il dovere lo chiamava altrove. Sicuro di rivederlo fra breve, le ultime sue parole della sera furono: — dunque coraggio e giudizio, ragazzo mio; qua, dammi un bacio, che il buon Dio t’assista, e a rivederci.
Battono i tamburi, squillano le trombe, i soldati girano pel fianco destro, ed al risoluto comando di marche, ripetuto da tutti gli ufficiali, il reggimento si muove come un sol uomo, mentre la musica vigorosamente intuona la marcia imperiale: — Partant pour la Syrie. —
Passando per la via papale, ponte sant’Angelo, borgo nuovo, la piazza di san Pietro, le milizie escono dalla porta Cavalleggeri. Ad un quarto di miglio i ranghi si dividono, ed i soldati prendono a camminare in ordinanza da viaggio: formano due lunghe file laterali, e lasciano libera la strada nel mezzo.
Non è da porsi in dubbio che Zaccaria non fosse nella piazza di Venezia dal far del giorno. Egli avea ricolma la sua cassetta di sigari, ma tenevala chiusa, ed erasi seduto in disparte sul marciapiede, restando contento di potere ancora vedere Roberto, il quale era tutto occupato per ragione di servizio. Nella marcia il sergente era quasi alla testa del Reggimento, ed il ragazzo per istargli più da vicino avea preso i suoi passi subito dopo la musica, poichè avea in animo di accompagnare il suo protettore almeno fuori della città. Zaccaria andò fino alla distanza di un miglio e mezzo. Lungo la via egli potè spesso parlare col sergente, e volle donargli ad ogni costo una buona provvista di sigari; gli altri li regalò, fra i soldati, a coloro che meglio conosceva.
Giunti alla chiesuola della Madonna del riposo1, Roberto volle che Zaccaria non si dilungasse più oltre, e, tenendo il fucile sulla spalla sinistra, s’inchinò a dare un altro bacio al ragazzo. Erano proprio l’emblema della forza e della debolezza. Vi fu un istante di commozione; ma nè l’uno, nè l’altro proferì parola.
Zaccaria rimase appoggiato al muricciuolo che sta presso la Chiesa finchè vide sfilare l’ultimo soldato. Poi passarono il carrozzino della vivandiera, i carri, il carrettone dell’ambulanza, infine un nugolo di polvere coprì tutto. Allora il fanciullo postasi la cassetta vuota sulle spalle, se ne tornò lentamente verso Roma. Presso i giardini del Vaticano s’imbattè con la retroguardia, ed i soldati fecero un hurrà al piccolo sigaraio.
Passo passo giunse alla sua casa. Il cattivello di Giovannino pareva stesse all’erta spiando il ritorno del fanciullo: e non appena ebbe udito ch’egli ascendeva le scale, prese a guaire come un cane malmenato, per burlarsi di lui, che doveva essere afflitto per la partenza del Reggimento. Zaccaria non vi bado, ed andò difilato a rinchiudersi nel suo bugigattolo. Rimase là dentro più ore. Pianse. Chi sa che non maledicesse la sua trista sorte di trovarsi solo al mondo?
Dopo il mezzogiorno vennegli in mente di contare il danaro datogli da Roberto. Cavò dal petto il borsellino, lo aprì, numerò le monete, e si accorse di essere più ricco di quel che credesse. Pensando forse alla sua benefattrice baciò il borsellino; vi ripose il danaro; lo avvolse in una carta; e, non avendo luogo più sicuro, cacciollo dentro lo stramazzino che servivagli da letto. Rifornita quindi la bottegola, usciva dalla soffitta, chiudendola accuratamente, e se ne andava per non fare che la giornata fosse tutta perduta.
Nel traversare la piazza di san Marco vide Giovannino il quale, come d’ordinario, stava già fra un branco di pessimi monelli a giuocare a battimuro2. Volle evitarlo, ma non fece tanto che il malandrino non se ne accorgesse e non lo sbeffeggiasse, gridandogli da lungi. — Ah Torlonia! zigari, zigari, polpi, polpi!
Perchè Giovannino avealo chiamato Torlonia, il signore più ricco di Roma? Zaccaria non seppe rendersene ragione, e prosegui la sua strada.
Note
- ↑ Chiesuola a due chilometri dalla porta Portese.
- ↑ A Roma i fanciulli del popolo minuto usano sovente giuocare a battimuro. Gettano contro un muro una moneta che di rimbalzo deve andare a cadere presso ad un sasso posto a mo’ di bersaglio. Vince colui che più lo avvicina con la propria moneta, e guadagna tutte le altre.