Filottete (Sofocle - Romagnoli)/Primo stasimo

Primo stasimo

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Sofocle - Filottete (409 a.C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1926)
Primo stasimo
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SECONDO CANTO INTORNO ALL’ARA


coro
Strofe I.
Alpestre Terra, che tutti nutri — madre dello stesso Giove,
che imperio hai sul grande Pattòlo — dalle fluenti d’oro,
a te, Madre veneranda, — preci volsi anche là dove
sul mio Sire s’addensava tutta l’ira degli Atrìdi,
allor che l’armi, il massimo decoro,
del padre suo, Signora che t’assidi
sui feroci leoni, un reo consiglio
die’ di Laerte al figlio.
filottete
La vostra doglia è tessera ospitale
che a me per mare voi recaste; e meco
siete concordi che gli Atrìdi e Ulisse
son la causa di tutto. Io so che questi
a ogni tristo discorso, ogni trista opera
la sua parola attiene, onde mai nulla
non derivi di giusto. Io non stupisco

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dunque di ciò; ma sí che il grande Aiace1
135ch’era presente, e tutto vide, tacque.
neottolemo
Vivo non era piú; mai, se viveva,
ospite, tal rovina avrei sofferta.
filottete
Che dici: Aiace, dunque, anch’egli è morto?
neottolemo
Sappi che piú la luce egli non vede.
filottete
140Misero me! Ma né il Tidide, né
quei che Laerte comperò da Sísifo2
son morti! Questi viver non dovrebbero.
neottolemo
No, non son morti, sappilo: ché anzi
sono in gran fiore nell’achivo esercito.
filottete
145Dimmi, e l’antico e buono amico mio.
Nestore Pilio, vive? Egli frenava
le lor tristizie coi consigli saggi.

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neottolemo
Trista è la sorte sua, però che Antìloco,
il figlio suo, non è tra i vivi, è spento.
filottete
150Ahimè, due mi dicesti che non mai
udir voluto avrei che spenti fossero.
Ahi, ahi, che più sperar, quando costoro
son morti, e Ulisse vive, ei che dovrebbe
sparire invece, e udirsene la morte.
neottolemo
155Furbo è colui; ma spesso inciampo trovano
sin le astuzie dei furbi, o Filottete.
filottete
E dimmi, per gli Dei, dov’era Pàtroclo,
del padre tuo l’amico dilettissimo?
neottolemo
Morto era anch’egli. E questo in breve sappi:
160che niun dei tristi volentieri prende
per sé la guerra, e sempre i buoni sceglie.
filottete
Fartene fede posso anch’io. Per questo
chiederti voglio che ne sia d un uomo
turpe, ma furbo, e di lingua sacrilega.

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neottolemo
165E di chi parli mai, se non d’Ulisse?
filottete
Di lui non parlo; ma un Tersìte c’era,
che non potea, quand’anche protestassero
tutti, star pago a un sol discorso. Or vive?
neottolemo
Visto non l’ho; ma udito ho dir che vive.
filottete
170Di certo, sì: ché niun malvagio mai
giunge a rovina; n’han tutela i Dèmoni.
Questi, i bricconi e i furbi si compiacciono
lungi tenerli dall’Avemo, e i buoni
sempre, e gli onesti, invece li respingono
175lungi da sé. Quale giudizio fare
da ciò, che lode, quando esalto l’opere
dei Numi, ed empî i Numi stessi io trovo?
neottolemo
Del padre Etèo progenie, io d’ora innanzi
contemplerò da lungi Ilio e gli Atridi,
180ed in guardia starò: ché, dove il tristo
più potere ha del buono, e l’onestà
distrutta cade, e il vile impera, io mai

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non amerò simili genti. A me
Sciro pietrosa d’ora innanzi basti,
485si ch’io mi goda la mia casa. Ed ora
torno alla nave. O figlio di Peante,
a te salute, a te salute, quanto
l’augurio vale: dal tuo morbo, come
tu pur lo brami, i Dèmoni t’affranchino.
490E noi, moviamo: come il Nume prospera
ci dia la brezza, scioglieremo i lini.
filottete
Figlio, partite già?
neottolemo
                                      Spiare il vento
da vicino conviene, e non da lungi.
filottete
Pel padre tuo, per la tua madre, o figlio,
495per quanto altro di caro in casa hai tu,
supplice io ti scongiuro, abbandonato,
solo non mi lasciar fra questi mali
fra cui ti dissi ch’io vivo, e che vedi.
Prendi anche me, per giunta. Oh, lo so bene,
500trasportar me non è piccol fastidio;
ma, tuttavia, sopportalo. Odïosa
sembra ogni opera bassa ai generosi,
gloriosa ogni buona. E tu, non piccolo
biasimo, o figlio, avrai, se tu rifiuti,

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505e di fama allo pregio, ove acconsenta,
ed alla terra Etèa vivo io pervenga.
Su, neppure d’un giorno è la fatica.
Risòlviti, su via, gittami dove
tu vuoi, nella sentina, a prora, a poppa,
510dove ai compagni meno cruccio io rechi.
Dimmi di sì, per Giove, te ne supplico,
figlio, acconsenti: ai tuoi ginocchi cado,
sebbene zoppo, ahimè, tapino e invalido:
non mi lasciare qui soletto, lungi
515da ogni strada degli uomini: no, salvami,
conducimi alla tua patria; o, se vuoi,
di Calcodónte3 alla dimora Eubèa.
Lungo il viaggio indi non è pei gioghi
Trachìni, e per l’Eèta, e le fluenti
520belle dello Sperchèo, se tu vorrai
dare la nuova al padre mio. Sebbene
gran tempo è già che morto io lo sospetto;
perché spesso da quei che qui giungevano
a pregar lo mandai che un proprio legno
525qui spedisse a salvarmi, a ricondurmi.
O morto è, dunque, oppure i messaggeri,
come interviene, fecero di me
povero conto, ed alla patria loro
affrettarono il corso. Ora, però,
530che te nunzio e compagno insieme trovo,
abbi pietà di me, salvami tu:
vedi che tutto pei mortali è pieno
d’insidie e di pericoli, e la sorte
ora il bene concede, ora il contrario.
535Chi lontano è dai mali, ai mali pensi;
e chi vive felice, a sé più badi,
ch’ei non rovini, senza pure addarsene.

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corifeo

Antistrofe.
Abbi, o Signore, pietà dei molti — mali orrendi ch’à sofferti:
540deh, mai sofferirli non debba — niun degli amici miei!
O Signor, se gli empi Atridi aborrisci, e tu converti
in vantaggio suo lo sdegno per le loro opere prave.
Ov’egli brama io certo lo addurrei
sopra la salda mia rapida nave,
545per isfuggir dei Numi alla vendetta,
alla patria diletta.
neottolemo
Vedi che tu, che sí benigno or parli,
quando crucciato poi sarai dal morbo,
altri discorsi favellar non debba.
corifeo
550Punto: mai non sarà che tale biasimo
a me tu possa giustamente apporre.
neottolemo
Vergognarmi dovrei, quando restío
di te piú fossi ad aiutare un ospite.
Navighiamo, se vuoi: salpi costui
555presto con noi: la nave di sicuro
l’accoglierà, non lo rifiuterà.
E proteggan gli Dei di questa terra
noi, che di qui vogliamo aprir le vele.

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filottete
O carissimo giorno, uomo carissimo,
nocchieri amici, e come mai coi fatti
mostrare a voi quanto io grato vi sono?
Andiamo, o figlio; e prima entriamo in questa
560casa senz’agi, e diamole un saluto,
si che tu scorga di che vissi, o figlio,
e quanto saldo fu il cuor mio. Ben credo
che pur la vista sopportarne, niuno,
eccetto me. potrebbe: apprese a me
565necessità ch’io sino il male amassi.
corifeo
State, sentiamo: qui giungon due uomini:
1 un tuo piloto, e straniero è l’altro.
Prima uditeli, e poi quivi entrerete.


Note

  1. [p. 246 modifica]Il grande Aiace è il Telamonio.
  2. [p. 246 modifica]Quei che Laerte comperò da Sisifo è Ulisse, che secondo una tradizione postomerica, non sarebbe figlio di Laerte, ma di Sisifo e di Anticlea, la quale lo avrebbe partorito dopo sposato Laerte; cfr. Aiace, pag. 31, v. 202.
  3. [p. 246 modifica]Calcodonte fu re d’Eubea.