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505-537 FILOTTETE 147

505e di fama allo pregio, ove acconsenta,
ed alla terra Etèa vivo io pervenga.
Su, neppure d’un giorno è la fatica.
Risòlviti, su via, gittami dove
tu vuoi, nella sentina, a prora, a poppa,
510dove ai compagni meno cruccio io rechi.
Dimmi di sì, per Giove, te ne supplico,
figlio, acconsenti: ai tuoi ginocchi cado,
sebbene zoppo, ahimè, tapino e invalido:
non mi lasciare qui soletto, lungi
515da ogni strada degli uomini: no, salvami,
conducimi alla tua patria; o, se vuoi,
di Calcodónte6 alla dimora Eubèa.
Lungo il viaggio indi non è pei gioghi
Trachìni, e per l’Eèta, e le fluenti
520belle dello Sperchèo, se tu vorrai
dare la nuova al padre mio. Sebbene
gran tempo è già che morto io lo sospetto;
perché spesso da quei che qui giungevano
a pregar lo mandai che un proprio legno
525qui spedisse a salvarmi, a ricondurmi.
O morto è, dunque, oppure i messaggeri,
come interviene, fecero di me
povero conto, ed alla patria loro
affrettarono il corso. Ora, però,
530che te nunzio e compagno insieme trovo,
abbi pietà di me, salvami tu:
vedi che tutto pei mortali è pieno
d’insidie e di pericoli, e la sorte
ora il bene concede, ora il contrario.
535Chi lontano è dai mali, ai mali pensi;
e chi vive felice, a sé più badi,
ch’ei non rovini, senza pure addarsene.