Filli di Sciro – Discorsi e appendice/Appendice/II
Questo testo è incompleto. |
◄ | Appendice - I | Appendice - III | ► |
PROLOGO DI FULVIO TESTI
alla « Filli di Sciro » recitata in Sassuolo.
Apollo.
Al grand’arco d’argento, a la faretra
gravida di saette, al crin che d’oro
folgorante fiammeggia, a la ghirlanda
che fulmine non teme e gel non cura,
ben cred’io che per Febo
ciascun mi raffiguri: e Febo i’sono.
A te, del bel Panaro
gloriosa reina,
tien riverente ad inchinarsi il Sole,
già che con nuova meraviglia in fronte
porti quaggiù moltipllcati i soli.
Io non osai di comparirti innanzi,
quando ne l’oriente
apro con man di rose al di le porte,
perché, dal tuo splendore
offuscato il mio lume,
stato sarei con publica vergogna
l’eteree vie d’abbandonar costretto.
Or se ben ecclissati
rimangon da’ tuo’ raggi i raggi miei,
e se ben cedo il campo, i’ posso almeno
con probabil menzogna
dissimular lo scorno, e dir che questa
è quell’ora in cui soglio
depor le fiamme, e stanco
dai gran viaggi irmi a tuffar ne l’onde.
Ma che pari’ io di scorni? Occhi celesti,
non fu giammai più glorioso il Sole,
che quando in vostro paragon si vede
mortificato il Sole;
e le perdite mie son miei trionfi.
Godo dal fulgor vostro
abbagliato restarmi, ed ora appunto
che su l’aurea quadriga
ne gli scogli d’Esperia e al pie d’Atlante
a romper vo precipitoso il die,
viene in luci si belle
mia luce ambiziosa
a far naufragio in prima. E ben felice
è il naufragar per voi, pupille altere,
se co’ naufragi anco arricchir sapete.
Io certo, nel cader privo dí luce
innanzi al lume vostro,
di maggior luce illuminarmi veggio,
ed oh quanto più bel portar prometto
a gli antipodi il giorno,
per le fiamme di cui
nel mio cadere or mi lasciate impresso.
Ma qual cagion dagli stellanti giri
in abito mortai quaggiù mi tragga
brevemente dirovvi. In questo erboso
praticello odorato,
cui fan corona intorno
mille d’edera opaca elei vestite,
ove dal Can celeste
cacciati in sul meriggio
quasi in secreto e ben sicuro asilo
vengon a ricovrarsi e l’ombra e l’aura,
di pastorali amori
scena tanto più cara
quanto meno aspettata
oggi vi s’apparecchia. Io (ben sapete
che nulla in terra a l’occhio mio si cela)
ciٍ scorsi, e ne gioii; ch’ove si tratta
di pastori e d’amori, il cor mi sento
tutto brillar nel petto, e degli eterni
giorni de la mia vita
i più cari, i più lieti, i più felici
furon quei che, lontano
da la reggia del cielo, errai tra’ boschi,
e ch’or al suon d’armoniosa cetra,
or d’incerate avene,
al sibilante spirto
pascer mi dilettai gregge ed armenti.
Ed oh come pur anco
soavemente l’anima lusinga
la memoria del loco,
onde lungo il Peneo,
dietro la bella fuggitiva indarno
lagrimando e correndo,
stillarmi in pianto ed in sudor fui visto!
Che se quelli, cui scelse
quaggiù la sorte a regger scettri e farsi
d’oro e di gemme intorno al crin corona,
sapesser quai tesori e quai dolcezze
ne l’ombrose foreste,
ne gli antri solitari il ciel nasconde,
ben io mi so che, volentier cangiando
i lor tetti superbi,
ne le capanne inteste
di vii alga e di canne,
fra le rustiche turbe,
qual più fee’io ne la trascorsa etate,
verrian di volo a passar gli anni e i lustri.
Ma dove il cor, portato
dal ben che si figura,
inavvertito si dilunga? G riedo
al sentier che lasciai : voi state meco.
Questa, in cui siete assisi, è la feconda
isoletta di Sciro
(che non credeste già d’esser sui colli
del gran padre Apennin, cui strepitoso
Secchia circonda). Oltre quei boschi il lido
si dilata in arena, e l’onda egea
vi freme intorno. > II tempio
è quel costà, che sovra il poggio a destra
con torreggiante cima al ciel s’estolle.
Qui del gran re de’ traci
giunse guari non è ministro, eletto
de’ fanciulli innocenti
a raccorre i tributi. Il ferro torto
morde la sabbia, e per li campi errando
a l’omaggio inumano
sollecita le turbe. Amor intanto
ne’ cor di ninfe e di pastori adopra
sua forza onnipotente, e inusitati,
meravigliosi e non più uditi al mondo
ne produrrà gli effetti. Un’alma sola
arderل di due fiamme, non sapendo
viver di doppia vita. Altre venture,
di stupor non men degne e di pietate,
correr a un punto stesso altri vedrassi.
Voi ne’ grandi accidenti
sospendete l’affetto, e gli occhi belli
frettolosi non sieno a sciorsi in pianto.
Spesse volte agitato
dai più profondi abissi
rugge Nettuno, ed a bagnar le stelle
l’onde canute infuriato innalza:
ed ecco aura leggiera,
dolce scotendo i vanni,
le torbid’ire a tranquillar si leva.
Talor caliginosa orrida notte
la bassa terra in cieche nubi involve,
e scatenato da l’eolie rupi
esce Noto fremente,
quasi a portar per lo gran vano a volo
con l’intiere foreste i monti aspiri;
squarciano il nero sen de l’aria fosca
con fiamme portentose
intrecciate saette, e par che tutto
da le radici si divelga il mondo,
quando la sposa di Titon, disciolta
la chioma luminosa in riva al Gange,
dل bando a le tempeste, indora il cielo,
inargenta le spiagge, inostra i colli,
e gravida di luce
più bel s’accinge a partorire il giorno.
Non si turbi uman petto, e non disperi
de l’aita del ciel ne’ casi avversi.
Non son le doglie eterne,
e sovente improvviso
suoi di grembo al dolor nascer il riso.
==Pagina:Bonarelli, Guidubaldo – Filli di Sciro, 1941 – BEIC 1774985.djvu/267==