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con probabil menzogna
dissimular lo scorno, e dir che questa
è quell’ora in cui soglio
depor le fiamme, e stanco
dai gran viaggi irmi a tuffar ne l’onde.
Ma che pari’ io di scorni? Occhi celesti,
non fu giammai più glorioso il Sole,
che quando in vostro paragon si vede
mortificato il Sole;
e le perdite mie son miei trionfi.
Godo dal fulgor vostro
abbagliato restarmi, ed ora appunto
che su l’aurea quadriga
ne gli scogli d’Esperia e al pie d’Atlante
a romper vo precipitoso il die,
viene in luci si belle
mia luce ambiziosa
a far naufragio in prima. E ben felice
è il naufragar per voi, pupille altere,
se co’ naufragi anco arricchir sapete.
Io certo, nel cader privo dí luce
innanzi al lume vostro,
di maggior luce illuminarmi veggio,
ed oh quanto più bel portar prometto
a gli antipodi il giorno,
per le fiamme di cui
nel mio cadere or mi lasciate impresso.
Ma qual cagion dagli stellanti giri
in abito mortai quaggiù mi tragga
brevemente dirovvi. In questo erboso
praticello odorato,
cui fan corona intorno
mille d’edera opaca elei vestite,
ove dal Can celeste
cacciati in sul meriggio
quasi in secreto e ben sicuro asilo