Faust/Parte seconda/Atto primo/Una galleria oscura

Atto primo - Una galleria oscura

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Johann Wolfgang von Goethe - Faust (1808)
Traduzione dal tedesco di Giovita Scalvini, Giuseppe Gazzino (1835-1857)
Atto primo - Una galleria oscura
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UNA GALLERIA OSCURA.


FAUSTO, MEFISTOFELE.

Mefistofele. A che mi trascini tu per questi androni tetri e bui? Non evvi forse laggiù allegria che ci basti, o nel turbinio di una corte tumultuosa e bizzarra manca forse la occasione al motteggio ed all’impostura?

Fausto. Non parlarmi così, te ne prego; un tale linguaggio è per me vieto e fracido. Codesti andirivieni continui, tu gli adoperi a cansare di rispondermi. Però mi son tutti a’ panni, e pretendono ch’io non rifinisca dall’agire; e il Maresciallo e il Ciambellano non mi lascian pur respirare. L’Imperatore vuole e ad ogni costo il suo capriccio dė’ essere appagato — vuole che Elena e Paride gli sieno tratti dinanzi: il tipo dell’uomo e della donna, si strugge di contemplarlo sotto forme sensibili. Su, dunque, all’opra! non posso nè voglio essere, in questo, mancator di parola.

Mefistofele. La fu proprio mattezza e spensierataggine madornale prometter cose siffatte.

Fausto. Tu non sapesti, camerata, antivedere a che ne avrebbono i tuoi spedienti condotto: s’incominciò col traricchirlo, e’ convien ora trovar la via di sollazzarlo.

Mefistofele. Fai stima, tu, che la sia cosa da nulla? Eccoti ora nuove dighe da sormontare, e maggiori delle antiche. Ti vien data la briga di attingere a un tesoro strano ed occulto, e tu, da [p. 258 modifica]insensato, ti rechi a contrarre nuovi debiti! Pare a te che l’evocar Elena abbia a riuscire tanto facile cosa quanto fu il suscitare codeste bazzecole di carta monetata? Ove si trattasse di vecchie streghe, di spettri, di fantasime, e di nani gozzuti e pelosi, meno male; ed io mi sarei presto a servirti di presente, io con tutta la mia schiera; ma le comari del diavolo — sia detto senza loro scapito — non ponno tenersi in conto di eroine.

Fausto. Mi esci fuori colla tua vecchia cantafera! Chi ha a fare con le cade sempre mai nelle dubbiezze; tu se’ il padre di tutti gl’intoppi, e, ad ogni spediente, vuolsi snocciolarli un guiderdone novello. Non hai che a borbottare, io mel so, e fia tutto finito; solo che abbi spazio a far qui ritorno, e tu le ci presenti senza meno.

Mefistofele. Co’ pagani nulla ho che fare; abitano elli un loro inferno a parte.... Pur pure, mi balena in mente un ripiego.

Fausto. Parla! oh parla! io l’ascolto.

Mefistofele. Alto mistero gli è questo, ch’io ti svelo di mala voglia. — Hannovi certe auguste divinità il cui regno è nella solitudine; intorno ad esse, non ispazio rinviensi nè tempo; allo intendere chi ne tenga proposito, ti corre nelle ossa il raccapriccio. Son desse le Madri!1 [p. 259 modifica]

Fausto spaventato. Le Madri!

Mefistofele. Tu dunque. Tremi?

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Fausto. Le Madri! le Madri! Questa voce mi ferisce così stranamente gli orecchi!

Mefistofele. Hai ragione. Le son dee sconosciute a voi mortali, e che noi stessi nominiamo a malincuore.2 E tu andrai in cerca del loro soggiorno nel profondo vuoto, tu, per cui solo abbiam noi di esse loro mestieri.

Fausto. Per qual cammino?

Mefistofele. Di cammin non por ombra! ma traverso a sentieri che d’orma alcuna mai non furo stampati, nė saranno: per una via chè mena a luoghi inaccessi ed impenetrabili. Se’ tu presto a ciò? Nessuna toppa da forzare, nessun chiavistello: sibbene anderai per vani spazi e solitari. Hai tu idea alcuna di vuoto e di solitudine?

Fausto. Potresti, mi pare, far a meno di tai propositi; le tue parole accennano al covacciolo

[p. 261 modifica]della strega, puzzano di un’età che non è omai più. Come mai oggidì non aver che fare col mondo, ignorare che sia vuoto, nè altrui a vicenda insegnarlo? — S’io ben la intendo, la contraddizione palesavasi già molto prima; e avrei sin d’allora dovuto, contra que’ nauseanti sofismi, cercare uno schermo nella solitudine e ne’ deserti: e a non menare una vita affatto oscura e solinga, darmi da ultimo corpo ed anima a Satanasso.

Mefistofele. Dàtti in balìa dell’Oceano, immergili nella contemplazione dello infinito, e là almanco vedrai levartisi contro onda sopr’onda, e ti côrrà lo spavento, in faccia all’abisso spalancato. Colà almanco ti si parrà alcun oggetto che ti esalti e ti mandi contento. Nel cupo algoso fondo del mare tranquillo, scorgerai i delfini che guizzano, i nuvoli che discorrono, il Sole, la Luna, le stelle: ma nel lontano eterno vuoto, nulla ti fia dato scoprire, nè più udrai il suon de’ tuoi passi nè ti si affaccerà pur una zolla su cui adagiarti.

Fausto. Ta la ragioni come il più saputo mistagogo, che mai trappolasse alcun neofito di buona fede: qui però la cosa va tutto al rovescio. Mandandomi nel vuoto, mostri di volere che il mio senno ed il mio coraggio s’afforzino; ed io veggoti in questo usar meco siccome col micio, che si tragge a cavar colla zampa i marroni dal fuoco. Tuttavolta, son più che mai fermo a ciò chiarire; e nel tuo nulla, saprò, mi confido, rinvenir tutto.

Mefistofele. Oh quanto rallegromi io con te, prima che ci tocchi di separarci! M’accorgo ora [p. 262 modifica]che tu assai bene conosci il tuo diavolo. Prendi cotesta chiave.3

Fausto. Che è ciò?

Mefistofele. Prendila or via, e guàrdati bene dallo sconoscerne la virtù.

Fausto. Oh prodigio! Cresce essa in mia mano, s’infiamma, e ne schizzano via lampi di viva luce!

Mefistofele. Incominci ora ad accorgerti quanto valga il possederla? Questa chiave ti darà la traccia de’ luoghi pe’ quali hai da inoltrarti. Seguitando la tua guida, ti troverai presso alle Madri.

Fausto. Le Madri! Una cotal voce mi echeggia sempre qui dentro, come scoppio di tuono. Che significa essa dunque ch’io non riesco a capirla?

Mefistofele. Se’ tu dunque di così corto intelletto, che abbia una voce nuova a turbarti? Non vorresti tu mai udir altro che le cose già adite prima d’ora? Per quanto strano ti giunga il suono di essa voce, il veduto prodigio dee bastare a non ismuoverti punto.

Fausto. Non cerco la mia salvezza nella indifferenza: assai meglio vale per l’uomo ciò che lo scote e lo impaura. Sia pure che il mondo facciane pagar caro il sentimento, che l’uomo al vivo commosso apprende tutta quanta la immensità.

Mefistofele. S’ella è così, scendi! e avrei del pari potuto dire: Sali; però che gli è tutt’uno. [p. 263 modifica]Làsciati addietro ciò che è, e lanciati nel vuoto spazio delle immagini: vanne a ricrearti nello spettacolo di quanto da gran tempo ha cessato di esistere. La ruota si volge ratto, quasi nube cacciata dal turbine. Scuoti per l’aria la tua chiave, e tienla il più che puoi discosta da te.

Fausto con vivo trasporto. A meraviglia! più la stringo, e più mi ringagliardisco, e il mio cuore alla grande opera s’incoraggia.

Mefistofele. Un treppiè ardente4 ti darà a conoscere che sei pur finalmente nell’abisso degli abissi pervenuto. Al chiarore di quello vedrai le Madri, quale seduta e quale in piedi e in movimento, secondo ch’elle si trovano. Tale è la forma, la trasformazione, l’eterno consorzio della eterna materia! Cinte all’intorno dalle immagini d’ogni creatura, non s’accorgeranno punto di te, essendochè non veggano elleno altra cosa tranne le idee. Coraggio allora! mentre fia grande il rischio: corri senza meno al treppiè, e toccalo colla chiave. (Fausto alza la chiave d’oro in atteggiamento franco e imponente.)

Mefistofele (osservandolo.) Bene sta. Il treppiedi s’appiglia a te, e prende a seguirti come fido satellite. Risali allora tranquillamente, chè il giubilo ti mette le ali, e innanzi ch’elle sian fatte accorte dell’avvenuto, eccoli di ritorno colla tua preda. Come poi esso treppiè sarà quivi deposto, imprendi ad evocare, dal seno delle tenebre, l’eroe e la eroina. [p. 264 modifica]Tu il primo che mai concepisse l’idea di un alto consimile..... L’atto è compiuto, e compiuto per te solo. Quindi, e per opera di magia, i vapori dell’incenso ti verranno in Dei trasformati.

Fausto. Ed ora?

Mefistofele. Ora poi, l’essere tuo tenda alla sua mira che è sotterra. Scendivi col battere de’ piedi in terra: il che ti darà non meno lena e virtù a risalire. (Fausto batte il suolo e sparisce.)

Mefistofele. Il malanno è che la chiave sia da tanto! Sono ansioso di conoscere se gli fia dato il tornare.


Note

  1. Madri, principii misteriosi d’ogni cosa che sia o possa mai essere: ed abitano fuor dello spazio e del tempo, nel vuoto eterno. Conviene al tutto rinunciare a raffigurarcele sotto una qualsivoglia sembianza. Nè le streghe di Macbeth, nè la vecchia Bàubo sul Brocken, nè Ecate, nè le Sibille, nè tampoco le forme preadamitiche, tipi della natura umana di cui parla Byron nel suo Caino, possono vantarsi d’essere legate di parentado colle Madri. La stessa idea astratta di tempo e di luogo non fa presa su queste figure misteriose più assai che fantastiche. «Al di là delle regioni inferiori, la Natura non ci lascia scorgere che l’istante del passaggio; e quanto alle superiori, ci addita solo certe forme in via di progresso, serbando a sè i mille e mille sentieri invisibili delle trasformazioni. Tale era il regno dell’increato, l’immenso ὕλη ovvero le Jadi nel cui profondo mai non penetrò occhio umano.» Herder (Ideen zur Philosophie der Geschichte der Menschheit, fünftes Buch, XI Abschnitt.) Mefistofele divinità le appella sconosciute aʼ mortali. Ecco poi spiegato lo spavento di Fausto. Egli ignora ciò che lo attende in seno al vuoto eterno da parte di questi misteriosi enti, di cui persino il diavolo è inetto a strappare il velo: egli esita; ma la smania di conoscere, la frenesia di possedere Elena, vincono il partito, e l’indole mite e soave di Margherita si cancella in faccia al potente lenocinio della grandezza plastica. Partesi quindi, e Mefistofele, incerto della buona riuscita di quella intrapresa, esclama: Sono ansioso di conoscere se gli fia dato il tornare. — E i lettori provverano anch’essi tale incertezza, e tale orrore dello sconosciuto e dell’inaccessibile di che la immaginazione del gran poeta vi manda compresi al modo o poco meno che Fausto nol fosse. Del rimanente, lasciando stare come codesta scena di fantasmagoria valga a destare pel solo mistero in sè un particolare interesse, serve non meno a disporci sugli avvenimenti che sopravverranno più tardi, ed è quasi una esposizione o intermezzo alla tragedia antica del secondo e terz’atto. Ponendo mente a cio, non è cosa impossibile che Goethe, genio classico fin nelle più stravaganti fantasie, volesse con siffatta bizzarra idea delle Madri, attenuare, agli occhi de’ scrupolosi seguaci delle tre unità, il matto e gigantesco salto ch’egli è per fare, passando a un batter d’occhi, senz’altra transizione che il suo capriccio, dal cuore del medio evo alemanno nella pretta greca antichità. Diodoro di Sicilia riferisce che gli abitanti di Minoa e di Engium onoravano, sotto al nome di Madri, le nudrici di Giove, e a quel culto, proveniente da Creta, attribuivano un influsso favorevole per la vita degli uomini e per i raccolti. Se è da credere alla leggenda cui Diodoro presso Arato riferisce, codeste Madri splendono sotto il segno dell’Orsa nel firmamento, dove Giove le sollevò per riconoscenza. Il tempio delle Madri vasto era e magnifico, pieno di orribili superstizioni, tradizioni e pratiche relative al culto delle forze elementari e della Natura, le quali, come ognuno sa, esistevano prima delle olimpiche divinità di Omero. La spiegazione quindi che offriamo più sopra delle Madri, elemento e principio d’ogni cosa che sia o possa mai essere, troverebbe in tal culto un altro appoggio. Non ci periteremmo a credere di là appunto avere Goethe presa idea di codeste «auguste divinità il cui regoo è nella solitudine» riservandosi però a dar loro, come poeta settentrionale, un senso più ancora cupo e misterioso: la allegoria ha i suoi diritti. Dal seno dell’ente immobile e degl’informi elementi, le idee primitive emanano di tutte bellezze; la contemplazione della Natura e il poetico genio le traggono in luce, ed ecco Pari ed Elena, quanto ebbe di grande la antichità, passarci dinanzi nel fiore della gioventù, e nel pieno splendore della gloria.
  2. La ripugnanza è qui più che naturale. Mefistofele, gretto materialista, e però vago solo di essenze corporee e palpabili, sfugge a tutto potere ogni commercio colle Madri — le idee. Il lettore non dimenticò certamente le parole di Mefistofele a Fausto (P. 1ª): «Un semplice che dassi alla contemplazione somiglia a una bestia che un cattivo Spirito costringe a volgersi in giro sopra una riarsa campagna, mentre d’ogni intorno si stendono verdi e fertili praterie.» E poco appresso, nella scena dello Scolaro: «Fratello, ogni teorica è sterile, ma lieto e florido l’albero della vita.» Tale lo abbiamo conosciuto, e tale cel vediamo ricomparire dinanzi.
  3. In questa chiave puossi ravvisare un simbolo della scienza specolativa, ovvero della naturale filosofia. Schiude essa gli elementi, sorgente di ogni vero. — Avvi inoltre un libro famoso di magia che s’intitola: La Chiave di Salomone. — Fausto ne parla nella parte prima: «Per simili spurie generazioni dell’inferno la chiave di Salomone è il caso.»
  4. Alludesi qui all’oracolo di Delfo, o fors’anco al numero tre, numero misterioso e sacro nell’antica teologia, e nell’alchimia del medio evo: sunt tres matrices, Mercurius, Sulphur, Sal. (Lex. Alchem.)