Esempi di generosità proposti al popolo italiano/Rivelazione liberatrice
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Se ne stava Mosè nella terra di Madian; e badava alle gregge del suocero per que’ luoghi solitarii. Nella solitudine il dolore si acqueta e purifica; nella solitudine l’anima, rimeditando le esperienze della vita passata, le intende meglio come quando da un’altura riguardansi i curvi sentieri del monte, quasi striscia di fiume che serpeggia tra’ massi, e l’occhio comprende in un tratto la via lentamente misurata ascendendo. Per quelle cime e per le valli andava Mosè dei dolori del popolo suo diletto parlando alla foresta, alle acque, al duro macigno, all’aurora e al sole occidente, e raccontando ai pastori la storia de’ suoi padri, e cantando le lodi divine con essi. Una volta ch’egli aveva, tutto solo, menato il gregge assai spazio dentro nella solitudine, venne a una grande montagna, che si chiamava la montagna d’Orebbe. Giunto a un pianòro, vede una fiamma di fuoco vivo che usciva d’una gran macchia di pruni e prendeva tutta quanta la macchia. Egli stette a vedere alquanto: e la macchia ardeva, ardeva, ma senza che il fuoco la consumasse: e erano varii i colori qua e là della fiamma, e del colore medesimo i gradi varii; qui un fuoco di brace, qui lume di sole, là candore d’aurora, là dolce rossore di nuvolette da sera: e l’un dall’altro colore usciva, e ci rendeva, come melodia di voce con voce, come belle forme di poggi, che d’altura in altura riposano l’occhio corrente per esse; e sotto al vermiglio e al violetto e al rossicante e al ranciato di quell’ardore si discernevano nette come per vetro le tinte chiare e cupe, giovanette e mature, del verde, come discernonsi foglie di rosa galleggianti in ruscello; e nel rado de’ rami, e tra il fogliame giocava la luce mirabile, com’aria viva.
Allora disse Mosè fra se stesso: «Vo’ ire a vedere che è questa cosa; che la macchia senza fumo arde e senza incenerire». E una voce dal mezzo dell’ardore lo chiama: «Mosè»; e ancora «Mosè». Rispose: «Eccomi». Allora la voce: «Non t’accostare più oltre: sciogli il calzare, e sta a piedi ignudi. Perchè terreno santo è il luogo ove stai». Mosè fece secondo quella voce; e dalla fiamma sentì: «Io sono il Dio del padre tuo, il Dio d’Abramo, il Dio d’Isacco, il Dio di Giacobbe». Mosè si nascose con le mani la faccia, e chiuse gli occhi; che non osava levarli alla fiamma, e vedere l’Angiolo, che nel nome di Dio gli parla. La voce disse: «Ho veduto i dolori del popolo mio in terra d’Egitto, e udite le grida del popolo per la crudeltà di coloro che soprastanno ai lavori. E, per pietà della loro angustia, io ho destinato di deliberarli dalla man degli Egizii, e condurli in altro paese. Or vieni, e ti manderò a Faraone, e far che tu tragga d’Egitto il popolo mio D’Israello». Disse Mosè: «Chi son io, ch’ho a ire e liberare Israello?». La voce disse: «Io sarò teco: e, per segno ch’io th’o mandato, sappi che, all’uscire del popolo mio d’Egitto, tu ti troverai a far sacrifizio a Dio d’Orebbe su questo monte stesso». Mosè disse: «Andrò dunque a’ figli d’Israello e dirò loro: Il Dio de’ padri vostri mi manda a voi. Se domandano qual’è il suo nome che ho a dire?». Disse la voce a Mosè: «Io son quegli che sono». Soggiunse dopo un poco la voce: «Dirai a’ figliuoli d’Israello: QUEGLI CHE È, a voi mi manda». Parole degne di Dio. Dio solo è; noi ci siamo nel mondo, e tutte le creature che sono nell’universo, perchè hanno l’essere da Dio, ci sono. Dio è; solo Dio è necessario: le creature tutte potrebbero perire, potrebbero non essere. Dio è: non è in tale o tal luogo come noi: è per tutto, è immenso. Dio è: non è in tale o tal tempo come noi, che prima non eravamo, e siamo stati creati: Dio non ha tempo, è eterno. Dio è presente a tutto; dunque veggente tutto: non ha nè passato nè avvenire; è puro atto, infinito. Dio è: dunque, se noi vogliamo trovar vita, pace, verità fuor di Dio, non si può: a lui solo dobbiam chiedere il bene, ringraziare lui solo di quel che siamo. Il falso, il male, non è veramente; il falso, il male è il contrario di Dio, il nulla, la distruzione dell’esser nostro. Chi dice cosa non vera o fa cosa non buona, si sforza, quant’è in lui, di distruggere se stesso e la verità, cioè tutte le cose. Onde, allorchè Dio manda dicendo a Israello: «Quegli ch’è, vi vuol liberare»; dice: se voi sperate libertà da altri che da Dio, sperate dal nulla; avrete nulla.
Dopo quelle parole la voce si fece di nuovo sentire a Mosè in questa forma: «Dirai a’ figli, d’Israello: Il Signore Iddio de’ padri vostri, il Dio d’Abramo, il Dio d’Isacco, il Dio di Giacobbe mi manda a voi. Il mio nome è eterno; e la memoria di me deve durare e crescere di generazione in generazione. Va’, aduna gli anziani d’Israello, e dirai loro: Ho vedute tutte le calamità che v’han colti in terra d’Egitto, e ho promesso di togliervi da servitù. E ascolteranno la tua voce, ed entrerete al re d’Egitto voi e i seniori d’Israello e direte a lui: Il Signore Iddio degli Ebrei ci comanda che usciamo nella solitudine quant’è il cammino di tre giorni, e facciamo sacrifizio al Signore Dio nostro. Ma il re d’Egitto non vi lascerà che andiate, se non suo malgrado da ultimo. E io percuoterò l’Egitto con meraviglie di terrore, le quali farò in mezzo a loro: dopo ciò, andrete liberi». Coll’insegnare che dicano: «Lasciaci uscire tre giornate di cammino». il Signore non consiglia già a dir menzogna: dacchè non ingiunge che promettano: «Dopo fatto il sacrifizio, ritorneremo». Anzi c’insegna in che maniera abbiano i deboli a governarsi con gli uomini prepotenti: non dire mai falso; ma quella parte di verità che può farsi un’arme nella man de’ nemici, quella tacere.
Mosè rispose dicendo: «Non mi crederanno i figli d’Israello, non ascolteranno la voce mia: ma diranno: Non ha parlato il Signore a te». Allora Iddio, per prova della sua missione, diede a Mosè potestà di fare alcune cose mirabili, come trasformare la sua mazza pastorale in serpente, e convertir l’acqua pura in sembianza di sangue. Iddio che ha creato e l’acqua e il sangue, e il legno e la serpe, e ogni cosa, può bene, quando gli piaccia, mostrare una creatura in luogo dell’altra ai sensi nostri: e, così facendo, non infrange le leggi della natura punto. Chi dice questo, immagina che la natura sia maggiore di Dio; che il Creatore delle cose abbia meno autorità d’un fattor di campagna il quale può adoperare un arnese invece d’un altro per suoi fini. La creazione delle cose è il maggiore miracolo; miracolo che si rinnova ogni momento nella conservazione, la quale è una serie di generazioni incessante; e in queste l’una cosa trasmutasi in altra, l’acqua in vapore, l’aria in solido, l’umor della terra in fiori e in frutte, il pane in sangue e in membra viventi, al nostro pensiero ministre. E non tocca noi miserabili e d’ignoranti insegnare a Dio quel ch’egli ha a fare, e assegnarli quel che fare egli può. Certo, non tutte le cose che trovansi nelle leggende, hanno a tenersi per miracoli operati da Dio: ma quelle che le Scritture Sante raccontano, quelle sì senza fallo.
Quand’ebbe Mosè visti questi prodigi che gli era conceduto di mostrare acciocchè tutti credessero che Dio vuole libero il popolo suo; non s’acchetò, ma «Signore, vi prego», soggiunse: «io non son uomo d’ornate parole: e d’acchè mi avete parlato, sento che, dallo sgomento e dalla quantità delle cose che avrei a dire, ho la favella più che mai tarda». Disse il Signore a lui: «E chi diede all’uomo la lingua? chi creò il cieco e l’alluminato, chi se non io? Or va: e io t’insegnerò le cose da dire». Allora Mosè: «Vi prego, Signore, mandate chi deve essere mandato da voi». E forse accennava a quel Salvatore desiderato dalle genti, che i Patriarchi aspettavano, e avrebbe liberati da giogo più grave gli uomini tutti. Ma il Signore alle dubbietà di Mosè rispose:«Aronne, fratello tuo, è uomo che ha facile la parola. Ecco, e’ ti viene a rincontro; e si conforterà nel vederti. A lui parla tu, e poni nella sua bocca le mie parole; e io per voi parlerò: e vi mostrerò quel ch’abbiate a operare. Egli ragionerà in tuo nome al popolo; e sarà come la lingua tua: e tu a come debba adempiersi la mia volontà porrai mente».
Udite queste parole, discese Mosè dal monte e aveva sempre negli orecchi la voce, e negli occhi la fiamma; e ogni pianta veduta scendendo da monte pareva che gli parlasse di Dio. Venne al suocero e gli disse: «Conviene ch’io me ne vada, ch’io ritorni a’ miei fratelli infelici in Egitto per vedere se campano, e come». E il suocero gli disse: «Va con la pace di Dio». Prese dunque Mosè la sua moglie e i due suoi figliuoli e si mise in via: la sua famigliuola a caval d’un asinello, egli a piedi, con in mano il bastone pastorale ch’egli aveva sul monte Orebbe. Con questo apparecchio ritornava questo povero sbandito per empiere di maraviglia e di sgomento i cortigiani e i sapienti e gli abitanti tutti dell’ampio regno d’Egitto: perchè piace a Dio eleggere i deboli per abbattere i forti, e donde men s’aspettava fa procedere la salute. Così de’ cenci d’un pezzente gettati sulla strada, si fa carta, e vi si scrivono parole che ammaestrano i savi, fanno tremare i cattivi, e rendono i buoni migliori.
Ad Aronne intanto il cuore diceva (così vuole Dio), che il fratello era già per venire. E gli andò a rincontro buono spazio di via e lo rincontrò nel sentiero della montagna e si baciarono. E Mosè espose ad Aronne i comandi da Dio ricevuti, e le promesse di fatti meravigliosi. E fecero insieme la strada ragionando degli antichi dolori e della speranza novella. E giunti in Egitto, radunarono segretamente tutti i seniori de’ figli d’Israello, siccome quelli che era da credere avessero e pe’ vincoli di famiglia più affetto alla patria, e per gli anni e per le faccende, maggiore senno. Espose Aronne le promesse che aveva Mosè ricevute da Dio: e i figli d’Israello dettero fede; e s’accorsero che Dio aveva misericordiosamente riguardato alla loro afflizione. E tutti commossi nell’anima, resero a Dio grazie di cuore.