Esempi di generosità proposti al popolo italiano/Del concedere a tempo

Del concedere a tempo

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[p. 59 modifica]Andarono Mosè con Aronne al re d’Egitto, chiedendo nel nome di Dio ch’e’ lasciasse ire il popolo d’Israello a sacrificare lontano dai luoghi abitati. E quel re sciocco e tristo rispose: «Chi è cotesto vostro signore Iddio, ch’io abbia a ubbidirgli, lasciar uscire Israello? Non lo conosco il vostro Dio; e non vo’ che Israello se ne vada». E perch’eglino ripregavano, il re tristo e sciocco soggiunse: «Ah voi altri due costì, perchè dunque distogliete voi il popolo dal suo lavoro? Andatevene, e badate a’ fatti vostri».

E il re tristo e sciocco pensò fra sè, e disse: «Questo popolo è cresciuto in numero grande: or che sarà se smette un poco i lavori?». Impose pertanto il re a’ soprastanti, che facessero le comandate ancora più gravose di prima. «Gli han troppo buon tempo, diceva, cotesti sfaccendati; e per questo si pensano d’uscire e far sacrifizi al loro Dio come a spasso. A forza di fatica attutiamoli, e non avran voglia di dar retta alle imposture di que’ due cattivi soggetti». Ma perchè quel tanto soprappiù di lavoro non era possibile darlo fatto nel tempo assegnato (bisognava cuocere gran quantità di mattoni per que’ grandi e molti edifizi d’Egitto), gl’impiegati del re se la pigliavano co’ capi del popolo ebreo che dovevano rispondere per tutti quanti, e li bastonavano duramente. Questi se ne lamentavano al re; e il re rispose: «Avete troppo buon umore voi altri e non sapete come a me la mi gira. Lavorate, e chetatevi». Allora gli Ebrei soprastanti al lavoro la presero con Mosè e con Aronne, che li [p. 60 modifica]avessero fatti venire più in uggia al re, e messagli in mano la spada da far del popolo gli strazi estremi. Così segue spesso che gli uomini coraggiosi sostengano querele e raffacci da coloro stessi a’ chi intendevano di giovare. Mosè per tali querele si scorava; ma Dio gli mise in cuore fiducia novella, rammentandogli le promesse fatte, di trarre Israello dalla vilissima servitù.

S’ingegnava Mosè d’infondere ne’ figli d’Israello la propria fidanza: ma l’avvilimento vecchio e le nuove angherie li fiaccavano tanto che non sapevano dar mente a conforti. Allora Mosè con Aronne si ripresentarono al re tristo e sciocco; e fecero in sua presenza diversi prodigi, che lo sbalordirono: ma il suo cuore era duro. Perchè l’uomo sordo al dolore altrui, difficile cosa è che senta altra voce. Come da dolori, così da prodigi torceva lo sguardo quel re tristo e sciocco; non ci voleva pensare. E Mosè rinnovava ogni tanto la sua richiesta in nome del popolo e di Dio, e annunziava nuovi flagelli al re ed al suo regno, se pur negasse; ma il re tristo e sciocco nella stretta dell’angustia prometteva, e poi rinnegava la propria parola; come sogliono i prepotenti; che di cotesta vergogna se un povero si macchiasse, lo tratterebbero da furfante e da bindolo. Vedeva nel fatto il re tristo e sciocco, che i suoi Dei non ce ne potevano al paragone del Dio di questo popolo disprezzato; ma, appena restata la necessità, ritornava quel disumano di prima. E intanto, per cagione della sua stupidezza nel male, pativa la nazione egizia tutta quanta: gli oppressori pativano; e gl’Israeliti oppressi, vivendo in mezzo a loro, eran liberi de’ flagelli. Così segue talvolta nel mondo, che il più poveretto va salvo dalla tempesta la quale schianta il superbo. Il re tristo e sciocco, per tema di umiliarsi una volta condiscendendo a giusta richiesta, si avviliva [p. 61 modifica]le cento volte in modo più abietto, concedendo, e poi negando, e poi pregando, e poi insultando ancora, e poi confessandosi reo, e poi sbuffando di rabbia impotente. Ma Dio volle mettere questo disgraziato come documento a tutte le genti e a tutti i secoli, di quel ch’è innanzi a Dio l’arroganza de’ dominanti quaggiù. E pure, a ogni volta che il reo re fa le viste di ripentirsi, Mosè fa cessare il flagello o degl’insetti o della grandine o del contagio, o altri simili; per insegnarci quanto di buon grado rimeriti Iddio ogni disposizione al meglio, e quanto sia facile cansare in tempo la pena.

Finalmente, stanchi i sudditi di Faraone, quantunque avvezzi a servire alle follie scellerate di colui, finalmente stanchi gridarono: «A che gioco giochiamo? Fino a quanto s’ha egli a soffrire noi? Lasciate pure che cotesti uomini se ne vadano e facciano al Dio loro le cerimonie». Fu dunque richiamato Mosè con Aronne e il re disse loro: «Ite pure e sacrificate. Ma quanti avete a ire?». Rispose Mosè: «Co’ bambini nostri, co’ vecchi anderemo, co’ figliuoli e con le figliuole, con le gregge e gli armenti: perchè solennità del Signore Dio nostro è questa che dobbiam celebrare». Disse il re: «Se Dio v’aiuti, ma come volete voi ch’io vi lasci ire con le vostre famiglie? Chi non vede che voi rivolgete in mente qualche perfida cosa? Così non sarà. Andate soli, voi uomini, e fate sacrifizio quanto volete». E li cacciò via. Allora nuovi flagelli. E allora il re a confessare di nuovo il suo peccato: «Ho peccato contro il Signore Dio vostro, e contro di voi». Questi poveri calpestati, e’ li nomina subito dopo Dio; dacchè li vede da Dio difesi tanto potentemente. Certe anime abiette non riconoscono il pregio [p. 62 modifica]nè il diritto altrui non per via del terrore: la forza è l’interprete che deve a costoro interpretare le parole della verità nel suo linguaggio tremendo. «Ho peccato, diceva: Chiedete remissione». E quando il flagello ristette alle preghiere di Mosè; e il re di nuovo a negare. Allora nuove calamità. E il re di nuovo li chiama e dice: «Andatevene; e vadano i vostri bambini con voi; non rimangano che le gregge e gli armenti». Mosè voleva condurre via gli animali; e il re tristo e sciocco non lasciava che se n’andassero via gli animali; e gli disse quasi foss’egli l’offeso e l’annoiato, e Mosè il mancatore e l’impronto: «Via di qua (disse); e bada bene di non più comparirmi dinnanzi. Se vieni, sei morto». Rispose Mosè: «Sia così. Non vi comparirò più dinnanzi».

Ma già i cortigiani e tutto il popolo d’Egitto avevano riconosciuto, con la potenza, la generosità di Mosè: egli più che re, e il re pareva meno che un mascalzone. I figli d’Israello s’apparecchiavano intanto con cerimonie religiose e preghiere ferventi alla gran dipartenza, e concordemente ubbidivano alla voce del capo loro, Mosè: perchè la concordia è caparra unica di successo buono; nè concordia può essere laddove gli uomini ricusino di ascoltare gli ordini de’ maggiori, il consiglio de’ migliori. Mosè parlava ai seniori del popolo, ed eglino distribuivano gli ordini suoi come pene di vita e com’arme di difesa sacra. Quando da ultimo la morte mietè in una notte i figliuoli primogeniti di tutte le case d’Egitto, e che tutto il paese fu un grido di affannoso spavento, perchè in ogni casa che avesse figliuoli si era a un tratto trovato un cadavere; allora il re crudelissimo, riscosso dalla stupidità sua, prima che aggiornasse, mandò per Mosè e per Aronne; e, venuti che furono, invece d’ammazzarli siccome già minacciava, pregò egli loro di quel [p. 63 modifica]ch’essi avevano pregato lui tanto tempo umilmente; pregò se n’andassero tutti quanti con gli armenti e le gregge. E gli Egiziani tutti li pressavano a irsene presto via, e dicevano: «Che non si muoia noi tutti». Così se ne uscirono, distinti ordinatamente in ischiere secondo le schiatte, secento mila uomini, senza i bambini e le donne; e pecore e buoi e animali in numero grande molto. Quando prima i figliuoli di Giacobbe posero piede in Egitto, non erano che settanta. In quattrocento trent’anni di travagli moltiplicarono tanto: dappoichè il Signore volle così.

Usciti che furono del luogo detto Socot, Mosè disse al popolo: «Ricordatevi sempre di questo giorno che siete usciti dal luogo di servitù; ricordatevi come nella sua potenza Dio vi ha liberati. E la memoria della libertà vi sia come un anello di ricordo nella mano, e come dinnanzi agli occhi un’imagine sempre viva: acciocchè, per riconoscenza di tanto, la legge del Signore, o Israello, ti sia sempre nel cuore, sempre ti sia sulle labbra. E sia la solennità di questo tempo solennemente da te celebrata per tutte le generazioni con culto sempiterno; e si tramandi dai padri ai figliuoli come legittima eredità». Così si misero in cammino, e presero non attraverso ai paesi abitati, che tanta moltitudine non paresse ai popoli di colà minacciosa, e non insorgessero guerre, dalle quali atterriti i figli d’Israello si ritornassero in Egitto alla vita schiava. Ma presero dalla via del deserto, ch’era lungo il mar Rosso: e, chiudendo nel mezzo le donne e i vecchi e i bambini andavano armati in bella ordinanza. E prese Mosè le ossa di Giuseppe con seco, essendochè aveva Giuseppe, morendo, pregato i figli d’Israello, e dettogli: «Quando Iddio vi farà liberi, [p. 64 modifica]portatene con voi le mie ossa»1. La sua spoglia mortale e’ voleva che riposasse congiunta alle spoglie de’ padri suoi in terra al culto di Dio consacrata.

Quando il re d’Egitto, riavutosi dalla paura, seppe che tutto il popolo già era lontano; si rivolse l’animo suo all’iniquità di prima: e con lui si mutarono al peggio i cortigiani suoi, come accade; e dissero: «Che abbiamo noi fatto a lasciare Israello, e privarci della sua servitù?» Non pensano al pericolo passato, pensano al presente danno: l’orgoglio esulcerato, la vanità malcontenta del perdere que’ servigi di tante migliaia, gli abiti del comandare subitamente interrotti, il rancore contro questi sciagurati schiavi, che dopo tanti anni di silenzio si sognano di farsi vivi, l’avarizia, commossero a voglia di vendetta non solamente il re tristo e sciocco, ma non pochi de’ grandi che talvolta son peggio di loro. E s’accinse a inseguire gli Iraeliti con cavalli e con carri, e con gran forza d’armi. Ma i figli d’Israello passarono il mare, maravigliosamente apertosi, lo passarono a piede asciutto; e gli Egizii, volendo tenere lor dietro, tutti quanti affogarono. E Mosè con tutto il popolo cantò un inno a Dio che li aveva prodigiosamente dalla lunghissima servitù liberati.

Levatisi dalla riva del mare, camminarono tre giornate per un luogo arido e solitario: poi vennero in Mara; poi in Elim, luogo ameno, con dodici fonti d’acqua viva, e giro giro settanta alberi grandi di palme. E lungo le acque spiegarono tutti le tende. E mossisi da Elim, vennero al deserto di Sin, ch’è tra Elim e il monte Sinai; chè erano dall’uscita d’Egitto passati quaranta cinque giorni. E perchè la grande moltitudine, con tanti impedimenti ch’ella aveva, muoveva molto lentamente, Mosè pensò di mandare intanto [p. 65 modifica]nella terra di Madian Sefora sua moglie co’ due figliuoli, che vedessero i loro parenti per l’ultima volta su questa terra. Ci andò Sefora, consolata della libertà novella del popolo d’Israello, e delle grandi cose che aveva operate Iddio per la mano di suo marito, di quell’uomo che ella incontrò fuoruscito e poveretto al pozzo dell’acqua viva, e un atto generoso fu pegno del loro amore. Andò consolata Sefora di ciò, ma dolente che più non vedrebbe nè la casa ove nacque, nè i monti noti.

Note

  1. Giuseppe voleva che le sue ceneri fossero deposte, con le ceneri dei suoi padri, nella terra da Dio promessa al popolo d’Israello.