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Andarono Mosè con Aronne al re d’Egitto, chiedendo nel nome di Dio ch’e’ lasciasse ire il popolo d’Israello a sacrificare lontano dai luoghi abitati. E quel re sciocco e tristo rispose: «Chi è cotesto vostro signore Iddio, ch’io abbia a ubbidirgli, lasciar uscire Israello? Non lo conosco il vostro Dio; e non vo’ che Israello se ne vada». E perch’eglino ripregavano, il re tristo e sciocco soggiunse: «Ah voi altri due costì, perchè dunque distogliete voi il popolo dal suo lavoro? Andatevene, e badate a’ fatti vostri».
E il re tristo e sciocco pensò fra sè, e disse: «Questo popolo è cresciuto in numero grande: or che sarà se smette un poco i lavori?». Impose pertanto il re a’ soprastanti, che facessero le comandate ancora più gravose di prima. «Gli han troppo buon tempo, diceva, cotesti sfaccendati; e per questo si pensano d’uscire e far sacrifizi al loro Dio come a spasso. A forza di fatica attutiamoli, e non avran voglia di dar retta alle imposture di que’ due cattivi soggetti». Ma perchè quel tanto soprappiù di lavoro non era possibile darlo fatto nel tempo assegnato (bisognava cuocere gran quantità di mattoni per que’ grandi e molti edifizi d’Egitto), gl’impiegati del re se la pigliavano co’ capi del popolo ebreo che dovevano rispondere per tutti quanti, e li bastonavano duramente. Questi se ne lamentavano al re; e il re rispose: «Avete troppo buon umore voi altri e non sapete come a me la mi gira. Lavorate, e chetatevi». Allora gli Ebrei soprastanti al lavoro la presero con Mosè e con Aronne, che li