Epistole (Caterina da Siena)/Lettera 30

Lettera 29 Lettera 31
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A BONAVENTURA

CARDINAL DA. PADOVA (A).


I. L’esorta ad esser colonna ferma e stabile di santa Chiesa, con esaltare la verità, mostrando come questa virtù della fortezza s’acquisti mediante l’umiltà e l’amore, nel conoscimento di sè medesimo, e della bontà di Dio, e suoi beneficj verso di noi.

II. Come l’anima unita con Dio per mezzo della fortezza e dell’altre sopraddette virtù, non può essere da lui separata per mezzo d’alcuna creatura; e come Dio non è accettatore di lunghi o tempi, ma solo del santo desiderio, con che lo prega a volere ajutare la santa Chiesa, ed il sommo pontefice nelle sue necessità.

Lettera 30,

Al nome di Jesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.


I. Reverendissimo padre in Cristo dolce Jesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Jesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi una colonna ferma e stabile nel giardino della santa Chiesa, acciocchè con la fermezza e stabilità vostra e degli altri, sia fortificata la fede nostra, esaltiate la verità e confondiate la bugia; dirizziate la navicella della santa Chiesa, la quale è percossa dalle onde del mare tempestoso della bugia e scisma, levate [p. 178 modifica]. 178 dalli iniqui uomini amatori di loro medesimi, li quali sono stali non colonne ferme mantenilori della fede, ma seminatori di veleno. Voglio dunque, reverendo padre, che voi siate fermo, costante e perseverante in ogni virtù, le quali virtù fortificano l’anima, traendone la debolezza de’vizj, li quali la fanno debile, sottoponendola alla servìtudine loro; a questa fortezza delle vere e reali virtù, non ci fa venire ricchezza, stato, nè onore del mondo, non la grande prelazione, nè il presumere di sè medesimo, no, ma solo il conoscimento che l’anima ha di sè, nel quale conoscimento vede sè non essere per sè, ma per Dio, conosce la miseria e fragilità sua, ed il tempo che si vede avere perduto, nel quale poteva molto guadagnare, e conosce col lume la sua indignità e la sua dignità; la sua indignità conosce nella corteccia del corpo suo, il quale è cibo di morte e cibo de’vermini, drittamente egli è uno sacco pieno di sterco, e nondimeno più ci dilettiamo d’amare e contentare questo sacco putrido, e di condiscenderli con amor sensitivo, che alla ricchezza dell’anima, la quale è di tanta dignità, che a maggiore non può venire; onde noi vediamo che Dio, costretto dal fuoco della sua carità, ci volse creare non animali bruti, nè a similitudine degli angeli, ma creò noi alla immagine e similitudine sua, e per compire la sua verità in noi,’cioè di darci quello fine per.lo quale egli ci creò; e per compire la dignità nostra prese egli la nostra immagine, quando vestì la deità dell’umanità, recreandoci à grazia nel sangue «del dolce ed amoroso Verbo Unigenito suo Figliuolo; il quale ci ricomperò non d’argento, ma di sangue; onde il prezzo del sangue che è pagalo per noi, e l’unione che Dio ha fatta nell’uomo, ci manifestano l’amore ineffabile che Dio ci ha dato, e la dignità nostra, la quale ricevemmo nella prima creazione, come detto è. Bene è dunque mercennaja quella creatura che si tiene tanto vile, che sottomette sè a colpa di peccalo, il quale è la più vile cosa che sia, anzi è non cavella., e come cieco non [p. 179 modifica]179 vede, come tale diventa, quale è quella cosa di cui Si fa servo; dunque egli diventa non cavelle ’ per lo peccato che ci priva di Dio per grazia, il quale è colui che è: questo non è stato nella cosa del conoscimento di sè, ma ò stato fuore di sè, e come matto e frenetico s’ è attaccato alla morte ed alle tenebre del proprio amore sensitivo di sè medesimo, onde nasce ogni male, ed ha lasciata la luce d uno conoscimento della infinita bontà di Dio che gli ha data tanta dignità per amore, e per grazia e non per debito; che se egli avesse conosciuto sè col lume, vedendo il difetto suo, avrebbe acquistata la vera e perfetta umiltà; perocché l’anima che sta in questa dolce casa del conoscimento di sè e della bontà di Dio, in sè ella s’umilia, perché la cosa che non è, non può insuperbire, ed egli vede, come detto è, sè non essere per sè, ma per Dio; e però cresce in lei il fuoco della carità, riconoscendo da Dio l’essere, ed ogni grazia posta sopra 1’ essere; e perché vede che la indegna legge perversa, la quale sempre impugna lo spirito é cagione, se la voluntà le consente, di farli perdere Dio, il frutto del sangue, però subito concepe uno odio santo verso la propria sensualità) e quanto più l’odia, più ama la ragione, e con questo amore e lume si leva da quello che il faceva indebilire, ed i+niscelt per affetto d’amore hi Dio; il quale é somma fortezza, col mezzo delle vere e reali virtù.

IL Adunque bene è vero, che nel conoscimento che Tuomo ha di sè medesimo per lo modo detto, acquista la fortezza. E quanto diventa forte, carissimo padre?

Tanto che, nè dimonio, nò creatura il può indebilire, mentre che egli sta unito con la «ua fortezza; e da questa fortezza niuno il può separare se egli non vuole.

Fanno le battagliò e molestie del mondo indedilire questa anima? Certo no: ma più e molto maggiormente se ne fortifica, perchè elle sono cagione di farla fuggire con pi’i sollecitudine alla fortezza sua; ed anco si prova 1’ amore che ella ha a Dio, se egli è amore [p. 180 modifica]i8o mercennajo o no, cioè che ella ami per proprio diletto, e non la indebiliscono le creature con le molte persecuzioni, ingiurie, strazj e rimproveri, scherni e villanie, ma molto maggiormente la fanno levare da ogm amore dcll

creature fuora del Creatore, e fannoia provare nella virtù della pazienzia. Adunque niuno è che la *po.ssa. indebilire, se non quando l’uomo vuole, separando sè dalla;sua fortezza: in qualunque stato l’uomo si sia, che nò stato, nè tempo ci toglie Dio, perocché egli-non è.accettatore degli stati, nò de’luoghi," riè!de’temjpi, ma solo del santo e vero, desiderio.


Adunque voglio che voi.siate una colonna forte, ferma e stabile,, fortificandovi nelle jvere e reali virtù nel conoscimento di voi, acciocché pienamente potiate adoperare nella santa*Chiesa quello, perchè voi sete posto, che se noi faceste, vi sarebbe molto richiesto da Dio; e quanta confusióne sarebbe neH’ultima estremità della morte, dinanzi al sommo giudice, al cui occhio.ninno si può nascondere, perocché il minimo pensiero del cuore, gli è manifesto..0 carissimo padre, non dormiamo più, ora che siamo nel tempo della vigilia, ma con affocato desiderio conosciamo noi, e la grande bontà di Dio in noi, acciocché, come veri lavoratori, lavoriamo nel giardino della santa Chiesa, ognuno secondo che gli è dato a lavorare per onore di Dio e salute dell’aninie, e riformazione della santa Chiesa, e per accrescimento della verità di papa Urbano VI, vero sommo pontefice con* una ’vera rumiltà e pazienzia, riputandoci degni della pena e fatica, e indegni del frutto che seguita dopo la pena, anneghiamo la propria perversa voluntà noi, sangue di Cristo crocifisso, e seguitiamo, la dolce dottrina sua. Altro non vi dico: permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Jesù dolce..Icsù’ amore.’, j, t ♦ * * ■ 4:.

  • , 4 4 %, . ’ . ’ i f * Si” [p. 181 modifica]181 Annotazioni alla Lettera 30, (.1) Era cjjiicsli della nobile famiglia Baduana d» Padova, generale dell’Ordine degli eremiti di s. Agostino, e amico del Petrarca, che gli scrisse una lettera por consolarlo della morte d’un fratello.

Fu crealo cardinale da Urbano, probabilmente nella prima creazione del «378, nel cui partito si mantenne. Che di verità cadesse in questanno. provasi da monsignor d’Atlirlij e dall’Oldoino nell’aggiunta al Ciaccone, dall’ avere e"Ii in qualità di cardinale sottoscritta la donazione «lei reame di Napoli; fatta da Urbano a Carlo di Durazzo l’anno i38i, da due decreti pubblicati da Clemente VII gli anni 1378 e 1379, in cui numerasi tra’ cardinali del.

I I mulo; e da questa medesima lettera di santa Caterina, iu cui il fa già cardinale, n

tale potè ella averlo Panno 138^, dacché già di quattro anni aveva la santa finiti i piorni del suo mere. 1 due storici sanesi confermano questo stesso, rapportando tome egli, già cardinale, venne a Siena ai cinqae di febbrajo dell’anno 1079, mandatovi da Urhauo a por 6ne all.id.ire dalla restituzione di Talamone, di cui altrove si favellerà, e che in Duomo predico al popolo a favore della legittima elezione di quel pontefice. E della immunità ecclesiastica fu difensore sì zelante, che per lei sostenere ebbe in sorte di dare gloriosamente la vita, ucciso in Horaa al ponte s. Angelo, mentre portavasi a s. Pietro, di saetta Inculagli da empio sicario, per indotta di Francesco da Carrara si_uore di Padova, alle cui violenze contro la Chiesa era si egli opposto con orle petto, tulio che suddito e congiunto di sangue; ond’è ibe comunemente dagli scrittori viene onorato del lilolo dir beato. Il Sdozio, che dagli scrittori del partito d Libano richiede maggior moderazione nello scrivere, non la lieue nel grado che si conterrebbe inverso di si eccelso personaggio, qoal In questo esimio cardinale, della cui testimonianza di tal maniera tavella. Sedtiudacine plenum est, tjuod legitnr in depasitione Bona\entnrae cardino!is de 1 adita, car.itnaleni Btrtrandnm Latgerii meditatimi ea tempestate secessione tu a reliquis cardinalibns et rediliirutn Jìtisse ad Vrbannm, nisi itnpedilus ab ìpsis Jiiisset. C ome se egli trecento ann di poi avesse meglio potuta sapere una risolutone presa e uon effettuata da questo cardinale dello comunemente di Glandeve, il quale è cerio, pel testimonio dallo stesso Baluzio, essere stato l’ultimo dei cardinali oltramontani a staccarsi da Urbano, di quello potesse saperla il cardinale di Padova, che allora in Homa viveva, e ne dà fede giurata. Dia appo questo autore, lutto quello che adducesi a favore della causa d’Urbauo è falso, troppp ardito e temerarie; ove con tutta sicurezza si dee dar fede a quelle testimonianze che s’arrecauo a prò di quella di Clemente. È incerto l’duno di sua morte,

[p. 182 modifica]non convenendo le relazioni degli storici; ma solamente è sicuro, che non mancò di vita prima del 1381, nel quale sottoscrisse la donazione del regno a Carlo, nè dopo l’anno 1389, non essendo più n vita allorchè la perdette il pontefice Urbano VI. Raffaele Maffei da Volterra, detto di ordinario il Volterrano, il fa cardinale, e morto parecchi anni prima, dicendo che fiori a’ tempi di Giovanni XXII, il quale morì l’anno 1334 che era il terzo del vivere di questo cardinale. [p. 183 modifica]133 A TRE CARDINALI ITALIANI (A).

I. Deaera tcdergl! illuminali con perfetto lnm

per conoscer la verità e sorger dalle tenebre del peccato con ritornare all obbedienza del sommo pontefice, mostrando come, per ottenere questo lume, è necessario prirarsi dell amor proprio.


II. Detesta la miseria e 1’ingauno dell auior proprio, mostrando come da questo erano stati essi acciecati «d indotti a ribellassi al pontefice, con ebe riprende la loro ingratitndine.

IH. Dimostra con Yarie ragioni, come Urbano VI era vero pontefice, contro ciò che essi pretendtrano, e detesta 1 elezione dell’ antipapa.

IV. l’rorura anonarli a ritornare all’obbedienza drl medesimo Urinino VI, con dolore della colpa e con speranza del perdono, promettendogli ajularli con le sue orazioni.

31.

Al nome di Jesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

r .

I. ilarissimi fratelli e padri in Cristo dolce Jesù.

Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Jesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo con desiderio di vedervi tornati a vero e perfettissimo lume, ed uscire di tante tenebre e cecità, nella quale sete caduti; allora sarete padri a me, in altro modo no. Sicché padri chiamo, in quanto voi vi partiate dalla morte e torniate alla vita, che quanto che ora sete partiti dalla vita della grazia, membri tagliati dal capo vostro, onde traevate la vita: stando voi uniti in fede ed in perfetta obbedienzia a papa Urbano VI, nella quale obbedienzia stanno quelli che hanno lume, che con lume