IV

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IV.


 
artiti i parenti e gli amici anche Paolo si congedò per quella sera.

Dopo di averlo salutato davanti alla famiglia. Annetta uscì furtivamente in giardino per salutarlo un’altra volta.

Egli ebbe un indefinibile sorriso, ritrovandola nell’ombra del viale, sola e palpitante di passione.

— Non hai paura? — domandò.

— Di che?

— ... Della notte. [p. 72 modifica]

— Ma che! Ho voluto vederti ancora una volta. Addio.

— Un bacio almeno.

E l’abbracciò strettamente.

Sentirono stridere la sabbia a poca distanza.

— Giovanni viene a chiudere il cancello... Addio!

— A domani!...

— A domani — ripetè Annetta con voce rotta.

E restò là, nascosta, ad ascoltare il rumore dei passi del suo diletto, il cuore oppresso da una grande tristezza. Dopo quella giornata di gioia, vederlo allontanarsi così, nella notte, le dava un senso di desolazione. Quando vide il domestico voltar la schiena per rientrare in cucina, ella tornò al cancello e guardò traverso le sbarre. Paolo era già in fondo alla strada. Avrebbe voluto chiamarlo, ma non osò. Sperò che si voltasse a guardare la villa; ma egli non si voltò.

— Gli uomini non sono come le ragazze — pensò ingenuamente con un principio di sconforto.

Rientrò per la scala esterna della veranda.

Nella sala da pranzo trovò Emma che l’aspettava.

— La mamma?

— Il babbo l’ha chiamata.

— Loro almeno non si lasciano mai! — mormorò con una punta d’invidia.

Emma la guardò stupita.

Lei stessa fece una risatina. [p. 73 modifica]

— Dimenticavo che per loro questa non è una consolazione. Non si amano più. Io mi domando come si può essere belli e giovani, e non amarsi più. Vorrei sapere che la mia vita durerà cent’anni per amare cent’anni il mio Paolo. Tutte piangono il giorno delle nozze, ma io non piangerò; sarò troppo felice.

— Chi sa! — esclamò Emma involontariamente — Chi sa!

— Oh! si direbbe che tu mi vuoi spaventare. Perchè dovrei piangere? Se lasciassi la mamma, capirei. Ma resterò qui. E anche se Paolo fosse trasferito in un’altra città, la mamma verrebbe con me. Lei non mi lascierà mai: è tutta mia... Del resto, tu hai forse ragione; forse piangerò. Gli uomini ci fanno sempre piangere. Ho pianto anche adesso perchè non si è voltato a guardare la villa, mentre si allontanava.

Emma disse:

— Io ho pensato tante volte che forse l’amore somiglia a certe feste alle quali si va, credendo di divertirsi tanto, e invece si torna a casa con l’abito sgualcito, malinconiche e un po’ annoiate. Mi pare che tutte quelle che hanno provato l’amore, si sentano press’a poco così. Ciò, però, non le trattiene dal tornare alla festa quando vi sono invitate — soggiunse con un po’ d’ironia.

— O Emma! — esclamò l’Annetta ridendo suo malgrado — chi ti ha messo nella testa queste brutte idee?... Dio mio! Mi fai tremare. Sai qualche cosa, [p. 74 modifica] dì?... Parla. Sai qualche cosa... di lui? Ti pare che non mi ami tanto? Hai visto qualche cosa?

— Calmati, Annetta.

— Ma che calmarmi! Non posso essere calma: capisci bene. Senti, se sai qualche cosa, dimmela subito che andrò a rinfacciargliela a quel vigliacco, e mi vendicherò. ...Oh, se mi vendicherò!

— Ma... no!

— Allora, se non sai nulla non farmeli certi discorsi: finiscila di tormentarmi con le tue eterne fisime. Sei una vera bambina, non puoi neppure figurarti quello che si prova quando si ama. Mi dici delle cose da far morire, e poi mi guardi a bocca aperta perchè perdo la bussola. Mi metti il fuoco addosso e ti meravigli perchè brucio!... Verrà il tuo giorno... non sarai sempre così diaccia... Anche la Palmira che non voleva saperne, hai visto? La mi è parsa bell’e cotta...

— Oh, la Palmira!... Ma io... È diverso.

S’interruppe.

— Senti, senti...! Il babbo grida... senti!...

Si precipitarono tutt’e due nel corridoio in fondo al quale era la scala interna. Dall’uscio socchiuso della camera matrimoniale veniva la voce irata del signor Leopoldo.

— Non voglio — gridava. — Hai capito? Non voglio. È mia figlia. Qualche potere su lei ce l’ho anch’io. [p. 75 modifica]

— Parla di me — mormorò la fidanzata di Paolo, tutta tremante; e salì le scale a piccoli passi leggeri, per meglio afferrare le parole.

È un vizioso — ripigliava la voce irata rispondendo ad una interrogazione che non fu udita dalla fanciulla. — Un vizioso, un vanesio, un calcolatore; per questo non voglio. La farà infelice; è mio dovere di salvarla, anche a suo malgrado.

Nella vasta camera, arredata con ricchezza e sobrietà di gusto,

Cleofe in accappatoio bianco, aveva disfatta la sua elegante e semplice pettinatura alla greca, e divideva i magnifici capelli castagni in due parti eguali, per serrarli in due treccie, come era sua abitudine di tutte le sere.

Nessun abbigliamento, nessuna ricerca di acconciatura, poteva far meglio [p. 76 modifica] risaltare la sua bellezza. Le spalle e le braccia, stupende, trasparivano soavemente dalla batista finissima dell’accappatoio; e le pieghe sobrie intorno al busto ed ai fianchi, la facevano somigliare a una statua antica.

Ritta in piedi davanti allo specchio dell’armadio a tre imposte che riflettevano la sua immagine da tre diversi punti, ella non batteva ciglia e lasciava che il marito parlasse quasi da sè, in un soliloquio irritante; sapendo per lunga esperienza che quel silenzio ostinato lo esasperava e finiva col farlo fuggire.

Ma quella sera egli non pareva disposto a cedere il campo. Camminava a passi concitati in lungo ed in largo, con tutti i segni di una ferma risoluzione nel volto e negli atti.

Era un uomo alto, quasi biondo come la sua figliuola e come lei vigoroso; di carnagione fine, bianchissima e stupendamente conservata. A quarantadue anni non ne mostrava più di trenta; i lineamenti del suo nobile viso non erano regolari, però. Aveva il naso grande, la bocca larga, i denti bianchi, forti: tale e quale l’Annetta. Soltanto l’espressione variava.

In forza di quella espressione, ora dolce, ora appassionata, ora altera, sempre illuminata dalla intelligenza, egli appariva tanto più bello e distinto della ragazza. Erano gli occhi sopra tutto, gli occhi di un azzurro profondo come l’onda del mare, che davano al suo volto quella grande aria di nobiltà. [p. 77 modifica] Annetta poteva diventare come lui, raffinandosi.

— Perchè non l’hai detto prima? — scattò finalmente la signora perdendo la sua flemma.

— Ho io forse dato il mio consenso? Dì?! Mi sono mostrato contento di questo matrimonio? Dì?!... La mia ripugnanza è stata sempre la stessa. Ma tu hai sostenuto che si adoravano, che Annetta sarebbe morta...

— Ed è vero...

— Oh! babbo! Babbo mio! — gridò Annetta precipitandosi nella camera nonostante gli sforzi di Emma per trattenerla. — Certo, morirò, certo!... Tu non sai...

Soffocata dai singhiozzi, non potè continuare e cadde priva di forze.

Confuso, interdetto, il signor Leopoldo si chinò su lei, la sollevò, la posò sul letto.

Emma guardava come fulminata, incapace di parlare nè di agire. Lei sola intendeva il motivo della collera e della nuova energica opposizione del suo padre adottivo. Egli doveva avere veduto la scena sulla scala, il contegno di Paolo. Era per lei, dunque, per lei, la straniera, la beneficata, era per lei che sofifrivano!

— Ma io non ne ho colpa! — esclamò quasi ad alta voce nella sua nuova disperazione.

— No, non ne ho colpa — ripetè rispondendo al grido della coscienza. — Eppure è sempre per me [p. 78 modifica] che soffrono! Se io non fossi qui, l’occasione sarebbe mancata al capriccio di Paolo, e Annetta sarebbe felice.

La stringente logica di questo ragionamento la ferì nel più vivo del cuore.

Era proprio lei la causa di quelle angoscie.

Forse non aveva neppure avuta tutta la riserva necessaria. L’istinto femminile di farsi bella, il maledetto desiderio di piacere, le avevano forse tolto la mano come tante volte, agendo meccanicamente contro la sua volontà? Avrebbe giurato di no; perchè Paolo Brussieri non le era mai piaciuto. Ma temeva d’ingannarsi. Fin da bambina, sentendosi umiliata da certe brusche e taglienti parole della Cleofe, aveva cercato una rivincita nella propria bellezza, osservando che dopo il primo istante tutti la preferivano alla signorina Mandelli. E col più semplice vestito, con la pettinatura, con un nastro, con un fiore, ella sapeva pigliare le proprie vendette e soddisfare il suo precoce orgoglio.

La signora Cleofe non aveva poi tutti i torti quando la rimproverava di voler essere a tutti i costi la più bella.

In quel momento di crisi, la sua coscienza, che era nobile e delicata, si risvegliava con impeto, dando carattere di colpa anche al naturale amor proprio di fanciulla.

Come piangevano tutti per causa sua! [p. 79 modifica]

Il medico, un vecchio amico di casa, chiamato in premura, non riesciva ancora a far rinvenire l’Annetta.

— È una tempra eccitabilissima, un temperamento sanguigno e nervoso insieme, bisogna guardare quello che si fa — diceva egli investigando le cause del male.

Il signor Leopoldo pareva il più costernato.

Sono stato io — diceva con la voce strozzata. — Al solito mi sono lasciato trasportare dalla collera, per una sciocchezza, una cosa da nulla... Povera la mia bambina!...

Il medico a queste parole non insistette, indovinando qualche dramma di famiglia.

— Ecco! ora sta per riaversi; il respiro diventa regolare. Si mettano qui loro, la madre e la sorella, così. Che nessun ricordo spiacevole si riaffacci alla sua mente al primo ritorno della vita; e tutto andrà bene.

La signora Cleofe sorrideva con gli occhi pieni di lagrime. Emma sembrava più calma. Aveva preso una risoluzione: sposerebbe il ragioniere, quel Pietro Bonazza dalla faccia tonda, tanto buffo ai suoi occhi. Era un sacrificio; forse una cattiva azione; ma in quel momento le pareva un dovere.

Annetta aprì gli occhi; vide la mamma e la sorella, sorrise e tornò a richiuderli.

— Mamma! — mormorò con un filo di voce — Emma! state qui...

Ora dormirà — disse il medico. — La crisi è [p. 80 modifica]passata. Ma ci vuol riposo. La lascino così, e quando si sveglia, una cucchiaiata di questo liquido. Tornerò domattina.

Il signor Leopoldo andò ad accompagnare il medico fino al cancello, poi si ritirò nel suo studio.

Le due donne restarono al capezzale dell’ammalata.

Passarono alcune ore quasi in completo silenzio, finchè l’Annetta si risvegliò, mormorando:

— Ho fatto un brutto sogno... Dov’è il babbo?

— È andato a letto.

— E voi altre?... Ah! sono stata male. Dio mio! Il babbo non vuole...

Balzò dal letto con impeto.

— O mamma! mamma... il babbo non vuole...

— Ma che! bimba, ti sbagli. Il babbo vuole che tu sii felice: dunque?... Sai bene; fa sempre così. Piglia sfuriate per nulla, poi da li a lì non se ne ricorda più.

— Sì, ma...

— Non t’inquietare, credi. Mi ha dato la sua parola che non farà più alcuna opposizione.

— Cara mamma!... Cara Emma! abbracciami anche tu. Così... Mi sento molto debole. Tieni a mente mamma, che se queste storie non finiscono presto, se si continua così, la tua bambina morirà, sembra forte la tua bambina, ma è debole...

— Amore mio, bimba mia! Non dire queste cose; non parlare di morire! Tu devi vivere e essere felice, [p. 81 modifica] [p. 83 modifica] per l’amore di mamma tua. Io veglierò su te sempre. E se qualcuno ti farà soffrire avrà da fare con me. Non aver paura. Adesso dormi.

E sorridendo dolcemente:

— Fa la nanna con mammà, amore bello; fa la nanna...

Si chinò su lei e restò lì a baciucchiarla e a vezzeggiarla, come quando era piccina.

— Adesso è tranquilla — - disse finalmente — dopo una mezz’ora. — Va a dormire anche tu, Emma; va.

— Buona notte, mamma — disse la fanciulla con la sua voce armoniosa e. profonda; poi, con accento quasi supplichevole:

— Dammi un bacio anche a me.

Passando davanti alla scala per andare nella sua camera, vide lume giù in sala.

— Mi sono dimenticata di spegnere — pensò.

Scese per vedere. Non era ancora a mezza scala che il lume si spense. Ella s’accorse allora che la veranda doveva essere aperta perchè la bianca luce dell’alba entrava nella sala.

Finì di scendere in fretta e restò quasi atterrita vedendo il signor Leopoldo seduto al parapetto.

— O babbo, sei stato qui sempre?...

— Sì. Ho provato a buttarmi sul letto, ma non ho potuto dormire. E ora come sta?

— Molto meglio, sai. Direi che il male è passato tutto. Dorme. Quando si è svegliata ha parlato con [p. 84 modifica]calma. Poi, quando si è ricordata, quasi tornava da capo. Povera Annetta! Per fortuna la mamma l’assicurò che tutto era finito, che era stato un malinteso, che tu avevi fatto una delle tue sfuriate... ma che adesso sei tranquillo, convinto e non farai più alcuna opposizione.

Egli si picchiò la fronte e sospirò.

— Parliamoci francamente, Emma. Con te si può parlare. Tu hai nervi solidi e non conosci le convulsioni, nò gli svenimenti.

— Io no, babbo; ma non è un merito.

— Sarà benissimo: è un gran comodo però. Ora dunque parliamo. Tu sai, vero, la causa della mia collera, della mia improvvisa opposizione.

E la guardava fisso con quegli occhi azzurri e profondi che scrutavano le anime.

— Sì, la so; purtroppo. Tu hai visto la scenata che mi ha fatto Paolo sulla scala. Tu sai, però, che io non ne ho colpa.

— Senza dubbio. Tu l’hai respinto risolutamente da ragazza onesta e dignitosa. Dimmi: è questa la prima volta che si contiene così verso di te?

— La primissima.

— ...e non ti ha mai dato altri segni di simpatia?

— Non mi sono accorta... però...

— Parla.

— Dacchè lo conosco mi ha sempre ispirato un segreto terrore: un senso di repulsione e di paura insieme. Che so? ...un presentimento di disgrazia. [p. 85 modifica]

Vi fu un silenzio. Poi, il Mandelli tornò a interrogarla, con un tremito nella voce.

— Sei sicura di non amarlo?

— Oh! babbo! Mi par piuttosto che lo odio.

— L’odio è qualche volta molto vicino all’amore. Vero è però che sarei stranito se una ragazza della tua intelligenza dovesse provare simpatia per uno stupido di quella forza. Egli farà, oramai irreparabilmente, l’infelicità dell’Annetta. Sarebbe troppo se dovesse fare anche la tua.

— Eppure, babbo, è fatale che egli faccia l’infelicità di tutte e due le tue figliuole; per sottrarmi alle sue eventuali persecuzioni, ho deciso di sposare il ragioniere Pietro Bonazza.

— Come?... Se non lo puoi soffrire?

— Forse non è che una esagerazione di bambina capricciosa. È buono il ragioniere, e mi vuol bene. Io penso che è mio dovere di sposarlo, di farmi uno stato. Quando Brussieri saprà che sono fidanzata e vedrà il mio fidanzato venire in casa come lui, si conterrà diversamente e se ha dei grilli gli passeranno.

— Cara Emma! Tu sei sempre stata una fanciulla ammirabile, la mia unica gioia, la mia più grande consolazione. Lasciamelo dire: tu non sei mia figlia di sangue.... ma io ti ho sempre amata più della mia vera figlia....

— Taci, babbo!... È questo il mio rimorso. Io sono entrata povera, miserabile in questa casa e mi [p. 86 modifica] vi sono fatta la parte del leone. Tu hai amato me, la zingara, più della tua Annetta.... La mamma deve essersene accorta; Annetta, no. E adesso.... È orribile! Bisogna che il mio matrimonio si faccia al più presto. Tu scriverai domani al ragioniere che ho cambiato idea e che se lui mi ama sempre accetto l’offerta che mi ha fatto tre mesi fa.

— Io non scriverò niente.

— No?

— No. Sono un debole, un inabile, lo so. Non ho saputo dirigere la mia casa, impormi a mia moglie; non so combattere contro l’acciecamento di mia figlia che va alla rovina. Non per questo farò così deliberatamente la infelicità tua, Emma. No. Il tuo è un suicidio. Addio. È l’aurora: vado in chiesa. La voce dell’organo è inspiratrice a quest’ora. Tu va a riposarti. Va. Addio.

E si allontanò con premura per nascondere le diverse commozioni che lo agitavano.