Elementi di economia pubblica/Parte quarta/Capitolo I
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Cap. I. — del valore e del prezzo delle cose.
1. Le cose tutte considerate per sè stesse chiamansi valore, più o meno stimate; e più si stimano, primo, a misura che più contribuiscono a soddisfare ai bisogni, a crescere le comodità, a nutrire le delizie della vita: in secondo luogo, a pari attitudine a soddisfare a tali esigenze e a tali fini, a misura che sono più rare e più difficili a trovarsi. Le cose comuni e che si trovano dappertutto, quantunque essenziali, come l’aria e quasi sempre l’acqua, non hanno alcun valore; nella medesima maniera le cose di nissun uso, comodo o piacere, quantunque rarissime, non sono punto stimate, e sono di niun valore. Ma questa utilità e questa rarità delle cose non è sempre assoluta ed universale, ma spessissimo varia e relativa. Molte cose cessano affatto d’esser utili, perchè si è trovata la maniera di sostituirne delle altre e più facili e più utili; il valore adunque delle prime cessa e diminuisce, di molte invece si aumenta, perchè si sono scoperti nuovi usi e nuove utilità delle cose medesime; di più, moltissime sono rare in un paese ed abbondano nell’altro, e senza allontanarsi dai medesimi luoghi tali individui ne hanno copia, e tali ne scarseggiano.
2. Da questi ne nacquero i diversi baratti che gli uomini fecero di varie con varie cose, ed il valor venale di ciascheduna di queste, cioè la maggiore o minor attitudine che abbiano ad esser cambiate colle altre. Vi siano due merci sole e due soli individui, che l’uno abbia vino e l’altro frumento; se si leva la quantità di frumento che uno abbia di necessità per sè stesso, e la quantità di vino che l’altro vuol ritenere per sè, tutto il resto del frumento dell’uno valerà tutto il resto del vino dell’altro, quando amendue siano indifferenti a spogliarsi dei loro resti rispettivi di vino e di frumento per cambiarseli reciprocamente; di maniera che tutto il frumento varrà la metà di tutto il vino; il terzo di quello, il terzo di tutto questo; e così parimenti di tutte le parti o frazioni delle due merci, ancorchè il frumento fosse doppio, triplo, quadruplo del vino. Così se l’avanzo del frumento dell’uno stesse in dodici vasi, e se l’avanzo del vino dell’altro stesse solamente in sei vasi eguali, i dodici del frumento valerebbero i sei del vino; sei del primo, tre del secondo; quattro di quello, due di questo. Ma il valore di una cosa è l’attitudine a cambiarsi con un’altra: dunque quel valore sarà maggiore che otterrà una maggiore quantità della cosa che si prende in cambio; sarà minore quello che ne otterrà una minore. Dunque quanto meno daremo di una merce per tanto più riceverne di un’altra, altrettanto dirassi quella aver maggior valore di questa. Dunque in questo caso il vino avrà maggior valore del frumento, e il valore del vino sarà al valore del frumento come 12 a 6, ossia, 2 a 1; onde, se è lecito di geometricamente esprimersi in queste uniche circostanze, il valore d’una cosa all’altra sarà in ragione reciproca delle loro quantità assolute. Ma supponiamo che colui il quale possiede il frumento abbia meno bisogno di vino, di quello che il posseditore del vino abbia necessità di frumento; in tal caso il posseditore di frumento vorrà dare una minor quantità di frumento, o per l’istessa quantità di frumento dimanderà più vino di quello che dimanderebbe, se le esigenze e le richieste fossero dall’una e dall’altra parte eguali e corrispondenti. Nel nostro caso, il frumento, più richiesto del vino, avrà per questo riguardo un maggior valore; onde, se vi siano 12 vasi di frumento e 6 di vino, senza una tale disparità di bisogno, due vasi di frumento vagliono solamente un vaso di vino; e nel caso dell’accennata disparità, due vasi di frumento varranno qualche cosa più che un vaso di vino, o meno di due vasi di frumento varrà un vaso di vino; dunque il valore del frumento sul valore del vino crescerà o scemerà in proporzione diretta delle rlchieste rispettive di ciascuna cosa. Tra due sole persone contrattanti non è possibile calcolare la quantità a cui la disuguale ricerca farà salire il prezzo di una cosa e discendere il prezzo dell’altra; ognuno cerca di dare meno che può, e di ricevere più che sia possibile. Ma supponiamo che le 12 misure di frumento siano divise fra due persone, una delle quali ne abbia 7, e l’altra 5; egli è certo che a bisogni ed a richieste eguali e contemporanee, due di frumento ne compreranno una di vino, come nel caso antecedente; ma se i bisogni e le ricerche siano disuguali, cosicchè il posseditore delle 7 di frumento abbia più bisogno di vino, il valore del frumento diminuirà: onde generalmente il valore di una cosa diminuisce coll’accrescersi il numero de’ venditori. Figuriamoci ora, come nel primo caso, un possessore di 12 misure di frumento, ed un altro di 6 di vino, indi un terzo che abbia parimenti 9 altre misure di vino: il solo che ha le 12 di frumento non potrà ottenere che una misura di vino da chi ha solamente le 6, ed una o mezza da chi ha le 9, per le due ch’egli darebbe a ciascuno separatamente. Colui che ha le 6 misure di vino dovrà ciò nonostante darne 1 per due di frumento, costretto dall’altro, ugualmente bisognoso, che può fissare un tal prezzo al suo vino. Quindi vediamo crescere il valore del frumento crescendo i compratori: onde generalmente cresce il valore di una cosa col crescersi i compratori della medesima. Ma se il possessore del frumento avrà bisogno di vino, egli sarà costretto a rimettere alquanto della sua pretensione, e si accontenterà di 1, che ciascuno dei due dovrà dare per le due misure di frumento; perchè quegli, che non ha che 6 misure di vino, dovrà crescere sempre un poco l’esibizione, e quegli che ha le 9 dovrà sempre diminuirla: e questo moto contrario dovrà finire finchè s’incontrino al medesimo prezzo; il che non può avvenire se non allora che il prezzo del primo da 1 sarà ascesa ad 1, e il prezzo del secondo disceso da 1 ad 1. Questo valore di 1 chiamasi medio valore, ossia insubricamente adequato, perchè infatti ad una eguale distanza è da 1 e da 1; il quale medio valore è quello che si considera dagli economi come il punto fisso intorno a cui si possono calcolare i guadagni e le perdite.
Ma questo valore delle cose sarà ancora alterato da altre considerazioni, se il possessore del frumento sarà distante dal possessore del vino, o quegli lo porterà da questi o questi da quello. Il trasporto è un travaglio che ha il suo valore; chi trasporta, vuole essere reintegrato dalla propria fatica; in caso di bisogni ed esigenze eguali, i trasporti si compenseranno e si divideranno; ma in caso di bisogni disuguali, cioè quando uno cerchi più di comprare di quello che uno di vendere, il trasporto sarà pagato dal compratore; e quando l’uno cerchi più di vendere che l’altro di comprare, il trasporto sarà pagato dal venditore. Ma qui giova riflettere, che i termini di venditore e compratore sono perfettamente reciproci e correlativi. Per dare una più precisa definizione del venditore e del compratore, non essendo ambidue che cambiatori di cose con cose e quindi non supposta ancora la moneta, diremo quello de’ cambiatori essere il compratore che ha bisogno e che domanda, ed il cambiator venditore essere quello, che dà il superfluo e concede e rilascia: onde il trasporto è sempre pagato da chi ha il bisogno, e la differenza dei trasporti deve essere combinata con la differenza de’ bisogni; e perciò a misura di queste differenze si darà dai venditori e compratori di frumento e di vino più o meno di queste derrate, in ragione composta delle diverse esigenze e delle differenti distanze fatte per il trasporto delle medesime.
3. Andiamo più oltre. Supponiamo ora che oltre colui che ha le dodici misure di frumento e colui che ha le sei di vino, siavi un terzo che possegga quattro pelli ed abbia bisogno di vino e di frumento, come gli altri due desiderano avere delle pelli, oltre il bisogno che hanno uno di vino e l’altro di frumento. Supponiamo che questi due abbiano già contrattato tra di loro due misure di frumento per una di vino; il padrone delle pelli darà una pelle per tre misure di frumento: ora per tre misure di frumento potrebbe avere una misura e mezza di vino; dunque darà una pelle per una misura e mezza di vino. Quindi il frumento potrebbe essere considerato come misura comune delle pelli e del vino. Così di mano in mano aggiungendosi altre merci, ciascuna delle quali può essere cambiata con frumento ed il frumento con tutte, potremo rapportare i valori di ciascheduna merce alla quantità di frumento che per ciascuna si ottiene; onde sarà detto, tale merce valere tanto frumento, tali altre tanto di più o di meno. Ora supponiamo che vi sia un altro padrone di quattro pelli, ma che queste pelli siano state da lui preparate ed acconcie in modo, che servano più all’uso cui sono destinate, e siano rese più belle, più pieghevoli, più liscie; egli è certo che se il primo non darà le sue pelli greggie, ed ancora rozze e non preparate, che per tre misure di frumento per ciascuna, il secondo dimanderà per ciascuna delle sue qualche cosa di più, e quei medesimi che cercheranno le pelli saranno pronti a dargliene. Se tutti fossero inabili a far ciò che ha fatto il conciatore delle pelli, questi potrebbe dar la legge a tutti gli altri, ed esigere sempre di più per le sue pelli finite, finchè egli prevedesse che gli altri non cesserebbero di offerire: ma se altri possono fare o hanno già fatto questo lavoro, questi daranno il meno che potranno, quello dimanderà il più che gli sarà possibile, ma il limite intorno a cui si fermeranno sarà valutando il tempo che ha dovuto impiegare il padrone delle pelli per la sua fattura; colla quale valutazione costui si contenterà di ricevere, e quelli di dare in frumento l’accresciuto valore delle pelli. Supponiamo, che ad acconciare ciascuna di queste pelli egli abbia durato il tempo necessario a consumare per proprio alimento una misura di frumento, o che facendo altra fattura avrebbe potuto procacciarsela; li chieditori delle pelli saranno pronti a valutare ciascuna di queste pelli preparate una misura più delle tre di frumento, prezzo di ciascuna delle quattro prime ancor greggie; il lavoratore poi delle pelli, sapendo esser questo il termine o limite a cui gli altri lavoratori possono darle, per timore di perdere il suo guadagno, o per dir meglio il valore della sua fatica, le cederà a questo prezzo. Dunque le pelli concie varranno ciascheduna quattro misure di frumento, e in questa supposizione due misure di vino, mentre le greggie non varranno ciascuna che tre di frumento e una e mezza di vino. Dunque il valore di una cosa lavorata crescerà in proporzione del tempo necessario a lavorarla: e se più persone sono nel medesimo tempo impiegate a questo lavoro, crescerà ancora in proporzione del numero delle persone che s’impiegano al detto travaglio. E per riunire le dette proporzioni in una, basta dire che la misura di questo valore di tempo e di persone sarà l’alimento che in detto tempo da tutte queste persone si consuma, come abbiamo spiegato nella Prima Parte. E in fatti, egli è naturale che ognuno stimi il suo travaglio per la sua durata, e che questa durata si valuti dalle cose che frattanto dai travagliatori si consumano. Tale è il linguaggio tenuto dagli artefici e bottegaj; e può ognuno colla propria esperienza aver conosciuto, che essi con formole di tale natura si scusano con chi si lamenta dell’alto prezzo di qualche cosa. Se un altro più industrioso trova il mezzo di raddoppiare il prodotto nel medesimo tempo, non perciò si contenterà di domandare il semplice prezzo della sua opera, che, quantunque doppia perchè fatta nel medesimo tempo della prima, non sarebbe misurata che dall’alimento di tutto quel tempo; ma avendo assuefatti i compratori a prendere i suoi lavori per un tal prezzo, dimanderà il medesimo prezzo per il medesimo lavoro, quantunque fatto nella metà meno di tempo. Lo stesso avverrà se egli trova la maniera di risparmiare il numero delle persone; e questo valore è propriamente quello che chiamasi guadagno; e il minore o maggiore guadagno, che si fa su ciaschedun contratto, determina il buon mercato o il caro prezzo delle merci rispetto alle loro simili. Finchè uno non ha emuli o cooperatori a far le medesime opere, egli dà la legge ai compratori, e terrà il prezzo sempre alto fino al limite in cui teme che si ributtino dal comperare. Quando vi siano concorrenti, la legge sarà fissata da chi può dare il lavoro al minor prezzo, ed il limite di questo minimo prezzo sarà il valore della mano d’opera, cioè gli alimenti che nel minore spazio di tempo dal minor numero possibile di persone, facienti li suddetti ed altrettanti lavori, si consumano.
Si suole comunemente distinguere il valore estrinseco ed il valore intrinseco. Questa maniera di scrivere dà luogo a molti equivoci, per togliere i quali si rifletta che gli uomini non si servono di questa distinzione che per le cose da essi lavorate, e danno il nome di valore intrinseco al valore della materia prima di cui l’opera è composta, e di valore estrinseco al valore dell’opera medesima. Ma questa distinzione è più apparente che reale, perchè anche il valore della mano d’opera è determinato dalle stesse considerazioni che determinano il valore della materia prima. La quantità del travaglio di una cosa paragonata alla quantità di travaglio di un’altra, sta essa pure in ragione reciproca delle quantità loro assolute. Il numero de’ venditori, quello dei compratori, le maggiori o minori richieste, la spesa dei trasporti influiscono egualmente sul valore del travaglio che sul valore della materia prima, e tanto l’una come l’altra sono rappresentate dalla stessa e comune quantità delle cose che successivamente servono alla consumazione.