Edizione completa degli scritti di Agricoltura, Arti e Commercio/Lettera IV
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LETTERA IV.
Grande oltre ogni credere era la quantitå della seta, che in drappi nella corte di Giustiniano si consumava, e ne’ luoghi di tutto l’impero; e si fatti drappi tutti da’ Persiani si comperavano. Arrecata veniva la seta nel Seno Persico dagli stessi Chinesi, donde i Persiani pel fiume Osso nel mar Caspio la trasferiyano; e da questo mare navigando contro il corso del fiume Ciro accostavansi al mar nero, dal quale veniva poi a Costantinopoli trasportata, e di là per tutta l’Europa distribuita. Non potea senza suo gran dolore comportar Giustiniano1 questo commercio; ed attristandosi nel suo cuore, che tanto danaro passasse in mano a’ Persiani nemici suoi, mandò Giuliano, legato suo, ad Elesteo re degli Etiopi2, e ad Esomifeo re degli Omeriti3, pregandoli, che per la fede comune di Gesù Cristo gli porgessero contro a’ Persiani l’ajuto loro. Diede oltre a ciò al legato suo commissione, che per compensare gli ajuti che gli avessero prestato contro i Persiani, dicesse, ch’egli avrebbe obbligati i sudditi suoi, a comperare da loro solamente la seta; e li assicurava di un grande ricchissimo traffico. Esempio si è questo, per quanto a me ne sembra, il primo che ci somministri la storia di uno di que’ trattati di alleanza, e di commercio, che sono renduti oggidì cotanto comuni fra le nazioni: a tal che vengono fatti non meno fra le più colte genti dell’Europa, che tra le più barbare dell’Africa, dell’Asia, e dell’America.
Facevano gli Etiopi in quel tempo4 abbondantissimo traffico pel mare Meridionale, e cogl’Indiani il facevano, da’ quali sete compravano, ed aggiugnendone anche di comperate da’ Chinesi, nel seno Persico, e di là nel Mar Rosso trasferendole, tutte le vendevano.
Più si allargava il commercio degli Arabi ancora, a’ quali, come ad uomini destri, ed attrativi nel traffico, come in altre mie avrò l’onore di riferire a VV. SS. Illustriss., gl’Indiani e Chinesi volentieri le loro mercanzie recavano, ed essi queste diffondevano in Egitto pel mare; e con caravane per terra in tutta l’Asia, e fin sulle coste del mar Nero.
Principalissimo capo in tale commercio erano le vesti di seta; e di tal merce fu principalmente mercante Maometto, quando nelle città marittime dell’Arabia5 faceva il suo traffico. Per la qual cosa fra quegli uomini illustri, ch’esercitarono la mercatura della seta, può anche Maometto annoverarsi, a cui l’essere stato Profeta falso, non toglie il nome di essere stato un vero conquistatore.
Volgeva Giustiniano per l’animo suo, com’egli potesse far sì, che l’oro de’ sudditi suoi non andasse in mano a’ suoi nemici. Ma più ancora si struggeva di voglia d’introdurre la seta nel suo impero, per trattenerlo ne’ proprj stati6. Nel tempo appunto, ch’egli occupato trovavasi nella guerra con tro i Goti, avvenne che certi monaci capitati dall’Indie, avendo il desiderio di Giustiniano inteso, a lui si presentarono, e giunti che gli furono innanzi, gli dissero: esser essi al caso di poter appagare la volontà sua per modo che nè da’ Persiani, nè da altra nazione avrebbero i Romani avuto bisogno di provvedersi di seta: essersi eglino per lungo tempo trattenuti in Sirinda7, città dell’Indie popolatissima, e quasi aver imparato, come potere trasferir in Europa la semente della seta, e l’arte del lavorarla. Non cessava mai l’imperatore di far nuove interrogazioni, per assicurarsi della verità delle loro promesse; ed i monaci pur rispondevano, essere artefici della seta alcuni vermicelli, che avevano in tale opera la natura per maestra. Affermavano, questi non potersi in Europa vivi portare, ma in breve tempo e facilmente ingenerarsi, e gran copia d’uova ad ogni parte produrre: queste molto tempo dopo ch’erano nate mettersi sotto il letame (che tale dovevasi essere l’uso di que’ paesi) e da esse a sufficienza così riscaldate i ricordati vermicelli uscire, e lasciare il guscio. Dette ch’ebbero finalmente i monaci tutte queste particolarità, animati dalle liberali promesse dell’imperatore se ne andarono di nuovo all’Indie, e di là recando le promesse uova e con quella regola che aveano appresa, trattandole, ne uscirono i vermicelli, che colle foglie del moro alimentati diedero per la prima volta all’Europa la seta: onde può notarsi per epoca di sua introduzione l’anno 550 in circa.
Assottigliossi poi l’arte del tesserla8, traendone gli uomini da diversi paesi le usanze del lavorarla; perchè di Damasco venne quell’artificio di lavorare drappi, che Damaschi si chiamano, e gli Ermisini da Ormus, città del Seno Persico; ed altre invenzioni si trovarono, principalmente quella del Velluto, che dal pelo chiamato da’ latini villus ebbe il suo nome.
Nè piccola obbligazione abbiamo noi medesimi a Giustiniano, il quale coll’acquisto di cosi preziosa mercanzia non solamente fermò nel suo impero e fra’ suoi vassalli quell’oro, che coll’andare del tempo sarebbe tutto nell’Asia passalo; ma fece a noi, pur godere i beneficj del suo cauto e saggio operare. Anzi si può egli per cosa certissima dire, che nello scoprimento dell’America, dove si mandano tante manifatture di seta Europee, abbiano queste con larghissimo compenso rimborsata l’Europa di que’ tesori, che prima di Giustiniano erano in Asia passati.
Egli è però vero, che per que’ tempi le manifatture della seta si stabilirono nelle città della Grecia solamente, e per esse allargaronsi: anzi pel corso di sette secoli furono da’ Greci con tal gelosia custodite, che mai non vennero comunicate ad altra nazione. Per la qual cosa scrivendo il celebre Presidente Montesquieu intorno alla durata dell’impero d’Oriente; ed esaminando le cagioni di essa9, al suo commercio l’attribuisce, e principalmente a quello delle manifatture della seta fatta da’ Greci fiorire, e multiplicare, quando i Persiani dopo l’inonazione de’Barbari, le avevano già trascurate.
Gli Europei meridionali, che sempre de’ Settentrionali più colti furono, e più ricchi a cagione del traffico, ebbero anche più di questi rivolto il cuore alle foggie degli stranieri, e ad esse diedero la legge sempre con immenso profitto loro sopra le più valide, e gloriose nazioni. Mostrerò a VV. SS. Illustriss. con altre mie, che questo fu uno dei pregi di Tiro, che passato poi in Costantinopoli la fece divenir la più grande, florida, ricca, e colta città di Europa, dappoichè Costantino per sua dimora l’elesse, e dell’impero Romano la fece Sede: per modo che a que’ tempi era quella città quello, che oggidì sono Lione e Parigi; imperciocchè di là dappertutto i vestimenti di seta si dilatavano, ed avevano il nome di Oltremarini, e forestieri vestimenti acquistato. Notò benissimo questa circostanza il chiarissimo sig. canonico Bertoli, da cui l’abbiamo noi tratta; affermando egli, che in uno de codici capitolari Aquilejesi chiamansi le vesti di seta: Vestimenta transmarina, et peregrina10. E in una chiesicciuola che vedesi sopra quell’atrio, per cui si va al Battistero antico della chiesa di Aquileja, vedesi una rozza pittura, la quale fu con ogni sua diligenza da esso canonico disegnata 11, e vuolsi, secondo l’opinione di lui, che sia al Battesimo allusiva. Vedesi nel mezzo di essa un Crocifisso attorniato da una vite: alla destra di questo vi è una figura con una mitra, o corona in capo, la quale si giudica essere Gisla, figliuola di Lodovico Pio imperadore, e moglie di s. Everardo duca del Friuli nel nono secolo. Alla sinistra vedesi una donna addolorata, che viene creduta la Beata Vergine, comecchè non abbia il disco, o nimbo, che il capo le circondi. I vestimenti dell’upa figura, e dell’altra sono a vergato, e a rete; e nota esso canonico, che si riscontrano appunto con altre figure de’ tempi di Gisla. Il drappo di Maria Vergine è più semplice, essendo semplici le righe, com’è tutta la veste; quella della principessa è un poco più lavorata, e dal fianco al piede, per un terzo in circa, è ornata con un gherone nell’estremità ricamato, ed ornato di gemme. Il diligentissimo ed eruditissimo signor canonico un’altra curiosa pittura ci conservò, che fu poi miserabilmente cancellata, come s’è fatto, e si segue tuttavia a fare per tutta l’Italia, con discapito irreparabile de’ monumenti antichi, da’ quali trar si possono tante, e così vaghe, ed utili cognizioni. Nel coro sopra i sedili de’ canonici fra le altre ed antiche pitture vi erano quattro figure rappresentanti il Battesimo secondo il rito della immersione. Vedesi in un congo o bottaccio una donna adulta nuda; il diacono con un libro nella sinistra, che la destra sul capo le impone; due diaconesse si veggono, il cui officio era spogliare ignude le donne catecumene, che dovevano essere battezzate, ed all’immersione apparecchiarle; e dopo fatta dal diacono la sacra unzione sulla fronte, ungevano le altre parti del corpo coll’olio santo: e queste si veggono starsi preparate colle vesti per rivestirla. Hanno queste i capelli raccolti, come nella passata età si usava; la battezzata distesi, e il diacono, quali gli usano i chierici al presente. Hanno quelle alla Spagnuola il busto; la veste, e sottana è di drappo rigato; probabilmente di stoffa di seta, con que’ pezzi dell’istessa stoffa piegata, ed increspata in cinque parti, come si usava ancora dopo il 1700, e in quella foggia, che da’ Francesi viene col vocabolo di falbala nominata.
Cotali manifatture12, come io ho già accennato di sopra, vennero da’ Greci con molta gelosa custodia tenute insino alla metà del dodicesimo secolo; quando Ruggero primo re di Sicilia sdegnatosi gravemente contro a Manuello imperadore di Costantinopoli, che gli avesse imprigionati gli Ambasciatori mandati da lui a trattare della pace, messa insieme un’armata poderosa in mare, passò con essa nel 1148 a’ lidi della Grecia, dove insignoritosi d’Atene, Corinto e Tebe, nelle quali città le manifatture della seta erano stabilite, tutti gli operaj che in esse lavoravano, trasportò, e diede loro in Palermo stabilimento.
Colle seguenti mie vedremo, come queste manifatture passarono dalla Sicilia in Italia; e nel principio del secolo decimo quarto in questa dominante. Nè vi volle minor giro di quasi quattro secoli, perchè facessero questo breve passo, per venirsi a stabilire tra noi: e quasi un altro secolo, perchè facessero qualche progresso. Termino intanto la presente, confermandomi con perpetuo ossequio.
- ↑ Procop. De bell. Pers. Lib. I. pag. 264.
- ↑ Erano detti Abissini.
- ↑ Popoli dell’Arabia Felice.
- ↑ Huet. pag. 14.
- ↑ Lettres serieuses et hadines. T. IV. pag. 57.
- ↑ Procop. De bell. Goth. pag. 17, 212.
- ↑ Sirinda è ai gradi 31 di latit. settentr. nel Mogol Settentr. fra l’Indo e il Gange.
- ↑ Guid. Pancirol. Nova Reperta, lib. II. tit. 24. pag. 728.
- ↑ Considerat. sur les causes de la grandeur des Romains, et de leur decadence, cap. 23.
- ↑ Giandomenico Bertoli. Antichità d ’ Aquileja.
- ↑ A c. 406.
- ↑ Otton. Frisingens. De gest. Friderici I. imperat. lib. 1. cap. 23.