Edipo re (Sofocle - Romagnoli)/Lamentazione

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Sofocle - Edipo re (430 a.C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1926)
Lamentazione
Esodo Edipo re
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LAMENTAZIONE

Appare Edipo, acciecato, condotto per la mano da un servo.


coro
Orribile strazio, piú orribile
1300di quanti a vedere io mai n’ebbi!
Oh misero, quale delirio
t’invase? Qual Dèmone ruppe
con l’urto, con l’impeto immane
su te, con l’avversa sciagura?
1305Ahi, ahi, sventurato! Né gli occhi
in te posso figger, sebbene
vorrei molte cose a te chiedere,
e molte ascoltarne e vederne.
Ma troppo ribrezzo in me súsciti!
edipo
1310Ahimè! Ahimè!
Ahi, ahi, sventurato! In qual plaga
della terra io m’aggiro? È la mia
questa voce che svola e si perde?
Oh mio Dèmone! Dove precipiti?

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coro
1315Orror che udire né mirare io posso!
edipo
Strofe I
Ahi! Nuvola di tènebra
esecrabile, infesta,
orrenda oltre ogni dire, m’avvolge, e immota resta.
Ahimè, ahimè!
1320Anche una volta, ahimè! Ché il mal presente
m’assilla, ed il trascorso urge la mente!
corifeo
Meraviglia non è, se in tanto affanno
doppio è il cordoglio, come doppio è il danno!
edipo
Antistrofe I
Oh! Degli amici, unico
1325ancor tu resti meco,
ancora attendi, e cura ti dài di questo cieco.
Ahimè, ahimè!
Ignoto a me non sei già! Tutto è fosco
per me: pur la tua voce io ben conosco.
corifeo
1330Gli occhi tuoi, come straziar potesti?
Crudele! E qual ti spinse dei Celesti?

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edipo
Strofe II
Apollo, amici, Apollo fu la causa:
a questa pena orribile ei m’adduce!
Niun m’ha colpito: con la mano mia
1335me privai della luce:
ché nulla io veder posso piú che grato mi sia.
corifeo
È vero, ahi!, ciò che dici.
edipo
E che mi resta, oh amici,
che gradito, che amabile,
1340che a udirlo favellar, mi sia diletto?
Presto, amici, di qui lungi adducetemi:
io sono il maledetto, la peste esiziale
cui piú d’ogni mortale
i Numi hanno a dispetto.
coro
1345Tristo! che il male tuo quanto è, ben sai!
Oh, non t’avessi conosciuto mai!
edipo
Antistrofe II
Muoia chi, sciolti dai selvaggi vincoli
i piedi miei, me trasse a salvamento,

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e mi raccolse, ahimè, non pel mio bene!
1350Se quel giorno ero spento,
né a me né ai cari causa sarei di tante pene.
corifeo
Anch’io ben lo vorrei.
edipo
Né l’uccisor sarei
del padre, e non direbbero
1355me di colei che madre ebbi, consorte.
Ora iddii piú non ho, stirpe son d’empi,
con quelli onde infelice nacqui sono commisto;
e se v’è mal piú tristo,
quello Edipo ebbe in sorte.
corifeo
1360Pur, che ben t’avvisasti, io non so dire:
meglio che viver cieco, era morire!
edipo
Non volermi provar che quanto io feci
non fu pel meglio, non mi dar consigli!
Ch’io non so con quali occhi, se la vista
1365avessi ancora, giú disceso all’Ade,
potrei mirar mio padre, o l’infelice
che mi diede la vita! Ambi gli offesi
tanto, che poco mi sarebbe un laccio.

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O grato mi sarà vedere i figli,
1370nati come essi nacquero? Oh!, con queste
mie pupille, non mai! Né la città,
né i valli piú, né i simulacri santi
dei Celesti, dei quali io, sciagurato,
privai me stesso, allor che a tutti imposi
1375che scacciassero l’empio, l’uom che impuro
dissero i Numi, e sangue era di Laio.
Ed io che tanta macchia in me scopersi,
levar potrei sui cittadini il viso?
Oh! non mai! Se potessi anzi far siepe
1380ai fonti dell’udito, io non starei
che non sbarrassi il misero mio corpo,
e cieco fossi, e nulla udissi. Dolce
esser privo dei sensi è nei tormenti!
Oh Citerone, a che m’offristi asilo,
1385súbita morte perché non mi desti,
che non paresse mai donde ero io nato?
Oh Pòlibo, oh Corinto, e voi, paterne
case, d’antica fama, oh, qual parvenza
bella, e dentro ulcerosa, in me nutriste!
1390Ch’or son malvagio e figlio di malvagi.
Oh tre sentieri, oh segreta convalle,
querceto e angusto tramite del trivio,
che il sangue mio, ch’io versai dalle membra
di mio padre, beveste, rammentatevi
1395di me, che scempi presso voi compiei,
che scempi quando fui qui poscia giunto!
Oh nozze, oh nozze, a me deste la vita,
e fecondaste poi lo stesso seme,
onde alla luce insiem padri e fratelli
1400vennero, e figli, incestuosa stirpe,
e figlie e mogli e madri, e quanti orrori

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piú sozzi mai fra i mortali si scorsero!
Ma udir non giova ciò che fare è turpe.
Prima che sia, pei Numi, nascondetemi
1405di qui lungi, uccidetemi, scagliatemi
nel mare, che mai piú niuno mi scorga!
Via! Non sdegnate di toccare il misero!
Fatemi pago, non temete! Io solo,
niun altri del mio mal preda sarà.
corifeo
1410A ciò che tu dimandi, in punto giunge
ad operare e a consigliar, Creonte
ch’or della terra è, in vece tua, custode.
edipo
Ahimè! Con qual parola a lui rivolgermi?
Quale fidanza posso aver? Ch’io fui
1415palesemente contro lui malvagio.
Giunge Creonte, tenendo per mano le due figliuole d’Edipo.
creonte
A schernirti non giungo, né a lanciarti
ingiurie, Edipo, pei trascorsi oltraggi.
Ma voi, se non provate alcun ritegno
dei mortali, la fiamma aurea del Sole
1420che tutto nutre, riverite, e a lei
senza vel non mostrate un tale obbrobrio,
cui né la terra né la sacra piaggia
può tollerare, né l’eterea luce.

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Conducetelo presto entro la reggia:
1425ben giusto è che i congiunti soli mirino,
odan solo essi dei congiunti i mali.
edipo
Tu che ogni mia credenza giungi a sperdere,
al piú tristo degli uomini tu l’ottimo;
appagami! Per te, non per me parlo.
creonte
1430Per qual bisogno a supplicarmi insisti?
edipo
Presto da questa terra via discacciami,
dove niun sia che a me rivolga mente.
creonte
Già l’avrei fatto, sappilo, se prima
non avessi voluto udir l’oracolo.
edipo
1435Era già chiaro il suo responso: togliere
di mezzo me, l’impuro, il parricida.
creonte
Cosí diceva: adesso, in tal frangente,
ciò che debbasi fare è meglio chiedere.

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edipo
Consulterete il Dio per questo misero?
creonte
1440Dovresti anche tu fede aver nel Nume!
edipo
Ed ora io ti scongiuro, e in te m’affido.
A lei che spenta è nella casa, appresta
la tomba tu: conviene un tale ufficio
renderle: straniera ella non è.
1445E me non pensi questa patria rocca
vivo piú mai fra i cittadini scorgere.
Lasciami, che fra l’alpi abbia dimora,
dove per me famoso è il Citerone,
che mio padre e mia madre aveano eletto
1450per sepolcro a me vivo: e così muoia
per opra lor, che già spento mi vollero.
Sebbene io questo so, che me né morbo
né morte naturale ucciderà:
sfuggito non sarei, quand’ero a morte
1455presso, se qualche piú terribil fine
non m’attendesse. Ebbene, il mio destino
batta, quale che sia, la via fatale.
Creonte, e tu non darti alcun pensiero
dei figli maschi. Uomini sono, e mai
1460non patiran miseria, ovunque vivano.
Ma le dolenti mie povere figlie,
che lungi mai non visser dalla mensa
di quest’uomo, ma quanto egli gustasse

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ne aveano parte, oh!, cura abbi di queste!
1465E lascia ch’io con queste man’ le tocchi,
che le sciagure mie con esse lacrimi.
O buon Signore,
o pianta di buon seme, oh!, ch’io le tocchi,
e averle mi parrà, come vedessi.
1470Che dico?
Non odo forse, o Dio, non odo piangere
le mie dilette? Per pietà, Creonte,
l’amor mio, le mie figlie, ah!, qui mandate.
M’appongo al vero?
creonte
1475Ti apponi al vero. Io qui venir le feci,
sapendo quanto erano a te dilette.
edipo
Sii tu felice! E te migliore un Dèmone
che il mio non fu, per tal grazia protegga.
Figlie mie, dove siete? Oh, qui venite,
1480a queste mie mani fraterne: queste
alle pupille, che luceano fulgide,
del padre vostro, tale strazio inflissero:
ché me, né vidi, né sentore io n’ebbi,
me padre rese il grembo ond’ebbi vita.
1485E per voi piango: e guardar non vi so,
pensando il resto dell’amara vita
che trascorrer fra gli uomini dovrete.
A che convegni cittadini andrete?
A quali feste, che poi non dobbiate,
1490invece che gioir, tornare in pianto?

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E quando il tempo delle nozze giunga,
chi mai sarà che ardisca, o figlie mie,
tanto obbrorio affrontare, e tal rovina,
che sui miei genitori e su me pesa?
1495Quale sciagura manca? Il padre vostro
fu del padre uccisore, il campo arò
ov’ei fu seminato, e n’ebbe figlie
dal grembo istesso ond’ei vide la luce.
Tale obbrobrio udirete. E chi sposarvi
1500vorrà? Nessuno, oh figlie! E senza nozze
e senza figli vi dovrete struggere!
O di Menèceo figlio1, oh tu che resti
sol padre a loro, poi ch’entrambi spenti
siamo noi due che a lor demmo la vita,
1505non sopportar che derelitte vadano
senza né patria né marito, errando;
non adeguarle ai mali che m’opprimono:
di loro abbi pietà, che prive sono,
lo vedi, in tale età, d’ogni sostegno,
1510tranne che il tuo. Consenti, o generoso,
dammi la mano. E voi, figlie, se aveste
già senno, assai consigli io vi darei.
Or questo voto io fo per voi. Dovunque
conduciate la vita, oh, miglior sorte
1515a voi che al vostro genitore arrida.
creonte
Basta il pianto. Orsú, rientra nella reggia.
edipo
A mal mio grado
lo farò.

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creonte
Tutto, a suo tempo, piacer deve.
edipo
E dunque, vado
Sai però, qual patto io pongo?
creonte
Lo saprò se tu mel dici.
edipo
Via di qui scacciami.
creonte
Al Nume spetta ciò.
edipo
Fieri nemici
1520a me i Numi.
creonte
E allora, presto tu vedrai pago il tuo voto.
edipo
Dici il ver?
creonte
Ciò che non penso, non soglio io cianciare a vuoto.

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edipo
Dunque, via recami.
creonte
Vieni. Dalle figlie ti separa.
edipo
Ah, no, queste non strapparmele!
creonte
Non voler vinta ogni gara!
Dei trionfi onde i tuoi dí — colmi fûr, qual ti seguí?
Edipo lascia le figlie, e Creonte lo conduce entro la reggia.
coro
1525Or vedete, o abitatori del natio suolo, o Tebani,
questo Edipo, il potentissimo, che sciogliea li enimmi arcani,
né albergava contro alcuno dei Cadmèi gelosa cura,
in qual bàratro è piombato di terribile sciagura.
Or, mirando questo giorno luttuoso, non far stima
1530che beato sia veruno degli effimeri, se prima
scevro d’ogni orrido male — non sia giunto al dí fatale.
I coreuti abbandonano lentamente l’orchestra.


Note

  1. [p. 337 modifica]Pag. 86, v. 1190. - La fiera vergine, cioè la Sfinge, è chiamata dal curvo artiglio, perché aveva sí il capo e il petto di donzella, ma il tronco e le estremità di leone.