Ecce Homo/Perchè scrivo così buoni libri

Perchè scrivo così buoni libri

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Friedrich Nietzsche - Ecce Homo (1888)
Traduzione dal tedesco di Aldo Oberdorfer (1922)
Perchè scrivo così buoni libri
Perchè sono tanto accorto a) L'origine della tragedia
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Perchè scrivo così buoni libri.


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1.


Altra cosa sono io, altra sono i miei scritti. — Qui, prima di parlare di essi, bisogna ch’io accenni al problema se essi sono o non sono capiti. Ne verrà fuori un lavoro del tutto abborracciato, perchè la questione non è ancora affatto d’attualità. Io stesso non sono ancora d’attualità; alcuni nascono postumi. Verrà tempo che sorgeranno degli istituti in cui si vivrà e s’insegnerà ciò che io intendo per vivere ed insegnare; forse si creeranno anche delle cattedre speciali per l’interpretazione del «Zarathustra». Ma sarei in aperta contraddizione con me stesso se mi aspettassi di trovare già oggi orecchie e mani disposte ad accogliere le mie verità: che oggi non mi si ascolti, che non si voglia prender nulla da me, mi pare non solo naturale ma a dirittura giusto. Non voglio essere confuso con altri, perciò non mi confondo io stesso.

Ripeto, nella mia vita ci sono pochi casi di «malanimo»; anche di «malanimo» letterario non saprei raccontare che un esempio. Invece, molti di pura stupidità!..... Mi pare che una delle più rare distinzioni che uno si possa concedere sia quella di prendere in mano un mio libro; immagino che, prima, si leverà le scarpe, per non parlare di stivali.....

Quando una volta il dottor Heinrich von Stein si lamentava onestamente con me di non aver capito una parola del mio Zarathustra, [p. 58 modifica]gli dissi ch’era naturale, che averne capito sei proposizioni — cioè averle vissute — innalzava ad un grado dell’umanità più alto di quello cui potevano giungere gli uomini «moderni». Come potevo io, con un tale senso delle distanze, anche semplicemente desiderare d’esser letto dai «moderni» che conosco così bene! Il mio trionfo è precisamente l’opposto di quello di Schopenhauer; io dico «non legor, non legar».

Non ch’io voglia togliere nulla al piacere che mi ha procurato più volte il «candore» con cui furono negate le mie opere. Ancora quest’estate, quando io con il tono serio, troppo serio della mia letteratura minacciavo di soverchiare tutto il resto della letteratura, un professore dell’Università di Berlino mi fece capire, con benevolenza, che dovrei usare un’altra forma: poichè roba come la mia, non la legge nessuno. Ultimamente non fu la Germania, fu la Svizzera a fornire i due casi estremi. Un articolo del dottor V. Widmann su «Al di là del bene e del male», pubblicato nel Bund col titolo: «Il pericoloso libro di Nietzsche», e un resoconto generale su tutte le mie opere pubblicato dal signor Carlo Spitteler, pure nel Bund, rappresentano nella mia vita un massimo..... non voglio dire di che cosa..... Il secondo dei due, per esempio, considerò il mio Zarathustra «un alto esercizio stilistico» esprimendo il desiderio che, per l’avvenire, io pensassi anche al contenuto: il dottor Widmann mi espresse la sua ammirazione per il coraggio con cui m’arrabatto ad abolire tutti i sentimenti onorevoli. Qui, per una piccola malizia del caso, ogni proposizione — con un’esattezza che io ammirai — era una verità capovolta; in fondo, non si aveva da fare altro che «invertire tutti i valori» per colpire nel segno, e con una precisione notevole..... Perciò, tanto più tento una spiegazione.

In fin de’ conti nessuno può intendere dalle cose, libri compresi, più di quello ch’egli sa. Ciò che non si sia inteso perchè s’è vissuto, non si comprende. Immaginiamo un caso estremo: che, cioè, un libro parli di fatti che stanno completamente fuori della possibilità [p. 59 modifica]d’un’esperienza frequente, o anche rara: che esso parli la prima lingua necessaria per una nuova serie d’esperienze. In questo caso non s’intenderà semplicemente nulla, e a ciò s’aggiungerà la falsa illusione acustica per cui si crede che dove non s’intende nulla, non ci sia neppur nulla. Quest’è l’esperienza che ho tratto dalla maggior parte dei casi, ed è questa, se si vuole, l’originalità della mia esperienza. Chi credeva d’aver capito qualche cosa di me s’era formato qualche cosa di me a sua immagine; non di rado, proprio il contrario di quello che io sono: per esempio «un idealista»; chi non aveva capito nulla di me diceva che a dirittura non si doveva tener conto di me. La parola «superuomo» che determina un tipo d’altissima perfezione, in opposizione agli uomini «moderni», agli uomini buoni ai «cristiani» e agli altri nichilisti — una parola che in bocca di Zarathustra, del distruttore della morale, assume un significato molto grave — è stata intesa quasi sempre, con perfetto candore, nel senso di quei valori il cui opposto è affermato nella figura di Zarathustra; cioè ne hanno fatto il tipo «idealistico» d’una specie superiore dell’uomo, mezzo «santo», mezzo «genio»... Altri sapienti cornuti, in causa di questa parola, m’hanno sospettato di darwinismo. Anche del «culto degli eroi» di quel grande falso monetario della scienza e della volontà, che fu il Carlyle, di quel culto da me rigettato con tanta cattiveria, vi è stata trovata traccia. S’io sussurrassi nell’orecchio a qualcuno che farebbe meglio a cercare intorno a sè un Cesare Borgia che un Parsifal, costui non crederebbe alle sue orecchie.

Bisognerà perdonarmi s’io non sono punto curioso dei resoconti che si fanno de’ miei libri, specialmente di quelli fatti dai giornali. I miei amici, i miei editori, lo sanno, e non me ne parlano. Per un caso speciale ebbi sott’occhio tutto ciò che fu perpetrato contro uno solo de’ miei libri: «Al di là del bene e del male»; e potrei raccontarne delle carine. E chi crederebbe che la National Zeitung (un giornale prussiano, sia detto per i miei lettori stranieri: quanto a me, sia detto con sopportazione, non leggo che il Journal des [p. 60 modifica]Dèbats) intese, con tutta serietà, il libro come un «segno dei tempi», come la vera «filosofia della gioventù tedesca», per arrivare alla quale alla Kreuzzeitung non mancava che il coraggio?


2.


Questo valga per i tedeschi: poichè altrove ho da per tutto lettori che sono vere intelligenze scelte, caratteri provati, educati a grandi destini e a grandi doveri; ho anche dei veri genii, fra i miei lettori. A Vienna, a Pietroburgo, a Stoccolma, a Kopenhagen, a Parigi, a Nuova York, da per tutto sono scoperto: non lo sono soltanto nel paese più basso d’Europa, in Germania..... E devo pur confessare che preferisco i miei «non lettori», coloro che non hanno sentito mai nè il mio nome nè la parola «filosofia»; pure, dovunque vado, qui a Torino, per esempio, tutti i volti si rischiarano e si raddolciscono, al vedermi. Ciò che finora mi ha lusingato di più è stato il vedere che delle vecchie rivendugliole non si dànno pace finchè non hanno messo insieme per me i loro più dolci grappoli d’uva. Fino a questo punto bisogna essere filosofi..... Non per nulla i Polacchi sono chiamati gli slavi francesi. Una graziosa russa non sarà un solo momento in dubbio sulla mia natura. Non mi riesce di diventare solenne: al più, arrivo ad essere imbarazzato.....

Pensare tedescamente, sentire tedescamente! Sono capace di tutto, ma questo è superiore alle mie forze..... Il mio antico maestro Ritschl diceva ch’io concepivo anche le mie dissertazioni di filologia come un romanziere parigino: in un modo interessante fino all’assurdo. A Parigi stessa ci si meraviglia di «toutes mes audaces et finesses» — l’espressione è del Taine; — io temo che fin nelle più alte forme del ditirambo si troverà in me traccia di quel sale che non diventa mai scipito — tedesco: dello spirito!..... Io non ci posso nulla. Dio m’aiuti! Amen. [p. 61 modifica]

Tutti sappiamo — e alcuni lo sanno anche per esperienza — che cos’è un animale dalle orecchie lunghe. Ebbene: io non mi perito d’affermare che ho le più piccole orecchie che si possono immaginare. Ciò importa non poco alle donnicciuole: mi pare che si sentano comprese meglio, da me..... Io sono l’antiasino per eccellenza, e perciò, un mostro d’importanza storica: sono, in greco, e non soltanto in greco, l’Anticristo.....


3.


Io conosco, fino a un certo punto, i miei pregi di scrittore; in qualche caso ho visto anche chiaramente fino a che punto l’abitudine alle mie opere «sciupi» il gusto. Si finisce, semplicemente, per non sopportare più altri libri, almeno filosofici. È una distinzione, il poter entrare in questo mondo nobile e delicato; per poterci entrare bisogna non essere tedeschi; è, infine, una distinzione che si deve essersi meritata. Ma chi mi è simile per l’altezza del volere vi prova delle vere estasi dell’imparare: chè io scendo da altezze cui non giunse mai nessun uccello, io conosco degli abissi in cui non s’è ancora sperduto piede umano. Mi hanno detto che è impossibile smettere la lettura d’un mio libro, ch’io turbo anche il riposo della notte..... Non ci sono libri più superbi e, insieme più raffinati dei miei; essi arrivano qua e là al punto più alto cui si possa arrivare: al cinismo; bisogna conquistarseli con dita delicatissime e, insieme, con fortissimi pugni. Tutte le infermità dell’anima ne sono escluse una volta per sempre, compresa ogni sorta di dispepsia: non si devono aver nervi, bisogna avere degli intestini allegri. Non soltanto la povertà e la pesantezza dell’aria d’un’anima tengono lontano dai miei libri, ma anche, e molto di più, l’impurità, il celato desiderio di vendetta che risiede negli intestini: una mia parola basta a far dipingere sul viso tutti i cattivi istinti. [p. 62 modifica]

I miei conoscenti sono per me altrettanti soggetti d’osservazione su cui noto le varie e variamente istruttive reazioni prodotte dalle mie opere. Coloro che non vogliono aver nulla a che fare col loro contenuto, per esempio i miei così detti amici, diventano allora «impersonali»: si congratulano con me perchè sono arrivato ancora una volta «così avanti»; e mi dicono che si nota anche un progresso in una maggiore serenità d’intonazione..... Gli «spiriti» completamente viziosi, le «belle anime», i mentitori convinti, non sanno assolutamente che farsene de’ miei libri; in conseguenza, li stimano come qualcosa che stia al di sotto di loro, è la bella logica di tutte le «belle anime». Le bestie più grosse fra i miei conoscenti tutti tedeschi, sia detto con sopportazione — dànno ad intendere che non si è sempre del mio parere, ma che tuttavia, qua e là..... L’ho sentito dire perfino a proposito del Zarathustra..... Così pure ogni «femminilità» negli uomini, e anche nell’Uomo, è una barriera per giungere a me: non si potrà mai entrare in questo labirinto di audaci cognizioni. Bisogna non essersi mai risparmiati, bisogna avere la durezza fra le nostre abitudini per essere allegri e di buon animo in mezzo a verità veramente dure. Se tento di rappresentarmi il tipo d’un lettore perfetto, ne faccio sempre un mostro di coraggio e di curiosità, con di più qualche cosa di pieghevole, d’astuto, di prudente; un avventuriere e uno scopritore nato. Infine, io non saprei dire perchè veramente io parli, meglio di quello che l’abbia detto Zarathustra: a chi soltanto vorrà egli dire il suo enigma?

«A voi, audaci ricercatori e tentatori, e a chiunque l’imbarcò con vele astute su mari tremendi;

«a voi, ebbri d’enigmi, lieti della mezza luce, la cui anima è attirata, insieme coi flutti, verso ogni gorgo pericoloso;

«chè voi non volete, con mano fiacca, seguire un filo conduttore, e dove potete indovinare, rifuggite dallo spalancar le porte». [p. 63 modifica]


4.


Ancora una parola, in generale, sulla mia arte dello stile. Comunicare uno stato d’animo, una tensione interna del sentimento per mezzo di segni — compreso il «tempo» di questi segni: — ecco che cosa è lo stile; e, poichè la molteplicità degli stati interiori è straordinaria in me, io ho la possibilità di usare molti stili; ho, insomma, la più complessa arte dello stile che mai uomo abbia avuto. Buono è ogni stile che esprime veramente uno stato interiore, che non s’inganna a proposito dei segni, del «tempo» dei segni, degli atteggiamenti; — tutte le leggi del periodo sono un’arte degli atteggiamenti. Qui, il mio istinto è infallibile.

Il bello stile per sè stesso è una pura sciocchezza, semplice «idealismo», qualche cosa come «il bello in sè» o «il buono in sè» o «la cosa in sè»... Premesso sempre che ci sieno orecchie; che ci siano dei capaci e degni d’una identica emozione, che non manchino quelli con cui si possa comunicare. — Il mio Zarathustra, per esempio, sta ancora cercando questi tali.....; ah! avrà ancora molto da cercare! Bisogna essere degni di udirlo..... E, fino a quel momento, non ci sarà nessuno capace di comprendere l’arte che vi è stata sprecata: nessuno mai ha avuto da sprecare tanti procedimenti artistici così nuovi, inauditi, creati veramente per la circostanza. Restava da dimostrare che una cosa simile era possibile soltanto in tedesco: prima, io stesso mi sarei energicamente rifiutato di crederci. Prima di me non si sapeva ciò che si può fare con la lingua tedesca — con una lingua, in generale. L’arte del grande ritmo, il grande stile nel periodare, per esprimere un enorme «crescendo» e «diminuendo» di passione sublime, sovrumana, è stata scoperta appena da me; con un ditirambo com’è l’ultimo del terzo libro del Zarathustra, quello che ha il titolo «I sette suggelli», io volai mille miglia al di sopra di ciò che fino allora si chiamava poesia. [p. 64 modifica]


5.


Che dai miei scritti parli un psicologo che non ha uguali, è forse la prima convinzione cui giunge un buon lettore, un lettore che, come io mi merito, mi legga come i buoni vecchi filologi si leggevano il loro Orazio. Le affermazioni su cui tutti sono d’accordo — per non parlare dei filosofi di tutto il cosmo, dei moralisti, e di altre teste vuote, teste di rapa — risultano dalle mie opere errori prodotti dall’ingenuità: per esempio, la credenza che «altruista» ed «egoista» sieno termini antitetici, mentre l’ego stesso non è che un «supremo inganno», un «ideale». Non ci sono nè azioni egoistiche nè azioni altruistiche: tutti e due i concetti sono, psicologicamente, un controsenso. O la frase «l’uomo tende alla felicità», o la frase «la felicità è il premio della virtù», o la frase «piacere e pena sono in antitesi......». La Circe dell’umanità, la morale ha falsato fondamentalmente tutta la psicologia — l’ha demoralizzata — fino ad arrivare all’orribile non-senso che l’amore debba essere qualche cosa di «non egoistico...». Bisogna essere ben sicuri di sè, ben saldi in gamba, altrimenti non si può assolutamente amare. Le donne lo sanno fin troppo bene: esse non sanno che farsene di uomini disinteressati, di uomini puramente oggettivi.....

E qui, posso osar d’affermare che io conosco le donnine? Ciò fa parte della mia dote dionisiaca. Chi sa? io sono forse il primo psicologo dell’eterno femminino. Mi amano tutte, è una vecchia storia; meno quelle disgraziate, le «emancipate», alle quali manca la stoffa per mettere al mondo figliuoli. Fortunatamente, non penso affatto di lasciarmi sbranare: la donna perfetta sbrana quando ama. Conosco queste amabili Menadi..... Ah! che piccoli animali rapaci, [p. 65 modifica]pericolosi, striscianti, sotterranei!..... e, tuttavia, tanto carini!..... Una donnina che persegue la sua vendetta sarebbe capace di rovesciare anche il destino. — La donna è indicibilmente più cattiva dell’uomo; ed è anche più prudente: la bontà, nella donna, è già una forma di degenerazione.....

In tutte le cosidette «belle anime» c’è sotto un qualche squilibrio fisiologico; non dico di più, altrimenti divento «medicale». La lotta per la parità dei diritti è a dirittura un sintomo di malattia: ogni medico lo sa. La donna, quanto più è donna tanto più si difende con le mani e coi piedi contro i diritti in genere: lo stato di natura, l’eterna guerra tra i sessi le dà di gran lunga il primo posto.

S’è sentita la mia definizione dell’amore? È l’unica degna d’un filosofo. L’amore — nei mezzi è la guerra, nell’essenza l’odio mortale dei sessi. S’è sentita la mia risposta alla domanda come si faccia a curare, a «salvare» una donna? Le si fa fare un figliuolo. La donna ha bisogno di figliuoli, l’uomo è sempre soltanto un mezzo: così parlò Zarathustra. — L’«emancipazione della donna» è l’odio istintivo della donna mancata, cioè incapace di procreare, contro la donna completa: la lotta contro l’uomo è sempre soltanto un mezzo, un pretesto, una mossa tattica. Mentre innalzano sè stesse come «donne in sè», «donne superiori», «donne idealiste» esse tendono ad abbassare il livello medio della donna: non c’è mezzo più sicuro per arrivarvi che l’educazione nei ginnasii, i calzoni, e i diritti politici da bestia elettorale. In fondo, le donne emancipate sono gli anarchici del mondo dell’eterno femminino. Tutta, una categoria «idealismo» della peggiore specie — che del resto, si riscontra anche fra gli uomini, per esempio in Enrico Ibsen, questa tipica figura di zitellona — ha lo scopo di avvelenare la sana coscienza, la natura, nell’amore sessuale.....

E, per non lasciare alcun dubbio sul mio modo di pensare in questo riguardo, altrettanto onesto quanto severo, voglio esporre ancora un articolo del mio codice morale, contro il vizio: con la [p. 66 modifica]parola «vizio» indico ogni specie di cose contro natura o, per chi ama le belle frasi, d’idealismo. L’articolo suona così: «La predicazione della castità è un pubblico eccitamento ad atti contro natura. Il disprezzo della vita sessuale, l’insozzarla col concetto dell’«impurità», sono veri delitti contro la vita, sono un vero peccato contro lo spirito santo della vita».


6.


Per dare un’idea di me come psicologo, prendo un curioso brano psicologico, che si trova in «Al di là del bene e del male»; del resto, non permetto assolutamente che si facciano supposizioni su chi io abbia voluto descrivere.

«Il genio del cuore, come lo possiede quel grande incognito, il dio-tentatore ed accalappiatore delle coscienze, la cui voce sa discendere sino nelle ultime latebre dell’anima, che non dice una parola, che non lancia uno sguardo in cui non ci sia un allettamento, la cui maestria speciale è quella di saper apparire, non ciò ch’egli è, ma ciò che per coloro che lo seguono diviene una costrizione di più per stringersi sempre più attorno a lui, per seguirlo sempre più intimamente e radicalmente..... Il genio del cuore che fa ammutolire tutte le voci alte e vanitose e insegna loro ad ascoltare in silenzio, che spiana le anime ruvide e insegna loro un nuovo desiderio: il desiderio di starsene quieti a giacere, come uno specchio d’acqua, sì che il cielo profondo si rispecchi in esso..... Il genio del cuore che sa trattenere ogni mano goffa e troppo frettolosa insegnandole ad essere più delicata; che sa indovinare il tesoro nascosto e dimenticato, la goccia di bontà e di dolce spiritualità racchiusa sotto la crosta indurita del ghiaccio; ch’è una verga magica per ogni granello d’oro imprigionato a lungo nel fango e nella sabbia..... Il [p. 67 modifica]genio del cuore dal cui contatto ognuno esce più ricco, non beneficato e sorpreso, non felice ed oppresso per aver ottenuto cosa non sua, ma più ricco di sè stesso, ma rinnovato, sbocciato, baciato e compenetrato quasi dal soffio d’uno zeffiro, più tenero, più fragile, più affranto di prima, ma pieno di speranze ancora senza nome, pieno di nuove volontà e di nuove energie, pieno di nuovi sdegni e di nuove reazioni.....».