Dracula/VIII
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CAPITOLO VIII.
Il giornale di Mina.
11 agosto. Le tre del mattino.
Non posso dormire; sono nervosissima. Ma però, quale avventura!
Sonnacchiavo da circa un’ora quando un brusco sussulto mi svegliò. Sfregai un cerino. Che vedo? Il letto di Lucy vuoto. La porta chiusa ma non a chiave. Per non svegliar sua madre, mi vestii senza rumore. Constatai che nessun vestito mancava dal portamantelli di Lucy; il suo accappatoio era lì sul letto. Non può essere lontana, pensai, poich’è in camicia da notte.
Feci la scala a corsa ed esplorai il pianterreno. Nessuno.
La porta d’entrata era aperta. Mi sono avvolta in uno scialle, slanciandomi alla sua ricerca. L’orologio della Mezzaluna suonò la una. Nessuno in vista. Corsi lungo la spiaggia. Ma senza scorgere la forma bianca che spiavo. La luna brillava; discernevo le ruine della Badia, massa scura sul cielo chiaro, e la distesa del cimitero. Là, sul nostro banco favorito, scorsi una figura bianca indistinta e un po’ indietro un’ombra nera; uomo o animale? Non avrei saputo dirlo perchè in quel momento una nube passò davanti la luna.
Scalai i ripidi gradini; mi pareva non finissero più; avevo l’impressione d’essere calzata di piombo. Quando raggiunsi la porta del cimitero, vidi nettamente una lunga forma nera curva verso la mia amica. Spaventata chiamai: «Lucy! Lucy!». Ella non si mosse ma, dietro a lei, due occhi brillanti e rossi mi squadrarono. Spinsi il cancello; per un minuto, la chiesa mi mascherò il gruppo. Quando giunsi accanto a Lucy, la trovai sola.
Dormiva, con le labbra semiaperte, e respirava a fatica, come se le mancasse l’aria. Si portò le mani al collo come per incrociare il bavero d’un mantello. Temetti che non prendesse freddo e le gettai sulle spalle il mio scialletto, che agganciai con uno spillo da balia. La punsi forse senza saperlo? Si portò la mano al collo come se risentisse un dolore. Le calzai le mie scarpe e la svegliai dolcemente. A poco a poco riprese i sensi e non mi parve stupita di vedermi. Cominciò a tremare e mi gettò le braccia al collo. Le spiegai in qual modo fosse lì e perchè bisognasse rientrare subito in casa. Mi seguì docilmente e tornammo senza incontrare anima viva. Per fortuna! Quali storie assurde si sarebbero fatte circolare il dì dopo!
Quando fu a letto e le ebbi rincalzato le coperte, mi pregò di non raccontare a nessuno la sua avventura. Promisi; sua madre è così malata che preferisco non infliggerle un’emozione inutile.
Mezzodì.
Lucy dormiva tanto bene che dovetti svegliarla. E di buon umore. Devo averla stupidamente punta con l’ago poichè ha sul collo due piccole punture rosse e una goccia di sangue sulla camicia da notte.
Nella serata.
Buona giornata. Abbiamo fatto colazione nei boschi di Mullegrave. La signora Westenra era venuta in vettura. Il mio piacere sarebbe stato completo se Jonathan ci avesse accompagnato. Insomma, pazienza! Stassera siamo state al Casino a udire un po’ di musica e ci siamo coricate presto. Lucy sembra più tranquilla che di solito.
Chiuderò la porta a chiave e baderò a che l’incidente della scorsa notte non si riproduca.
12 agosto.
Mi sono sbagliata: due volte stanotte Lucy mi ha svegliata: voleva uscire ma davanti la porta chiusa si è ricoricata, malcontenta.
13 agosto.
Ancora un giorno trascorso. Iersera avevo messo ancora la chiave sotto il mio guanciale. Verso mezzanotte mi sono svegliata, Lucy, seduta sul suo letto, indicava la finestra dormendo. Mi sono alzata senza far rumore e ho sollevato la tenda. C’era un bel chiaro di luna, una gran pace saliva dal mare. Nel cielo, girava un pipistrello enorme. Si avvicinò alla finestra ma, spaventato alla mia vista, fuggì verso la badia. Lucy s’era ricoricata e dormiva pacificamente.
14 agosto.
Trascorso il pomeriggio leggendo sulle dune. A Lucy questo posto piace e duro fatica a ricondurla in casa per le ore dei pasti. Prima di tornare, stassera abbiamo voluto ammirare lo splendido tramonto. Le nubi di porpora incendiavano il cielo e gettavano una luce rosea sul paesaggio. Tacevamo da un momento quando Lucy mormorò come in sogno:
— Quegli occhi rossi, sempre!
Trasalii di sorpresa a quella frase che non aveva senso. Il suo sguardo assente si posava sulla figura straniera d’un uomo seduto sul banco di pietra; gli occhi di quell’uomo nella luce del tramonto brillavano con uno splendore di bragie. Ma l’illusione si dissipò quando si spense il raggio di sole che incendiava le vetrate della chiesa. Feci parte a Lucy di quel fenomeno, ella tornò in sè sussultando. Forse pensava a quella notte orribile di cui non parliamo mai.
Abbiamo camminato in silenzio; Lucy aveva male alla testa; si è coricata all’alzarsi da tavola. Quando la vidi addormentata, andai a fare un giretto verso le rocce.
Pensavo a Jonathan e non ero molto allegra. La notte era uno splendore.
Davanti alla casa, prima di rientrare, lanciai un’occhiata alla finestra di Lucy. Scorsi la mia amica con i gomiti sul davanzale e agitai il mio fazzoletto. Senza dubbio stava spiando il mio ritorno. Ma no: non parve che mi vedesse. Accostandomi, scorsi accanto a lei una vasta ombra nera che pareva quella d’un uccello gigantesco. Feci la scala in tre salti, entrai nella stanza: Lucy dormiva, respirando penosamente, e portava la mano al collo come per proteggerlo dal freddo. La ricopersi bene senza svegliarla e chiusi la finestra. È più pallida del solito.
15 agosto.
Ci siamo alzate più tardi del solito. Lucy è stanca. A colazione, una bella sorpresa: una lettera d’Arturo. Suo padre sta meglio e il matrimonio verrà anticipato. La mia cara Lucy è assai contenta. La signora Westenra mi ha confidato che si rallegrava di vederla affidata ad un protettore; la povera signora sa di non aver molto tempo da vivere: il suo cuore si indebolisce, non ne ha che per pochi mesi...
17 agosto.
Non potei scrivere in questi ultimi giorni; una tristezza pesa sulla casa. Nessuna notizia del mio fidanzato. Non capisco nulla dello stato di Lucy; ha buon appetito eppure s’indebolisce. Non esce più, quando dorme, da quando io nascondo la chiave sotto il mio cuscino; ma ogni notte, così addormentata va ad appoggiarsi al davanzale. La notte scorsa ve la sorpresi; volli svegliarla, era svenuta.
Durai fatica a rianimarla. Si mise a piangere, più debole d’una convalescente. I due punti rossi che porta alla gola, a cagione della mia malaccortezza, non si cicatrizzano; anzi le due piccole piaghe si sono allargate; la carne ne è bianca sugli orli. Se non guariscono fra due giorni consulterò un medico.
18 agosto.
Lucy sta meglio. Ridiventa rosea e me ne rallegro. Siamo andate al vecchio cimitero.
— Che cosa mi è venuto in mente di venire qui quella notte — ha detto ridendo.
— Sognavi di sicuro.
— Può darsi, ma ne conservo un ricordo preciso come una realtà. Ero attirata come da una calamita, ma avevo paura. Mi ricordo d’aver attraversato le strade addormentate ed il ponte: dei cani abbaiarono. M’arrampicai sui gradini della vecchia badia. Poi rivedo un uomo nero dagli occhi rossi: mi si è avvicinato, ho creduto di sprofondare in un’acqua profonda che mi riempiva le orecchie e m’è parso che l’anima si dileguasse. Poi mi sentii scuotere con violenza; eri tu che mi svegliavi.
Rise d’un risolino strano e non insistei.
19 agosto.
Gioia! gioia! gioia! Incompleta tuttavia. Finalmente ho notizie di Jonathan. Il caro amico cadde malato d’una febbre cerebrale a Budapest, all’ospedale delle Suore di San Giuseppe. Ecco perchè non m’ha scritto. Adesso che so, sono rassicurata. Parto stamattina per raggiungere Jonathan, curarlo, guarirlo e ricondurlo. La lettera di Suor Agata mi ha fatto piangere d’emozione e di gioia. Il mio fidanzato ha subito una terribile scossa nervosa. Nel suo delirio ha parlato di lupo e di sangue, ma è in via di guarigione. Gioia! gioia!
Giornale del Dottore Seward.
25 aprile.
Non ho dormito stanotte. Dopo il rifiuto subito da parte della dolce Lucy, sono demoralizzato. Tuttavia, voglio molto bene ad Arturo. La disciplina ed il lavoro mi rimetteranno in carreggiata ma sarà dura. Cerco d’interessarmi ai miei ammalati. Uno di essi sopratutto stimola molto la mia curiosità. È così bizzarro, così diverso dagli altri pazzi! Lo studio in modo particolare.
Oggi l’ho fatto parlare della sua follia, il che di solito evito. Ecco le osservazioni che annotai.
«Renfield, 59 anni, temperamento sanguigno, grande forza fisica, eccitazione morbosa, periodi di depressione, idea fissa che ancora non potei nettamente determinare. Pericoloso.»
5 giugno.
Il caso di Renfield m’interessa sempre più. Quest’uomo ha delle qualità: è discreto, poco egoista e possiede una certa coordinazione d’idee. Par che persegua uno scopo nascosto. Quale?
Ha un amore eccessivo per gli animali, ma che talvolta assume una forma crudele. La sua grande passione è acciuffare le mosche. Ne aveva una quantità tale che dovetti imporgli un alt! Non si è infuriato come m’aspettavo, ma parve riflettere profondamente:
— Datemi tre giorni per farle sparire — ha detto.
Gli ho accordato il permesso: bisogna che l’osservi.
18 giugno.
Adesso fa collezione di ragni che rinchiude entro una scatola. Li nutre con le mosche il cui numero è già diminuito.
1 luglio.
I suoi ragni diventano fastidiosi non meno delle sue mosche. L’ho pregato di sopprimerli. Questa idea parve rattristarlo molto.
Mentr’ero nella sua stanza, una grossa mosca turchina è entrata ronzando. L’ha acciuffata fra il pollice e l’indice, e, prima che potessi prevenire quel gesto, l’ha inghiottita. Siccome l’ho sgridavo, mi ha risposto con dolcezza ch’era un nutrimento eccellente.
— È vita! — ha detto.
Queste parole m’hanno suggerito un’idea che approfondirò.
Si capisce che medita grandi cose perchè prende delle note senza tregua, sopra un piccolo taccuino: la sua follia non è incoerente. Ha addomesticato una rondinella che nutre certo con i suoi ragni.
19 luglio.
Il mio malato adesso ha tutta una colonia di rondinelle e non gli rimangono quasi più nè ragni nè mosche.
È venuto a supplicarmi d’accordargli un gran favore. Con voce balbettante mi ha detto:
— Vorrei un gatto, un bel gattino per giocare con lui e dargli da mangiare.
— Rifletterò, ho risposto.
Aspetterà un pezzo, perchè non auguro alla sua graziosa famigliola di rondinelle la stessa sorte delle mosche e dei ragni.
— Subito? ha chiesto.
— No, più tardi.
M’ha lanciato uno sguardo d’assassino. Quest’uomo dolce in apparenza ha la mania omicida.
le 10 di sera.
Quando l’ho riveduto, mi si è buttato alle ginocchia, supplicandomi di dargli un gatto, come se la sua salvezza dipendesse dalla mia risposta. Ho tenuto duro. Non ha detto niente, ma s’è rincantucciato in fondo alla stanza, rosicchiandosi le unghie per la rabbia.
20 luglio.
Stamane ho cominciato il mio giro da Renfield. Zufolava mentre stava posando sul davanzale alcune zollette di zucchero prelevate dalla sua colazione. Senza dubbio, ne faceva un’esca per le mosche. Gli domandai che avesse fatto degli uccelli, poichè non li vedevo. Rispose, senza voltarsi, ch’erano volati via.
Scoprii sul pavimento alcune piume e sul suo guanciale una goccia di sangue. Non ho insistito; ma ho pregato il guardiano di sorvegliarlo in modo speciale.
le 11 di mattina.
Il guardiano è venuto a dirmi che Renfield è stato molto male e che ha rigettato un pacco di piume.
— Ho una vaga idea — m’ha detto quel bravo uomo — che egli abbia inghiottito i suoi uccelli così bell’e crudi.
le 11 di sera.
Ho fatto prendere un saporifero a Renfield e gli ho sottratto, mentre dormiva, il taccuino di note. Quel che supponevo si conferma. Bisogna classificare il mio cliente in una categoria nuova. E uno zoofago (mangiatore di carne viva). Ammiro l’ingegnosità mercè la quale ha raggiunto il suo scopo. Sul taccuino ha accuratamente annotato il computo delle vite da lui sacrificate.
19 agosto.
Cambiamento repentino nella condotta di Renfield. Iersera verso le otto, si agitò e si mise a fiutar l’aria come un cane che riconosca il passo del padrone. Il guardiano lo interrogò ed il mio malato, così cortese verso quell’uomo, gli rispose brutalmente:
— Non voglio parlare con voi: non esistete per me: io aspetto il Maestro.
Il guardiano lo crede colpito da una nuova forma di mania religiosa.
In tal caso, faremo raddoppiare la sorveglianza; nulla di più pericoloso della mania omicida unita alla mania religiosa. Alle nove, gli feci una visitina. Mi accolse con lo stesso sprezzo testimoniato al guardiano. S’immagina d’essere onnipotente? Fra breve si crederà Dio stesso. Allora, ho finto di non vederlo, benchè continuassi a tenerlo d’occhio. Sedette sulla sponda del letto, con lo sguardo vago. Per sapere se quella indifferenza fosse o no simulata gli parlai de’ suoi favoriti. Dapprima non rispose, poi esclamò con malumore:
— Me ne infischio come della mia prima pantofola!
— Come, feci io meravigliato, non vi piacciono più i ragni?
Al che egli rispose enigmaticamente:
— Le damigelle d’onore rallegrano gli occhi di coloro che aspettano la sposa, ma quando la sposa appare, ella eclissa le sue damigelle d’onore.
Non disse oltre.
Sono stanco, il ricordo di Lucy mi assilla più di quel che vorrei. Se non dormo, prenderò del cloralio. No, non è ragionevole, non voglio abituarmici...
Più tardi.
Ho fatto bene ad astenermene. Le due del mattino erano appena scoccate quando il guardiano corse ad avvertirmi che Renfield era scappato. Infilai i miei vestiti e mi precipitai fuori: il mio malato è troppo pericoloso perchè io lo lasci circolare in libertà. Il custode della sezione mi afferma che dieci minuti prima, dalla spia, vide Renfield sul proprio letto. Il rumore d’una finestra aperta lo mise all’erta. Accorse proprio in tempo per veder sparire il nostro pazzo, in camicia da notte. Fu allora che m’avvertirono. Il custode, che è un gigante, non può passare dalla finestra; ma io che sono sottile potevo seguire quella via. Saltai a terra; la finestra non è che a tre metri dal suolo. Corsi diritto davanti a me e, in fondo al giardino, attraverso un gruppo d’alberi, vidi Renfield dar la scalata al muro che separa il nostro giardino da un parco attiguo, attinente ad un maniero disabitato.
Ritornai all’asilo e diedi l’ordine al guardiano di recarsi con tre uomini sul dominio di Carfax. Abbiamo portato una scala fino al muro ed io mi lasciai scivolare dall’altra parte. Vidi il mio prigioniero slanciarsi verso la cappella; si fermò davanti la porta e scambiò alcune parole con qualcuno che si trovava al di là di essa. Non osai accostarmi per timore di farlo fuggire, ma potei udire queste parole:
— Sono venuto alla vostra chiamata, o Maestro, sono il Vostro schiavo e vi servirò fedelmente. E molto tempo che io Vi adoro, e spero mi vorrete ricompensare nella stessa guisa.
I miei uomini gli si gettarono addosso; egli si dibattè come una tigre; questo uomo sembra una belva più che un essere umano. Non ho mai veduto in nessun pazzo un tale parossismo di rabbia. Al presente, è al sicuro; gli hanno messo la camicia di forza, legandolo al muro con catene.
Lancia grida orribili.
Poco a poco si calma e dice:
— Sarò paziente, Maestro, l’ora verrà, l’ora verrà.
20 agosto.
Il caso di Renfield diventa sempre più interessante. Per una settimana parve un forsennato; poi, una sera, mentre la luna sorgeva, si calmò di botto, mormorando:
«Adesso, posso aspettare.»
Che spera? Ho dato l’ordine al guardiano di slegarlo. I guardiani esitavano. Il pazzo s’accorse della loro diffidenza e non appena libero si accostò a me mormorandomi all’orecchio:
— E dire che si figurano che io possa mai farvi del male, a voi!
Vede in me un amico oppure vuol lusingarmi per ottenere un favore? Cerco invano di farlo parlare; nulla lo tenta, neppure l’offerta d’un gatto.
Ha passato una notte pacifica, ma fin dall’alba ha ricominciato ad agitarsi mettendosi in uno stato di furore tale che una specie di coma ne conseguì.
. . . Ecco tre notti che lo stesso fenomeno si riproduce: violenza pazzesca per tutto il giorno, poi calma perfetta dal sorger della luna al sorger del sole. Non ne capisco nulla. Obbedisce a un’influenza astrale?
Voglio tendergli un tranello. Stassera, gli verrà lasciata la possibilità d’evadere; se ne approfitta, i miei uomini lo seguiranno; sapremo così ciò che medita.
23 agosto.
Renfield ha preferito non evadere dalla finestra lasciata aperta a bella posta; ma quando il guardiano andò come ogni sera a visitare la sua cella, gli diè uno spintone e infilò il corridoio. Subito avvertito, ho radunato alcuni guardiani e l’abbiamo inseguito. Come l’altra volta, l’abbiamo raggiunto nel maniero deserto; s’appoggiava alla porta della vecchia cappella. Vedendomi, entrò in furore, e se i guardiani non l’avessero afferrato m’avrebbe fatto un brutto scherzo. A un tratto alzò la testa calmandosi istantaneamente. Seguii il suo sguardo e non vidi nulla di strano, tranne un grande pipistrello che fuggiva verso l’ovest.
— Non val la pena di tenermi, mi ha detto, acconsento a seguirvi.
Infatti, siamo rientrati senza incidenti; ma la sua calma m’inquieta più del suo furore.