Dopo le nozze/L'ultimo capitolo

L’ultimo capitolo

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L'età ingrata

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L’ULTIMO CAPITOLO

(dai ricordi d’una vecchia)


Quando leggerete queste pagine vi sembrerà di vedere la vostra nonna seduta nel suo solito cantuccio, appoggiata ad un tavolino, coi capelli bianchi gli indispensabili occhiali.

Ma dovete sapere che la nonna non è sempre stata immobile a quel posto, e forse ve la rammentate ancora, quando era in continuo movimento e correva di qua, di là per la casa onde vedere che tutto andasse in perfetto ordine. [p. 208 modifica]

Ora è da cinque anni condannata al suo eterno seggiolone, e vi so dir io che, quando s’accorse d’aver le gambe paralizzate e di non poter reggersi in piedi, quantunque si mostrasse serena e sorridente per non affliggere quelli che la circondavano, provò un dolore così forte che appena fu lasciata sola pianse come una bimba, e pregò il Signore che la facesse morire piuttosto di tenerla al mondo come un oggetto inutile ed essere soltanto di noia ed impiccio agli altri. Ma il Signore non volle ascoltarla ed essa dovette rassegnarsi alla sua sorte, anzi il suo male non fu senza conforto perchè la sua infermità le fece apprezzare le cure dei suoi amici e conoscenti, che venivano tutto il giorno a tenerle compagnia, tanto che divenne il punto centrico, intorno al quale si aggruppavano, s’incontravano e restavano insieme a conversare una quantità di persone, ed essa immobile nel suo cantuccio ascoltava le notizie del giorno, i pettegolezzi della città, e qualche volta, attraverso i suoi occhiali, vedeva accanto [p. 209 modifica] a lei principiare o svolgersi qualche romanzetto di cui col suo acume e colla sua esperienza ne indovinava la soluzione. Così se era stata costretta ad abbandonare la società, questa veniva, a trovarla nella sua stanza, e finalmente quando era sola per non provar mai un minuto di noia, aveva sempre qualche libro interessante o qualche lavoruccio alla portata delle sue mani.

Ma la più gran festa per la nonna era quando irrompevano nella stanza le sue due nipoti, e venivano a portarle un alito di gioventù e d’allegria. Dora, la maggiore, era maritata da pochi mesi, e quando poteva veniva a vedere la sua nonnina. Amelia era ancora in casa, e tutt’e due formavano la mia consolazione, perchè dovete sapere che la nonnina ero proprio io. — E quando le vedevo lì davanti a me fresche come due rose appena sbocciate, le ore mi passavano in un lampo. Io m’interessavo a tutti i loro discorsi e mi pareva di ringiovanire colla loro compagnia.

Esse, qualche volta, si burlavano di me [p. 210 modifica] e davano in fragorose risate, quando cercavo gli occhiali dappertutto, ed invece li avevo sotto il naso, oppure quando raccontavo come nuova una storiella che avevo già narrata pochi giorni prima; ma non me ne offendevo, ero certa che mi volevano bene e non ci mettevano alcuna malizia, ma ridevano solo perchè la gioventù ha bisogno di ridere, come gli uccelletti di cantare e lo farfalle di volare.

Io le amavo come non avevo mai amato i miei figli, e la mia gioia era di appagare tutti i loro desiderii.

Mio figlio, il loro babbo, mi diceva spesso:

— Bada, mamma, finirai per guastare le mie figliuole; a questo mondo non possono sempre avere quello che desiderano, e bisogna che s’avvezzino a qualche privazione.

— Non ho coraggio di rifiutar loro nulla, — rispondevo io, — e poi, è appunto perchè nel mondo non la può sempre andar a seconda dei propri desiderii, che penso di renderle contente fino che posso; è tanto [p. 211 modifica] di guadagnato, e poi al caso sono così buone che s’adatteranno alle circostanze.

Il mio sistema non era giusto, ma nel mio cuore speravo che le mie nipoti dovessero esser sempre felici.

Quando venivano nella mia stanza ero felice perchè le vedevo sempre allegre e contente; però un giorno m’accorsi che la loro allegria non era spontanea come al solito, mi parve di sentir Dora sospirare, e di vedere negli occhietti d’Amelia traccie di lagrime sparse di recente.

Quando Dora rimase sola con me le chiesi se era felice con suo marito.

— Felicissima, — mi rispose.

Le domandai se era buono, se le dava nessun dispiacere, e tante altre cose, alle quali mi rispose con una filza di superlativi, dicendomi che era buonissimo, amorosissimo, e così via.

— Non sono persuasa di quello che mi dici, — io soggiursi.

— Perchè?

— Perchè, se tu mi avessi accennato a [p. 212 modifica] qualche piccolo difetto, a qualche punto nero nel carattere di tuo marito, potrei credere anche alle sue buone qualità; ma visto che un uomo così perfetto al mondo non ci può essere, non ti credo sincera.

— Non ho detto che sia il tipo della perfezione, ma a me mi par tale, e, sai bene, l’affetto rende ciechi.

— Sarà, ma mi nascondi qualche cosa; a ventidue anni non si sospira senza una ragione.

Dora cambiò discorso e per quel giorno non seppi nulla. Tentai di domandare ad Amelia la ragione dei suoi occhietti rossi, ma mi disse che era raffreddata e scappò via.

Io sentivo nell’aria qualche cosa che faceva dispiacere alle mie nipotine, e siccome non mi volevano dir nulla, questo mistero mi faceva soffrire assai più dell’infermità che mi teneva inchiodata sulla poltrona.

Quantunque la mia vista non fosse molto buona, pure non mi sfuggiva nulla, e osservai che Dora, la quale da ragazza ci [p. 213 modifica] teneva molto all’eleganza dell’abbigliamento e s’occupava forse un po’ troppo del figurino della moda, dopo maritata non s’era più fatto un vestito nuovo e non l’avevo mai sentita parlare di mode; anzi vestiva fin troppo dimessa.

Un giorno le manifestai questa mia osservazione.

— Ora, — mi rispose, — non bado più a quelle frivolezze, sono divenuta una donna seria.

Guardai il suo visetto fresco di ventidue anni e sorrisi.

— Ti pare impossibile, — soggiunse, — ma pure è così; però, già che si tratta di farti piacere, mi farò presto un vestito nuovo. Va bene, nonnina?

— Per me mi piaci in tutti i modi, e non ci tengo che tu t’abbia a fare dei vestiti se non ne hai voglia, ma è che non so spiegarmi certi cambiamenti repentini.

Intanto venne qualcheduno, e così anche questa volta il nostro discorso rimase interrotto. Un giorno però fui certa che le mie nipoti avevano qualche dispiacere. [p. 214 modifica]

Era una giornata di primavera, ed io avevo aperto la finestra per respirare l’aria profumata che veniva dal giardino.

Pare che anche le mie nipotino fossero state invitate dall’aria tepida e primaverile a scendere nel giardino perchè le udii proprio sotto la mia finestra fare il seguente dialogo.

— Via, calmati, — diceva Dora ad Amelia, — lo sai che alla nonna non sfugge nulla, e se poi ti vede cogli occhi rossi te ne chiederà la ragione.

— Povera nonnina, — disse Amelia, — lei che non vive che delle nostre gioie, non ci mancherebbe altro che ci sapesse infelici.

— Eppure ci sarebbe di tanto sollievo confidarci con lei! — disse Dora; — ma no, no, vediamo che non scopra nulla; è abbastanza infelice colla sua malattia, non dobbiamo rattristarla di più.

Intanto le voci si allontanarono e non udii più nulla, ma sapevo abbastanza ed ero decisa di voler saper tutto. A Dora era [p. 215 modifica] inutile parlare; la sapevo sempre presente a sè stessa e non si sarebbe tradita; dunque dovevo fare il possibile di far parlare l’Amelia, che era di carattere più espansivo, e una volta sulla via delle confidenze m’avrebbe detto tutto.

Appena entrò nella mia stanza, le dissi:

— È inutile che tu voglia infingerti, so tutto, so che bai qualche cosa che t’affligge e a me lo vuoi nascondere; bo udito quello che bai detto a Dora nel giardino; dunque se mi vuoi bene e se non vuoi farmi inquietare inutilmente, devi raccontar tutto dall’a alla zetta.

— Ma se ti dico che non bo nulla, oppure sono inezie che non vale nemmeno la pena di parlarne; forse le parlavo del cappellino nuovo che non m’è andato bene, non mi ricordo di cosa le parlavo.

— Tu non sei sincera, — diss’io, prendendola sulle mie ginocchia; — andiamo dunque, su quella testolina perch’io veda se dici la verità; non bo buoni occhi, ma pure arrivo a vederti qui dentro nel tuo [p. 216 modifica] cuoricino, e vedo che c’è qualcheduno che non ti dispiace e che questo tale non ti vuol bene.

— Non è vero, — disse l’Amelia con impeto, — anzi me ne vuole tanto tanto.

— E allora c’è qualcheduno che si oppone al tuo matrimonio.

Amelia, col volto tutto infiammato, fece cenno di sì.

— E questo tale che si oppone è il babbo?

Amelia ritornò ad assentire col capo.

— Dunque narrami tutto.

Ed essa colle lagrime agli occhi, interrompendosi spesso dai singhiozzi, mi raccontò come si fosse incontrata in società con un giovinotto amabile, compito, che faceva l’ingegnere, come lo avesse poi riveduto in chiesa, al passeggio, dappertutto dove andava lei, e finalmente una volta le aveva detto che le voleva tanto bene, che avrebbe voluto sposarla; ma il babbo quando avea saputo questo, avea dichiarato che non le permetterebbe mai di sposare un giovane che non avea niente al mondo altro che la sua professione. [p. 217 modifica]

— E senti, nonnina, — soggiungeva piangendo, — pazienza se il "babbo m’avesse detto che era un birbone, un cattivo soggetto, che avesse fatte delle cose disoneste! Non l’avrei creduto, vedi, perché ciò mi sarebbe parso impossibile con quella faccia aperta e sincera, pure mi sarei rassegnata e non avrei parlato più; ma dirmi che non era ricco! Non è poi una colpa non esser ricchi e quando mi contento io, mi pare... non è vero, nonnina, che bo ragione?

E sì dicendo mi bagnava il volto colle sue lagrime e i suoi baci.

Quella povera fanciulla mi faceva proprio compassione.

— Ma bisogna vedere, — dissi io; — alla tua età si pensa col cuore invece che colla testa e si fanno cose delle quali poi ci si pente; intanto tu devi esser calma ed affidarti interamente al babbo ed un pochino anche a me, che sai non possiamo volere che la tua felicità; io procurerò di aver notizie di questo giovanotto e puoi credere se m’adoprerò per vederti contenta, ma se [p. 218 modifica] poi noi troviamo che non è partito per te, devi rassegnarti e non pensarci più.

— È perchè il babbo dice che vuole farmi sposare un ricco, un possidente come Dora.

— Ma, a proposito di Dora, — dissi io, — deve avere anche lei qualche dispiacere.

— Non so nulla, — rispose Amelia, — non m’ha detto nulla.

— Ora ritorni da capo ad ingannarmi; sai benissimo ciò che rende infelice tua sorella e non me lo vuoi dire.

— E tu chiedilo a lei, io non c’entro.

Sì dicendo mi lasciò sola.

Da Dora non potei ricavar nulla, ma per una strana combinazione venni a scoprire ugualmente il suo secreto.

Io all’epoca delle sue nozze le avevo regalato un filo di perle d’una rara grossezza; era un ricordo di famiglia che desideravo non uscisse dalla nostra casa. Però mi rincresceva di non aver un dono simile da poter fare ad Amelia, che pure occupava nel mio cuore l’identico posto di sua [p. 219 modifica] sorella, onde prima di privarmi delle perle, le mostrai ad un gioielliere, pregandolo di procurarmene un filo per quanto fosse possibile rassomigliante al mio, appena gliene capitasse l’occasione, essendo mia intenzione di serbarlo per il matrimonio della mia seconda nipote.

Ora appunto in quei giorni ch’io ero ansiosa di sapere la causa della tristezza di Dora, il gioielliere mi mandò un filo di perle ch’ei diceva identiche alle mie, ma ch’io conobbi essere precisamente quelle che avevo regalato a Dora.

Il negoziante poteva ingannarsi, ma io no certo, che avevo portato tante volte quelle perle intorno al collo, erano state le compagne de’ miei giorni più belli o le conoscevo una per una. Non c’era alcun dubbio. Dora le aveva vendute, e per giungere al punto di doversi privare d’un oggetto di famiglia e d’un ricordo della nonna doveva aver sostenuto una crudele battaglia.

Io non sono mai stata buona di perdermi [p. 220 modifica] in inutili circonlocuzioni e sono sempre andata diritta al mio fine, sicché quando venne Dora le dissi ciò che mi era noto, e che desideravo sapere la causa dei suoi dispiaceri, perchè io mi sarei forse immaginata i fatti peggio di quello che erano in realtà.

Vedendo che era inutile negare l’evidenza, mi raccontò che aveva venduto le perle perchè suo marito era tanto tanto avaro e non le lasciava mai un centesimo, nemmeno per comperarsi le cose più necessarie. A lei ciò non importava gran fatto, ma aveva veduto che anch’io m’ero accorta del suo vestire dimesso, e aveva deciso di sacrificare le perle per acquistarsi degli oggetti più necessari. — Tanto — soggiunse — a feste non mi vuole condurre, e per me sono cose inutili.

Essa mi pregò di non dir nulla a suo marito, ma io invece, appena fui sola, gli scrissi subito due righe per pregarlo di venire da me. Quantunque non vedessi Alberto molto spesso, pure m’avea sempre [p. 221 modifica] trattata con rispetto ed anche con una certa confidenza, sicché appena ricevuto il mio viglietto, venne subito senza farsi aspettare.

Non gli dissi d’aver parlato con Dora, soltanto gli narrai la scoperta fatta a proposito delle perle, e lo rimproverai di trattare la moglie in modo da costringerla a vendere un ricordo di famiglia.

Egli si mostrò molto mortificato di questo fatto, e mi confessò che la sua unica colpa era di non esser ricco come tutti lo credevano e come l’aveva creduto anche mio figlio, ch’egli avea, è vero, delle campagne ma gravate di debiti, che prima non aveva avuto il coraggio di dirlo a mio figlio per timore che non gli accordasse la mano di Dora, amandola più di sé stesso, e poi non aveva avuto il coraggio di svelarlo alla moglie per tema di affliggerla troppo; e così volendo darsi ad una assoluta economia per riuscire a pagare i suoi debiti e a liberare le sue possessioni _ dalle ipoteche, figurava d’essere avaro; si [p. 222 modifica] mostrava molto dispiacente che Dora fosse giunta al punto di privarsi dei suoi gioielli e mi prometteva di farle condurre un’esistenza più brillante appena gli fosse stato possibile.

Io lo rimproverai e gli dissi che avrebbe dovuto dir tutto alla moglie, che non era poi una ragazza tanto frivola da non sapersi adattare alle circostanze, e se esser poveri è una sventura, essere avari è una colpa, e ch’egli col preferire di mostrarsi sotto l’aspetto peggiore correva il rischio di perdere anche l’affetto della moglie.

Le mie parole lo persuasero e si risolse di dir tutto a Dora.

— Poveretta, — disse, — mi rincresce toglierle l’illusione d’esser ricca, e farle il quadro d’un avvenire pieno di privazioni, almeno per il momento.

— Non abbiate paura, vedrete che non udrete da lei un lamento; le mie nipoti sono così, s’inquietano per cose da nulla, ma quando debbono esser forti sanno esserlo davvero. [p. 223 modifica]

Credevo di aver fatto troppo a fidanza col coraggio di Dora, ma fortunatamente non m’ingannai. Quando venne la sera a vedermi era raggiante di contentezza. Finalmente comprendeva suo marito, aveva rimorso d’aver dubitato di lui, d’averlo creduto cattivo, mentre invece non era stato che ingannato da quelli che gli avevano amministrata la sua sostanza, e per il momento si trovava in cattive acque, ma coll’ordine e l’economia sperava di porvi riparo e in poco tempo. Ora anche lei avrebbe cooperato con tutte le sue forze per vivere parcamente, anzi avea offerto al marito le cinque mila lire ricavate dalla vendita della famosa collana di perle e colle quali volea comperarsi degli abbigliamenti. Poi facea dei progetti di andar a vivere in campagna per qualche tempo, di diminuire il numero delle persone di servizio; in somma si mostrava una donna veramente di senno.

E suo marito le avea detto ch’era un angelo e che non avrebbe mai creduto che in una personcina tanto snella e delicata [p. 224 modifica] ci fosse il cuore d’un’eroina; ed essa era tutta orgogliosa degli elogi di suo marito, e non si era mai trovata tanto felice come in quel giorno.

Anch’io ero tutta lieta di ritrovare alfine la mia Dora allegra e contenta come quando era fanciulla, e avendo a cuore anche la felicità di Amelia, dissi a mio figlio:

— Vedi che non è proprio la ricchezza quella che forma la felicità, e potresti acconsentire al matrimonio di Amelia col suo ingegnere; io mi sono informata ed ho saputo che è un giovane a modo, e se non è ricco guadagna colla sua professione tanto da poter vivere agiatamente colla famiglia.

— Voi donne siete tutte romantiche ad un modo, — disse mio figlio; — però, visto che si può essere ingannati e credere ricco anche chi non lo è, fate pure voi che io me ne lavo le mani.

Era rimasto indispettito d’aver preso un granchio riguardo al matrimonio di Dora, e non volea impicciarsi più in simili faccende. [p. 225 modifica]

Una volta che lasciava a me il pensiero di tutto, ve lo potete bene immaginare, il matrimonio fu combinato in pochi giorni e rividi il sorriso spuntare anche sul volto d’Amelia.

A Dora dissi che per punirla di non aver avuto confidenza nella sua nonna, la collana di perle l’avrei regalata alla sorella.

Ed essa mi rispose che non la vorrebbe nemmeno, perchè col venderla avea comperata la sua felicità, quantunque riconosceva di doverla in gran parte all’influenza della sua nonna.

L’Amelia poi non fa che saltarmi al collo e dirmi che se non ci fossi stata io sarebbe morta di dolore.

Ed io sono felice ed orgogliosa d’aver potuto ancora, vecchia ed inferma, far ritornare il sorriso sul volto delle mie nipotine e la pace nella famiglia.

Ed ora la nonnina continuerà ancora a star immobile nel suo cantuccio, a vivere della felicità delle sue nipoti; sente che le [p. 226 modifica] forze le mancano, e che questo è l’ultimo capitolo delle sue memorie, e forse l’ultimo della sua vita, ma non desidera più di morire, perchè ha conosciuto per prova che fino che si è al mondo si può sempre esser utili e fare un po’ di bene.

FINE.