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Ubi bene, (o libertas) ibi patria: lat., dove si sta bene, quivi è la patria. Sentenza che si può dedurre da moltissimi passi di autori antichi. NB. Inutile avvertire che quasi tutti questi motti latini sono comuni alle lingue culte d’Europa, e qui si riportano soltanto per necessario compimento dell’opera.

Ubicazione: «dicono nel loro gergo i curiali per determinazione del sito di una casa, etc., nè fuori di essi alcuno se ne giova», così il Rigutini; vero è che questa voce pedantesca (dell’avverbio latio ubi = dove) si estende oltre il linguaggio dei legali.

Ubi consistam: lat., dove io mi appoggi, cioè il fulcro o punto d’appoggio della leva. Archimede ove gli fosse stato dato un punto d’appoggio, ne deduceva in astratto di poter con la leva smuovere il mondo. Ricorre questa locuzione latina per indicare fondamento, base morale. Es. «Un mondo si sfascia intorno a noi e invano cerchiamo l’ubi consistam, per edificarne uno nuovo».

Ubi maior minor cessat: lat., dove è il maggiore (di più autorità), quivi cessa il potere del minore: dicesi per significare la legge della naturale gerarchia; ovvero intendesi nel senso, il più comprende ed oscura il meno.

Ubi Petrus, ibi Ecclesia: dove è Pietro (il Pontefice), quivi è la Chiesa, sentenza attribuita a S. Ambrogio e ripetuta come dogma per significare, in opposizione agli scismi, che non esiste vera cristianità se non congiunta al suo capo, cioè il Pontefice. Cfr. Dante, Par., V, 76:

          Avete il vecchio e il nuovo testamento,
          E il pastor della Chiesa che vi guida

e il motto evangelico: Tu es Petrus et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam.

Uccel di bosco: dicesi per estensione familiare di chi, commesso alcun crimine, evita con la fuga o standosi occulto di rendere conto delle sue opere e divenire probabilmente uccel di gabbia.

Uccello: V. Appendice, e il Boccaccio, Decameron, novella quarta della giornata quinta: Ricciardo Manardi è trovato da Messer Lizio da Valbona con la figliuola, etc. V. anche il Batacchi.

Uccello di malaugurio: antica locuzione, viva tuttora e verosimilmente dedotta dall’antica scienza augurale dei romani, per la quale alcuni uccelli erano presagio di bene, altri di male: profeta di sventura. Cfr. Omero, Iliade, libro I, 106: [testo greco], e lo scongiuro nostro, crepi l’astrologo.

Uffici: nel linguaggio parlamentare sono dette uffici certe commissioni di deputati, eletti a sorte per ogni legislazione, i quali studiano una questione prima che essa sia sottoposta alla discussione dall’assemblea.

Ufficiare: per informare ufficialmente, sollecitare, ossequiare, pregare, etc., è neologismo degli uffici, ripreso dai puristi, sancito dall’uso.

Ufficio: nella locuzione burocratica d’ufficio (es. gli ho scritto d’ufficio) per ufficialmente, per lettera d’ufficio, riprendesi dai puristi. [p. 537 modifica]

Ufficioso: giornale ufficioso, notizia ufficiosa si dice nel linguaggio della politica di notizia o di giornale che abbia attinenza, relazione con il Governo; che ne sia l’espressione, ne segua le idee e i criteri, ne abbia indiretta ispirazione e simili: Ufficiale, invece, che parte direttamente dal governo. Es. Bollettino ufficiale, Notizia ufficiale.

Ukase: scrittura francese di parola russa, che vale indicazione, ordinanza. Editto dello Tzar. Presso di noi ogni decreto o legge del Governo o di altra autorità, che abbia carattere di subitaneità e un tantino di violenza, si dice, e qualche volta anche un po’ per celia, ukase.

Ulema: voce turca, vale dottore della legge presso quel popolo.

Ulster: cappotto d’inverno, lungo, a sacco, con cintura dietro, a due petti e mantellina staccabile: specie di cappotto militare: oggi alquanto disusato. Voce della moda, francese e inglese. Tale pastrano è così detto perchè originariamente di lana della provincia di Ulster in Irlanda.

Ulteriore ed ulteriormente: per altro, secondo, in appresso (es. avviso ulteriore), si riprendono dai puristi (fr. ultérieur, ultérieurement).

Ultima ratio: lat., l’ultimo (e più valido) argomento è quello della violenza, cioè il diritto della forza. Spesso è perifrasi per indicare il cannone, argomento altrettanto eloquente e persuasivo quanto inumano. Dell’origine del motto, ultima razon de Reyes, ultima ratio regum, scolpito sui cannoni di Luigi XIV e di Federico di Prussia, V. Fumagalli (op. cit.).

Ultima Thule: Thule chiamarono gli antichi geografi un’isola — non ben nota — a settentrione della Britannia: confine del mondo. Ultima Thule ricorre in Seneca (Medea) ed in Vergilio (Georg. I, 30). Dicesi oggi in senso morale: limito estremo a cui si può giungere.

Ultimatum: (lat. ultimus), dichiarazione perentoria finale di condizioni irrevocabili, che pone fine allo trattative e si notifica alla parte interessata. Sinonimo di dichiarazione di guerra.

Ultimo avanzo | d’una stirpe infelice: così Edgardo parla di sè nella tragedia lirica Lucia di Lammermoor, III, 7. Dicesi talora e familiarmente per lepore: l’ultima lira del borsellino, ad esempio.

Ultra: lat. ultra = al di là, oltre. Prefisso accolto nelle varie lingue culte per comporre molte voci che indicano eccesso, fuor del comune. Es. ultra-realista, ultra-ponente.

Ultramontano: fr. ultramontain, nome usato generalmente al plurale per indicare il partito clericale, gesuita, intransigente, ben diverso dal guelfismo nostro italico. Il nome venne di moda in Francia al tempo della monarchia di Luigi Filippo d’Orléans per indicare coloro i quali riconoscendo unica autorità assoluta quella del Papa, non ubbidivano, non si uniformavano che alla voce che veniva di là dai monti, cioè da Roma, onde il nome.

Umanitario: dal fr. humanitaire, detto di filosofo od economista che si studia di migliorare le umane sorti o che ha per religione l’umanità. È parola ripresa dai puristi anche pel senso, «come una di quelle vesciche che paiono gravide di grandi sensi e sono invece piene di vento». Lo so, ma chi ignora che le vesciche ben gonfie tengono a galla la barcaccia della vita sociale? È voce oramai necessaria, ed umano ha altro senso.

Umanizzare: per rendere umano, conforme all’umana natura (es. latte umanizzato) è il fr. humaniser. È vero, c’è il verbo nostro umanare, che si dice specialmente di Cristo che rivestì umana natura, e si sarebbe potuto estendere questa forma agli altri sensi. Invece è avvenuto il solito caso: la voce nostra è rimasta letteraria e, per l’uso, si chiamò in servizio la voce francese.

Umiliare una domanda: locuzione degli uffici che contiene una «improprietà con viltà» (Tommaseo) Presentare, rispettosamente o, se si vuole, umilmente una domanda mi pare che basti.

Umorista o umoristico: (V. Humour) nel senso che dà il popolo nostro a questa parola, vale comico, per ridere, lepido. Es. giornale umoristico quello che contiene motti e corbellerie da ridere. Inutile [p. 538 modifica]osservare come tale senso non corrisponda al valore storico e letterario della parola (humour) se non in piccolissima parte e nella parte parvente. Se ne potrebbe trarre argomento di prova come nel popolo Italiano non sia sviluppato il senso dell’humour.

Una salus victis nullam sperare salutem: famoso verso di Vergilio (Eneide, II, 353) divenuto popolare: i vinti hanno una sola via di salvezza, disperare di ogni salvezza, quindi combattere sino alla morte.

Uncle Sam: ingl., il cittadino degli Stati Uniti: scherzosa spiegazione delle iniziali U. S. Vedi Onde Sam.

Undici mila vergini (S. Orsola e le sue): ricorre talora, e di solito in senso faceto, questa locuzione la quale deve sembrare ad ognuno iperbolica: essa è dovuta ad un errore d’interpretazione. S. Orsola fu uccisa in un convento presso Colonia con sole undici compagne verso l’anno 453, durante un’invasione di Unni. Se ne conservò il ricordo con l’iscrizione: Ursula et XI M V (Orsola e undici martiri vergini), i nomi delle quali sono registrati nelle cronache di S. Trudone. Qualcuno cominciò a leggere Orsola e le undici mila vergini, e l’assurdo diventò locuzione. (Almeno così si spiega, e la spiegazione ha sembianza di vero). In un epigramma del Pananti si racconta di un tale che giunse stracco ed affamato alla cura di un prete. Il quale, per primo ospizio, lo condusse in chiesa e ad ogni santo cominciò a recitare preghiere e trovava i nomi dei santi più peregrini. Come in fine, compiute le orazioni, l’ospite fu in cucina, disse alla serva:

          Che con le undici mila nominasse
          Sant’Orsola, e che più non terminasse,
          Ho avuto pur la gran paura, o Lena;
          Se accadea questo caso, addio la cena.

Unguibus et rostris: lat., con le unghie e coi rostri, cioè con ogni mezzo.

Unicuique suum: a ciascuno il suo, motto latino dedotto popolarmente dall’antica sapienza. Justitia suum cuique distribuit. Justitia est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuens.

Un’idea al giorno: parole enfaticamente francesi del giornalista Emilio De Girardin (29 feb. 1848): une idée au jour. Si suole dire per indicare il nuovo che è necessario per attrarre il publico al giornale. V. Fumagalli (op. cit.).

Unilaterale: termine giuridico, spesso usato per indicare chi non comprende o considera che un solo lato della questione (lat. unum = unico e latus = lato, fianco).

Unità (le tre): le tre famose unità aristoteliche (di tempo di luogo e d’azione) che debbono essere osservate nel dramma, cioè che una deve essere l’azione, una la scena, uno il tempo, cioè un giorno. Le unità di azione e di tempo sono in Aristotele (Poetica, cap. VIII, IX, XVIII e cap. V). La unità di luogo fu dedotta dai francesi sul modello della tragedia ellenica.

Unità: nel gergo militare vale unità tattica, corpo autonomo ne’ movimenti belligeri, quindi unità vale nave da guerra.

Unitarismo: astratto di unitario: in fr. c’è unitarisme e unitarianisme, ingl. unitarianism: termine filosofico equivalente a monismo, nome di setta cristiana.

Università Popolare: noto istituto moderno di cultura popolare, sorto da pochi anni in Italia (la prima Università di tal genere fu quella di Torino nel 1899) per imitazione di scuole consimili inglesi e francesi. Queste università, parte sono aggregate alle Camere di Lavoro, parte a società operaie, altre sono autonome. Della improprietà del nome «università», dell’incertezza del come intendere questa parola «popolare», dell’abuso delle così dette conferenze, non è qui il luogo di discorrere, trattandosi di istituti in via di formazione e di esperimento.

Uno avulso non deficit alter: lat. strappato il primo, non manca il secondo, e si dice in vario senso, per lo più. lepido. Emistichio Vergiliano, Eneide VI, 143.

Un piatto di buon viso o di buona ciera: antica locuzione nostra: vale modesta ospitalità, povera tavola, ma piena di affetto e di cuore. V. Promessi Sposi, cap. XXIX. Devono scusare la mia povera tavola alla buona: ci sarà un piatto di buon viso.

Unskilled: voce inglese: dicesi di operaio che non ha bisogno di perizia tecnica [p. 539 modifica]e di studio per esercitare il suo mestiere. Es. un conduttore di tram, un badilante, opposto di skilled. V. questa voce.

Untorello: questa parola per il Manzoni (Promessi Sposi) ha acquistato nuovo ed arguto senso. Untori erano reputati nel generale terrore della peste che infierì in Milano nel 1628 coloro che per maleficio spargevano veleni. Ora Renzo come entra in Milano per trovare Lucia, è preso per un untore: salvasi dal furore del popolo su di un carro di appestati. Ma i monatti del carro, i quali hanno più esperienza del male, capiscono dall’aspetto e dal contegno che Renzo da essi salvato, è un pò ver’uomo e non ha stoffa per essere untore, e quando egli si accomiata ringraziando dell’aiuto, un monatto gli dice con ispregio: «Va, va, povero untorello, non sarai tu quello che spianti Milano». Cap. XXXIV, in fine. Dicesi, dunque, untorello per significare con ispregio e ridicolo il poco valore e il nullo effetto dell’opera di taluno che con molto apparato e iattanza tende a qualche impresa (di propaganda o di agitare la pubblica opinione), insomma indica la sproporzione tra l’impresa e l’uomo.

Untuosità: senso nuovo di antica parola; vale maniera ipocritamente melliflua: da unzione, termine ascetico: «disposizione a sapersi insinuare negli animi e persuaderli al bene da chi predica la sacra parola».

Uo: (dittongo) vi sarebbe materia, per chi si dilettasse di vane discussioni, di che scrivere un trattatello. Ecco in breve: i seguaci della scuola manzoniana, seguendo il suono toscano, tendono ad abolire tale dittongo, detto mobile, e scrivono; core, omo, scola, gioco, ovo, etc. Anzi la più parte dei novi maestri usa così nelle scole, anche non toscane. Tra i dizionari informati a tale criterio, notiamo quello che per modernità e meritata lode di accuratezza, corre maggiormente fra il publico, cioè il Petrocchi. Senonchè il Petrocchi non potendo, secondo teoria, abolire del tutto l’uo nelle parole, che cosa fa? rimanda alla vocale o (Uomo, V. Omo), aggiunge alla parola scritta col dittongo la chiosa: meno comune (es. Nova e meno com. nuova); o fa le due grafie uguali (es. core lo stesso di cuore), o chiama la scrittura col solo o più popolare (es. scuola e popolarmente scola). Questo criterio che l’abolizione del dittongo renda più popolare il vocabolo, andrà bene per Firenze e la Toscana, ma altrove no. E se volessi scrivere non popolarmente e non comunemente, cioè con stile adorno, in tal caso richiamerò in onore il disgraziato dittongo? E i napoletani che fanno uso enorme del dittongo uo, che ne penseranno di questo più popolare senza dittongo? Veda ognuno come si potrebbe sottilizzare comicamente! Questa teoria ortografica prevalendo nelle scuole, mi accadde di vedere notata come improprietà la buona scrittura scuola, uomo, etc.; e a Milano dove perdura l’erronea antica opinione che apprendere l’italiano sia press’a poco come apprendere una lingua straniera, queste forme toscane imposte nel magistero producono effetti io non so se più comici o deplorevoli. Sentire toscaneggiare da chi nacque sotto la guglia del duomo, è lepidissima cosa! Il vero è che le norme della libertà e del buon senso sono più difficili da seguire che quelle del rigido e dogmatico imperio, giacchè occorre più meditazione e saviezza, e ciò spiega perchè i maestri vadano oltre alle intenzioni degli stessi innovatori. Fra le grammatiche che seguono questa teoria, noto quella dei sigg. Morandi e Cappuccini, i quali (§ 509) scrivono: «Va però prevalendo l’uso, specialmente nel linguaggio familiare, di servirsi della vocale semplice in tutta la coniugazione Io gioco, Io copro, Io m’accoro, Io voto, etc; nè ormai si conserva più il dittongo uo in tutte le voci notare e votare (ne’ sensi suddetti), per distinguere da notare (segnare, indicare o simili), e votare (dare il voto). Onde è meglio non scriver mai: Io nuotavo, Noi vuotiamo, etc.». La distinzione di forme grafiche tra linguaggio familiare e letterario a mio avviso non regge e trovo anzi dannosa. E quel contradditorio: meglio non scrivere mai non rivela la incertezza che è nella mente degli stessi grammatici? I quali accennata la regola del dittongo mobile, avvertono [p. 540 modifica]non doversi scrivere muossi, cuotto, cuopro, accuoro, benchè vi cada l’accento. Ma chi, anche di Napoli dove l’uo è costante, scriverebbe così? Ma sono avvertimenti inutili, che se un linguaggio deve essere appreso a furia di regole, avverrà una delle due cose, o che si imparerà a scrivere a cinquant’anni, o, come avviene, si considererà la grammatica, questa bellissima e prima fra le discipline scolastiche, come nel Medio Evo facevasi del greco: graecum non legitur. Gli scolari fanno così e non credo che abbiano gran torto. Di grammatiche di lingue morte basta il latino, ed è di troppo. Occorre inoltre avvertire che pruovo, truovo, priego, etc. sono forme oramai fuor dell’uso per comune consenso? Contro tale eccesso di toscanesimi notiamo: prima che nelle altre provincie il dittongo uo è nella pronuncia; secondo che l’uso non solo classico ma de’ nostri migliori scrittori contemporanei, pur toscani — valga per tutti il Carducci — e le norme delle più lodate grammatiche e lessici ritengono questa norma: scrivesi uo quando sul dittongo cade l’accento: uo si scempia in o quando nei derivati l’accento viene a cadere su altra sillaba, onde cuore e coràggio; giuòco e giocàva; scuòla e scolàro; uòvo e ovìno; cuòcere e cocèva, etc. Così dicasi del dittongo ie, onde cièlo e celèste. Le eccezioni sancite dall’uso e dagli esempi letterari per alcune speciali voci non infirmano tale regola, ed è deplorevole che si creino nuove difficoltà ed incertezze fittizie da aggiungere alle reali incertezze della grafìa italiana.

Uomo economico: veramente gli economisti usano questa formula in latino (Homo oeconomicus) per significare l’uomo come ente astratto il quale ha il concetto del valore delle cose e quindi pensa in ogni sua operazione di raggiungere il massimo risultato col minimo sforzo. Così, ad es. un consumatore cercherà di acquistare la merce che gli abbisogna dove potrà trovarla a miglior mercato, un produttore di fabbricare i suoi prodotti coi mezzi meno costosi, etc.

Uomo normale: (V. Normale): secondo un concetto positivista, per normalità dell’uomo si intende una specie di ambito o zona — mutabile secondo i tempi — entro cui cadono le azioni ed i pensieri della più parte degli uomini. La cognizione di questa norma si ritiene da molti come fondamento della responsabilità rispetto alla legge. Per il filosofo e per l’antropologo questo concetto di normalità non si presenta però così facile come sembra in apparenza.

Uova alla coque: V. Coque.

Uovo di Colombo: V. L’uovo, etc.

Uranismo: termine di patologia ed indica una forma di inversione sessuale congenita, variante di omosessualità. La parola uranismo, uranista (da Urano?) fu creata da un famoso invertito. In francese, uraniste = home-sexuel. Il vocabolo è pure in inglese, credo anzi che ne provenga.

Urbanismo: dal lat. urbs = città e il solito suffisso ismo; indica la tendenza moderna nelle popolazioni di accentrarsi nelle città.

Urbe: latinismo che significa città e, per antonomasia, Roma. Voce magnifica e severa che sta a suo posto, poniamo, in una poesia di G. Carducci, ma che, intromessa nella chincaglieria di certi scrittori, offende chi ha il senso della semplicità e della naturalezza.

Urbi et orbi: lat., alla città (Roma) ed al mondo: parole delle benedizioni dei Pontefici; familiarmente valgono dovunque, e si dice con special senso faceto.

Uremia: voce del linguaggio medico ([testo greco]) = urina ed [testo greco] = sangue). Con questo nome si designa un complesso di accidenti tossici (cerebrali, respiratori, gastro-intestinali) dovuti ad insufficenza o alla mancanza della funzione dei reni (ritenzione, dunque, dei veleni che normalmente sono eliminati con le urine). Derivato, uremico.

Urningo: termine di patologia: colui che è affetto da inversione sessuale. Ingl. urning. V. Uranismo.

Urrà: V. Hurrah.

Uscire dall’equivoco: brutta locuzione dei giornali e del linguaggio politico: vale dichiararsi, manifestare la propria opinione senza più tergiversare o tenere il piede in due staffe. [p. 541 modifica]

Uscirne o cavarsela pel rotto della cuffia: locuzione familiare per, «cavarsela da un rischio, o da un’angustia, o da una prova senza danno e spesa, fortunatamente, bene». Questa locuzione pare tolta dall’antico giuoco medioevale del Saracino o della quintana. Il colpo ritenevasi buono dai giudici del campo benchè il corridore fosse colpito nella cuffia.

Uscito fuor del pelago alla riva: verso dantesco (Inf., I) divenuto patrimonio del linguaggio familiare, e per lo più usato con senso faceto o per pericoli di lieve conto.

Usque ad finem: lat. fino alla fine; usasi il motto per indicare ìnsistenza, costanza, pertinacia.

Ustionare: verbo neol., da ustione, scottare, bruciare. Parmi voce superflua, ove non la si voglia trovar necessaria per il fatto che è meno comune e non volgarmente intesa; quindi pare voce più adatta al linguaggio scientifico, il quale, pure in questa felice età democratica, si compiace di troppo di parole difficili e perciò più venerande.

Usucapione: antica parola del diritto romano, che indica il diritto di possesso di una data cosa per effetto del lungo uso. Da usus = uso e capere = prendere, prendere a cagione dell’uso. Familiarmente si dice talora usucapione per indicare un diritto a qualche bene per il fatto della prima occupazione.

Usus magister est optimus: Cicerone, Pro Rabirio Postumo, 4, e De Oratore., I, 4.

Usus te plura docebit: lat., l’uso ti insegnerà molte cose. Si legge tale sentenza, nell’antica Prosodia del Porretti.

Ut desint vires tamen est laudanda voluntas: lat., pur mancando le forze, tuttavia è da lodarsi il buon volere (Ovidio, Epist. ex. Ponto, III, 4, 79).

Utensìle: e non utènsile, come intesi dire da molti meccanici ed ingegneri di Lombardia, lat. utensìlia.

Utile dulci: lat., l’utile congiunto al bello, al dilettevole, e per lo più si dice con riferimento all’opera d’arte in cui il concetto etico si unisce all’estetico. Massima dedotta da Orazio, Arte Poetica, 343, 344:

                    Omne tulit punctum qui miscuit utile dulci,
                    lectorem delectando pariterque monendo.

Utilitarismo: fr. utilitarisme, ingl. utilitarianism: teoria etica (praticata praesertim da chi non è filosofo) che riguarda l’adattamento ad un fino utile come criterio morale: der. utilitarista ed utilitario. Es. morale utilitaria. Parola-indice della civiltà presente, nella quale parola comunemente si intende l’esclusione di ogni idealità lontana ed eroica. V. Positivismo. Queste parole sono riprese dai puristi, necessarie nell’uso. Quanto al concetto filosofico esso è assai antico.

Utilizzazione: (fr. utilisation); utilizzabile (fr. utilisable); utilitario (fr. utilitaire) che segue il concetto filosofico dell’Utile: utilitarismo (fr. utilitarisme), sono tutte parole che, come appare dal riscontro fra parentesi, ci provengono dal francese: ai puristi, in maggior o minor grado, dispiacciono, e i dizionari le registrano a spizzico: l’uso le consacra tutte. Inoltre, accolto come è da tempo il verbo utilizzare, è troppa pretesa non volere i derivati, quando tornano facili ed acconci, anche se di conio francese (Utilitare, fuor d’uso, usare, sfruttare, far tesoro, giovarsi, mettere a profitto sono le parole nostre sinonimo).

Ut impleatur scriptura: locuzione curiale (?) talora usata familiarmente per indicare il compimento delle formalità prescritte.

Utinam!: esclamazione latina; vale, voglia il cielo, magari, include speranza ed augurio, e si dice con speciale intendimento, come da questo istruttivo periodo di Alessandro d’Ancona: «il Parlamento americano ebbe anni addietro a porre un limite alla larghezza di doni o lasciti in danaro che dai privati si facevano alle biblioteche, già esistenti o da fondarsi; aggiungeva però che un tal ordino non aveva frenato la benefica usanza e si era presto trovato il modo di eludere la legge. Fra noi, pur troppo, non si verifica il bisogno di una legge consimile! Ma ci contenteremmo se qui devo fioriscono gli aranci e spirano gli zeffiri, le biblioteche non bruciassero, come a Torino, o non stessero in presente pericolo [p. 542 modifica]di ardere, come altrove, nè ci piovesse dentro, come a Padova. Utinam!».

Uti possidetis: lat., come voi possedete. È termine generalmente usato nei trattati dopo una guerra per significare che il territorio conquistato deve restare al conquistatore, sia stabilmente, sia a tempo. Uti possidetis è pure nome di legge romana (Digesto, XIIII, 17). Dicesi uti possidetis con forza di sostantivo.

Utopia: gr. [testo greco] = non e [testo greco] = luogo, dunque luogo che non esiste, così Tommaso Moore (1516) intitolò un suo romanzo ove descrive un’isola o stato in perfetto e felice governo. La parola trapassò in ogni lingua culta per indicare un processo di pensiero più secondo fantasia e desiderio che secondo logica ed esperimento.

Ut pictura poesis: nota sentenza d’Orazio (Arte Poetica), per significare l’affinità tra le due arti: la poesia è come la pittura, cioè cadono sotto le stesse leggi. NB. La conoscenza dell’affinità tra le arti è cosa antica al pari dell’arte; l’invasione di un’arte, nel campo di un’altra, per cui la poesia vuol raggiungere effetti musicali, la musica vuole precisare come il verso, la pittura vuol essere filosofica etc., è cosa particolare dell’età nostra, che riesce di buon effetto nei grandi e veri artisti, non in virtù della teoria, ma dell’arte la quale quando è tale da vero, fa buona prova con qualunque dogma.

Ut sis nocte levis, sit tibi coena brevis: lat., se vuoi esser leggero (star bene) di notte, mangia poco la sera. Noto verso leonino della scuola Salernitana (Collectio Salernitana, Napoli, 1852). Variante: si vis esse levis, sit tua coena brevis.

Ut supra: lat. come sopra.

Uvaggío: vino piemontese (Alessandria) da pasto piuttosto ordinario: così detto perchè si prepara con molte uve di diversa qualità.