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Habeas corpus: latino, abbi il tuo corpo: formula di ordinanza inglese per la quale è assicurata la sollecita scarcerazione di chiunque fu illegalmente imprigionato. Un simile rimedio era applicato dal pretore romano dell’antica Roma con l’interdetto de homine libero exibendo. L’atto dell’Habeas corpus inglese è il fondamento degli Statuti in simile materia sì negli Stati Uniti come in altri Stati. Tale legge risale al 1679, cioè al tempo di Carlo II e valse come rimedio agli arresti arbitrari. Alcuna volta fu temporaneamente revocata o per ragioni di Stato o di sicurezza publica.

Habemus confitentem reum: abbiamo il reo confesso. Locuzione ciceroniana, spesso usata nel linguaggio giudiziario. Dicesi anche in modo familiare e faceto per significare che la tal persona ha confessato il suo fallo.

Habemus pontificem: abbiamo il pontefice, parte della formula rituale con cui il cardinale a ciò deputato annuncia al popolo dopo il Conclave, l’elezione del nuovo pontefice eletto: Nuntio vobis gaudium magnum, habemus pontificem, qui sibi imposuit nomen, etc. Dicesi facetamente di nomine o di elezioni.

Habent sua fata libelli: emistichio di un verso di Terenziano Mauro (Carmen heroicum, 218) = hanno i libri la loro fortuna. Il verso intero è: Pro captu lectoris habent sua fata libelli, cioè secondo l’intelligenza del publico i libri hanno la loro fortuna, ed è proprio vero anche ora, ed è assai più line e giusto significato che non il comune habent, etc.

Habitué: parola francese usatissima, quasi popolare in taluni luoghi, per indicare l’assiduo, il frequentatore di un dato ritrovo; caffè, teatro, etc.

Hachich ovvero haschisch: grafia francese di voce araba che significa erba secca, detto per antonomasia della canapa indiana. In italiano si dovrebbe scrivere asciss. È un estratto della canapa fatto bollire con burro e meschiato con zucchero. Se ne fanno pasticche che si masticano fumano, sole o miste all’oppio. Produce una deliziosa estasi o sonno: forma di ebbrezza assai diversa da quella, delle bevande spiritose; ma il fine è unico: alleviare o dimenticare la dolorosa esistenza. I popoli dell’Oriente ne fanno uso ed abuso con gran danno delle facoltà psichiche e rapida distruzione organica.

Hacienda: voce spagnuola che letteralmente vuol dire azienda = tenuta, fattoria.

Hagard: aggettivo francese che vuol dire feroce, selvaggio, e si dice specialmente degli occhi e della fisonomia. Propriamente hagard è attributo del falco.

Halali: suono onomatopeico dell’antico grido francese di guerra e di caccia. È anche la fanfara che annunciava la presa del cervo. «Halalì, grido di caccia nella lingua francese, oggi accolto, credo, anche nello nobili cacce italiane, e può accogliersi, parmi, perchè in fino non è altro che un composto dì interiezioni e avverbi comuni alle due lingue». Così il Carducci in una nota allo sue liriche. [p. 254 modifica]

Half: term. ingl. = mezza (forza). Gli apparecchi, a forma di quadrante, trasmettitori degli ordini nei piroscafi tra il ponto del comando e la macchina, essendo per la più parte costruiti in Inghilterra, portano le voci in inglese; onde astern = in dietro (a poppa), ahead = avanti (a prua), stop = ferma, slow = adagio, full = a tutta forza, stand by = finito. Ora però questo abuso delle parole inglesi va scomparendo, e i comandi sono scritti e dati — comunemente — in italiano.

Halfa: nome arabo di graminacea tenacissima che cresce spontanea nei paesi caldi (Africa settentrionale, Algeria, Marocco) e si macera per farne carta, o serve per intessere stuoie, canestri, etc. bene a ciò prestandosi le foglie in forma di giunco: scrivesi anche halefa e con grafia italiana alfa: stipa tenacissima è il nome scientifico. L’attribuzione dello stesso nome all’altra graminacea, il Lygeum Spartum dell’Italia meridionale, Spagna, Creta, Zante e Africa settentrionale, benchè adoperata per gli stessi usi (per i fusti però, non per le foglie), sarebbe un errore di qualche botanico.

Halle: in francese vuol dire piazza publica, ordinariamente coperta, in cui si tiene il mercato, in inglese hall, in tedesco halle = gran sala, delle case e de’ ritrovi publici, come bagni, alberghi etc. Es. markthalle = il mercato coperto. In quest’ultimo significato spesso è usata da noi. Sarebbe poi desiderabile che chi usa presso di noi tale parola si attenesse all’una o all’altra grafia, e non scrivesse, come sovente, haal. In italiano antico v’è «alla». Questa alla deriverebbe, al pari del fr. halle dall’antico tedesco halle = avancorpo di un edificio sostenuto da colonne.

Hàmaca: voce spagnuola, usata nei vari linguaggi e significa una nota specie di letto pensile, usato specialmente nelle Indie e nell’America meridionale. Ai nostri diz. questa voce solitamente manca mentre nell’uso prevale la grafia straniera hamac o hamaca. È fatta derivare dal ted. hangematte, se pure non è voce indigena de’ Caraibi.

Handicap: vocabolo inglese del linguaggio dello Sport: indica una corsa proporzionale fra corridori di dispari forza e merito, agguagliati mediante abbuono di spazio. Se trattasi di galoppo, il ragguaglio è dato da pesi. Handicapper (da cui poi hanno formato la arbitraria parola an-di-cap-pa-to-re) è colui che è arbitro de’ ragguagli. Queste parole sono anche nel francese moderno. (Handicap è dato come probabile contrazione di hand in the cap).

Hand’s shake: (ingl.) ricorre talora per indicare la stretta di mano all’inglese, cioè un colpo secco, rapido, come nell’intenzione di slogare il polso. Ciò è ritenuto molto elegante e mondano; ma come praticità, noi si antepone la stretta di mano all’italiana.

Hannibal ante portas: Annibale davanti alle porte (di Roma), fu il grido di terrore in Roma dopo la gran disfatta di Canne, per cui si temeva che il gran condottiero ponesse l’assedio alla città. Ripetesi talora il motto antico per significare un imminente pericolo.

Harem: scrittura francese di parola araba che significa luogo inviolabile, sacro, edifizio, cioè, o porzione dell’edifizio dove i turchi, e gli orientali in genere, tengono le loro donne, serraglio, o arem. L’arem dei grandi e facoltosi è sovente magnifico e sontuoso, specialmente all’interno, e sfarzosamente addobbato. Questo vocabolo è da noi usato in senso esteso, il quale è agevole intendere.

Harmonium: V. Armonium.

Haute (la): letteralmente e antonomasticamente l’alta, una delle tante parole per indicare la società ricca o nobile. Es. «Avendo il piede in due mondi, aveva una infinità di amici, dalla Corte alla tribuna della stampa, dalla haute alla bohéme». Haute è parola familiare nel francese = High-life.

Héliotrope: l’estratto dei fiori di questa soavissima pianta (Heliotropium peruvianum, L.) dal gradito profumo di vaniglia e di mandorle amare: si pronuncia, in certo linguaggio mondano e galante, di solito alla francese.

Helium: nome di un nuovo corpo semplice: è un gas che viene secondo dopo [p. 255 modifica]l’idrogeno per leggerezza. Sino dal 1868 si sapeva che v’era nel sole un elemento che dava uno spettro speciale e caratteristico, non ancora riscontrato su la terra per nessun corpo, onde ebbe il nome dal solo (gr. [testo greco] = sole). Nel 1882 il Palmieri, a Napoli, ottenne lo stesso spettro studiando una materia di eruzione del Vesuvio. Riconosciuto in sostanze terrestri, questo gas fu studiato meglio chimicamente e fisicamente dal Rayleigh e dal Ramsay, ondo il nome straniero; in italiano elio: il quale è pure un’emanazione del prezioso Radio.

Henry: nuovo termine di elettrotecnica, usato per indicare l’unità adottata per la misura del coefficente d’induzione: dal nome del fisico elettricista americano, Giuseppe Henry (1797-1878) cui gli americani attribuiscono l’invenzione del motore elettrico.

Hidalgo: voce spagnuola che significa nobile, per ragione di lignaggio e di sangue; non mescolato cioè da sangue moresco o giudeo: ingenuus, generosus come avrebbero detto i Latini. La etimologia della voce è hijo da algo = figlio di qualcuno. I dizionari francesi registrano tale voce che ha — come spiega l’etimologia — un certo valore storico.

Hic et nunc: lat. qui ed ora. Dicesi quando si vuole che alcuna cosa si faccia lì e subito.

Hic manebimus optime: qui resteremo ottimamente: motto augurale del Centurione romano (Livio, libro V, cap. 55) quando al tempo dell’incendio di Roma per opera dei Galli (anno 390 a. C.) si trattò di mutare Roma con Vejo. Acquistò forza di intercalare e fu solennemente detto da Quintino Sella nel 1870, quando la capitale del Regno d’Italia fu portata in Roma.

Hic murus aeneus esto, | Nil conscire sibi, nulla pallescere culpa: questo sia per te come un muro di bronzo: essere, cioè, cosciente di non aver peccato., quindi non temere di alcuna colpa (Orazio, Epistole, I, 1, 60, 61). È il medesimo concetto espresso da Palmieri con la famosa terzina, Inf. XXVIII, 115.

          Se non che conscienza m’assicura,
          La buona compagnia che l’uom francheggia
          Sotto l’usbergo del sentirsi pura.

Hic Rhodus, hic salta: dicesi quando si vuol mettere taluno alla prova. In una favola Esopiana (la 203a nella edizione Halm) un millantatore si vanta d’aver fatto in Rodi un grandissimo salto; onde un incredulo ascoltatore gli dice: fa conto che qui sia Rodi e qui fa il salto. Il testo greco dice: [testo greco].

Highlanders: = montanari, cioè abitanti dell’alta terra (High = alto e land = terra) come fu detta la parte settentrionale della Scozia. Divisi dagli altri popoli e sicuri negli inaccessibili monti, traevano vita semplice e patriarcale (V. Clan). Fedeli alla causa degli Stuardi, ne sostennero i tentativi di regno. Domati dagli Inglesi nella prima metò del secolo XVIII, furono di mano in mano tolti alla loro pace e attratti nell’orbita della civiltà e della vita nazionale, pur conservando — sapienza britannica — molti usi e costumi antichi. Questo nome è dato ad una celebrata milizia inglese, la quale conserva le pittoresche assise degli Scozzesi.

Higll life: ecco un nome inglese che si pronuncia assai ben dolcemente, hai-laif; e vuol dire, alta vita, gran vita, cioè quel complesso di persone, di usi, di modi che costituiscono un’esistenza divisa e diversa dalla restante e comune. Le parole aristocrazia e nobiltà., suggerite dal Fanfani, non vi corrispondono che in parte. Si può appartenere all’high-life e non aver diploma di nobiltà. La parola è anche entrata nel vocabolario francese. High-life: mot à mot: haute vie, est equivalent de nos expressions haute sociétè, grand monde, bonne compagnie, c’est-á-dire que nous avons au moins trois manières d’exprimer en bon français ce que communement nous nous efforçons de dire en mauvais anglais. (Loredan Larchey. Dict. d’Argot). High-life è locuzione da tempo usata in italiano e comune anche presso chi non sa di vita mondana: dicesi più di sovente con intenzione di celia per magnificare con intenzione ironica.

Hinterland: letteralmente in tedesco, dietro il paese, ed è voce usata per indicare il territorio intorno di una colonia su cui si esercita influenza ed egemonia. [p. 256 modifica]

Hippocratica (facies): volto profondamente alterato dei morenti: così chiamata da Ippocrate che ne diede una descrizione.

Hoc erat in votis: questo era nei voti, cioè questo solo io desideravo; così Orazio, con parole che acquistarono forza di intercalare, comincia la sesta satira del libro secondo, e prosegue:

Modus agri non ita magnus, | hortus ubi, e tecto
     vicinus jugis acquae fons, | et paulum silvae super
     his foret.

Hoch: in alto! esclamazione tedesca, rispondente al nostro Evviva! Ne’ resoconti di feste e cerimonie germaniche, si riporta pure questa parola; sarà bene però aver riguardo di non inscrivere hoc che è pronome neutro latino. Es. «Quando il treno giunse in stazione venne salutato da fragorosi battimani e da alte grida di hoc! hoc! dei tedeschi colà riuniti». (Hoch: antico alto tedesco, hôh gotico hauhs, cfr. l’inglese high.)

Hoc opus, hic labor: questa è l’opera, questa la fatica (Vergilio, Aen, VI, 129) emistichio a mo’ di proverbio per significare in che consistano le difficoltà di un dato lavoro, e la necessità di attendervi.

Hoc volo, sic jubeo, sit pro ratione voluntas: questo voglio, così comando, la volontà sta in vece di ragione, famoso verso di Giovenale (Satira VI, 223), ripetuto da principi o signori che ebbero forza o fortuna di farne il proprio motto.

Hodie mihi cras tibi: oggi a me, domani a te. Motto tolto dalla Bibbia (Mihi heri et tibi hodie. Ecclesiastico, capitolo XXXVIII, 23) e che compendia in forma di sentenza la cognizione delle reciproche sventure umane e la necessaria rassegnazione. Ma più spesso si ripete tale motto per cose di lieve conto e in senso faceto di conforto, per la ragione nota che solamen miseris socios habuisse malorum.

Home: voce inglese, domus, la casa paterna, il focolare domestico: questo caro senso in cui le genti britanne adoperano la voce home non ci è ignoto e ricorre nelle scritture. Uno può avere una casa e non avere l’home, giacchè questo è costituito dagli elementi morali e dalle persone piuttosto che dalla materia. Home, voce di origine tedesca. Cfr. il ted. Heim. Si abusa di home in certo linguaggio mondano come di ménage.

Home-made: ingl. fatto in casa: formula commerciale dei manufatti nazionali inglesi. In Italia invece non è raro il caso di vedere i prodotti delle nostre industrie pur così fiorenti, male nobilitarsi di nome straniero!

Home rule: ingl., la patria imperi: il programma politico del partito nazionale e separatista in Irlanda, successo alla setta dei Feniani.

Home-ruler: il sostenitore dell’autonomia (home-rule] per l’Irlanda.

Homme à femme: locuzione del gergo francese: vale amateur de femmes.

Homme de lettres: V. Gens de lettres.

Homme de paille: nel gergo francese vale prète-nom, persona — cioè — responsabile di un affare o di un’azienda, diretta da altri: vi risponde la nostra voce di gergo, testa di legno. Per le affinità dei linguaggi, cfr. trippòn che in romagnolo vale uccello impagliato o imbalsamato, e per estensione traslata, prestanome.

Homme sandwich: voce del gergo francese, e vale a nominare quelle schiere di miserabili, che coperti e chiusi da due gran manifesti fissati su telai, girano per oggetto di richiamo le vie delle grandi città. V. Sandwich.

Homo bonus semper tiro est: mirabile e terribile sentenza nella sua semplicità vera: l’uomo buono è sempre un principiante. È un epigramma di Marziale, libro XII, LI, che letteralmente suona così «O Aulo, tu ti meravigli che il nostro Fabullino così spesso sia frodato? semper homo bonus tiro est».

Homo homini lupus: espressione scultoriamente pessimista e motto riassuntivo di molta filosofia: l’uomo è lupo per l’uomo, passata in proverbio. Leggesi in forma alquanto diversa in Plauto (Asinaria, II, 4, 88) e corrisponde in parte al senso del terribile versetto Maledictus homo qui confidit in homine.

Homo novus: lat. uomo nuovo, cioè senza tradizioni e passato.

Homo sapiens: l’uomo sapiente, definizione che l’uomo nella biologia e nella [p. 257 modifica]storia naturale chiodo a sè stesso: definizione abbastanza lusinghiera e vera se quel sapiens si intende por intelligente, quasi l’organismo intellettuale per eccellenza, tanto più che sopra di noi non ne conosciamo altri. L’homo sapiens, secondo la teoria darwiniana dell’evoluzione, sarebbe provenuto da uno scomparso tipo antropoide (scimmia) da cui la scienza dice di possedere il passaggio (cranio di Neanderthal, cranio di Spy, calotta cranica del Pitecantropo).

Homo sum! Il motto intero è: homo sum; humani nihil a me alienum puto (Terenzio) Heaut, I, 25: = Sono uomo, e nulla di ciò che è umano stimo alieno da me, cioè il bene e il male sono inerenti alla mia natura. Motto sapiente, spesso usato e abusato però per adonestare ciò che non è degno dell’uomo.

Honni soit qui mal y pense: che letteralmente vuol dire: ontoso, ’vilipeso, sia chi mal pensa, (dall’antico verbo honnir, nell’italiano antico onire, svergognare, fare ingiuria) famoso e vulgato motto anche da noi, che è la divisa inscritta nel nastro prezioso e azzurro che portano alla gamba sinistra gli insigniti dell’ordine della Giarettiera. Quest’ordine fu instituito da Edoardo IV d’Inghilterra circa il 1350, ed è di incerta origine: alcuni lo riferiscono in onore al legaccio che la contessa di Salisbury lasciò cadere in una danza e il Re raccolse: altri in memoria della vittoria di Crécy, in cui il Re in segno di raccolta si dico spiegasse la sua giarettiera. Questo ordine venne poi modificato e riformato da Enrico VIII nel 1522. Quanto all’origine del motto oltre al Fournier (Esprit dans l’histoire cap. XIII) vedasi quanto segue che tolgo da una recente stampa: «L’ordino della Giarettiera, che è l’ordine cavalleresco più insigne della Gran Brettagna, fu istituito dal re Edoardo III nel 1349. Secondo un racconto, messo fuori non si sa da chi, quel sovrano avrebbe creato quel supremo Ordine equestre in onore di una sua amante, cioè della contessa di Salisbury, alla quale, secondo la tradizione cadde, mentre ballava, il legaccio di una calza. Il re raccolse quel legaccio (o giarettiera che dir si voglia), e volgendosi ai cortigiani, che ridevano di quell’atto un po’ strano, pronunziò queste parole: Honni soit qui mal y pense. Quasi tutti gli storici inglesi, fra i quali il Hume, il Lingard, il Knight, il Markham, il James ecc., ecc., negano affatto che il re Edoardo III abbia raccolto il legaccio della contessa di Salisbury, per crearne un ordine cavalleresco, che oggi è uno dei più illustri d’Europa. E allora quale fu l’origine di esso? Eccola in poche parole. Il 26 agosto del 1346 fu combattuta la celebre battaglia di Crécy, nella quale i Francesi, comandati dal loro re Filippo VI, furono pienamente sconfitti dagl’Inglesi, capitanati da re Edoardo. Durante la pugna, il re diede per parola d’ordine la parola garter, che in inglese significa giarettiera. Nel 1349, ricorrendo il terzo anniversario della vittoria di Crécy, Edoardo istituì l’ordine suddetto che fu intitolato da quella stessa parola d’ordine, che egli aveva dato alle sue milizie. E poi per dimostrare che la contessa di Salisbury non entra per nulla in questa faccenda, basti il sapere che, all’epoca in cui fu creato l’ordine della Giarettiera, costei aveva un’età abbastanza rispettabile, sorpassando di parecchi anni il suo reale amante il quale non si sarebbe certo curato di raccogliere il legaccio caduto dalla calza di una vecchia, eternandolo come emblema di un Ordine eccelso, ambito perfino dai più potenti sovrani del mondo» .

Honorem (ad): lat. a titolo d’onore.

Honores mutant mores: gli onori mutano il costume, motto latino ripetuto per chi, salito in alto grado, oblia le usanze e gli amici dell’umile fortuna.

Honos habet onus: lat. l’onore ha il suo peso, cioè ogni alta dignità trae seco i suoi incomodi.

Hora ruit: lat. precipita l’ora. G. Carducci (Ruit hora) ne intitolò una delle sue Odi barbare:

          E precipita l’ora. O bocca rosea,
          schiuditi, o fior de l’anima,
          o fior del desiderio, apri i tuoi calici:
          o care braccia, apritevi.

Deve essere versione dell’emistichio di [p. 258 modifica]Saffo [testo greco]. In Persio, Sat. V. 153: Fugit hora.

Horizontale: voce del gergo francese: Tale donna galante o mondana. V. Orizzontale.

Hortus conclusus: lat. giardino chiuso, titolo simbolico e prezioso ciato dal d’Annunzio ad un ciclo di liriche (Poema Paradisiaco). La locuzione si è divulgata e ricorre talora quasi ad indicare il giardino segreto ove fioriscono i preziosi fiori ed aromi del pensiero o del desio intatti altrui.

Horresco réferens: inorridisco nel raccontare. Emistichio dell’Eneide ove Enea narra a Didone l’eccidio e l’incendio di Troia. Dicesi talora in senso faceto e per cose di lieve conto.

Horribile dictu: lat. cosa orribile a dirsi.

Hors d’oeuvre: voce francese usata per vizio giacche v’è la nostra corrispondente antipasto. La voce francese ha come tante altre consorelle quella certa magnificenza enfatica che seduce: il pranzo è quasi per antonomasia l’opera, l’oeuvre, quindi il fuor d’opera, a cui petto antipasto è voce modesta di troppo. L’hors d’oeuvre è destinato più ad eccitare che a soddisfare l’appetito dei convitati. Nel senso proprio l’hors d’oeuvre è composto di salati, pesci in conserva, legumi sotto aceto, sedani, verdura fresca, etc. Più tardi questo nome fu dato ad una infinità di cibi tale che è possibile con essi soli comporre un pranzo. V. Zakuska. V. per altro senso Fuor d’opera.

Hors ligne: letteralmente fuor di linea (ex-grege = egregiamente) e si dice con frequenza abusiva per indicare oggetto o anche fatto eccezionale. Es. «Uno spettacolo hors ligne, Mobili antichi non ne acquisto se pur non sono hors ligne».

Hôtel: vi risponde l’antico gallicismo ostello che vuol dire letteralmente luogo ospitale, voce usata da Dante al Carducci. (V. Ostello.) Un albergo che si rispetti, pianta in alto la sua scritta con tanto di Hôtel. Ragione però vuole che si dica come hôtel sia vocabolo oramai comune ad ogni linguaggio. L’attributo grand congiunto ad hôtel suppone le maggiori raffinatezze del vivere e un prezzo più che corrispondente, e questa distinzione è notata anche nelle guide per norma di chi viaggia.

Hôtel garni: o maison garnie o meublée anche garni (guarnito) senz’altro, risponde in francese al nostro camere ammobigliate, ma più specialmente dicesi di un albergo adibito al solo alloggio (o a fare «ciò che in camera si puote»).

Houle: nome femminile francese. Yi corrisponde la locuzione marinaresca nostra mare lungo; cioè l’onda grande e fonda che di solito precede o segue la tempesta, ma senza che essa rompa in ispume.

Hucho: è il Salmo hucho, nome scientifico del Salmone del Danubio, da non confondere col vero Salmone, che è il Salmo sàlar, il quale dal mare del Nord e dal Baltico risale i fiumi.

Humour: è parola inglese di provenienza latina (humor = liquido): Humor in tedesco, in francese humeur, in italiano umore, benchè presso di noi prevalga l’uso della forma inglese. La definizione di questa voce è molto difficile benchè molte siano le definizioni date, alcune assai eleganti e sottili, ma forse troppo ristrette secondo che il definitore ebbe in mente l’uno o l’altro umorista. Lasciamo le goffe definizioni che danno alcuni dizionari, come spirito bizzarro, sommo del comico etc., e vediamo di rendere meglio il vero. L’umore è la speciale disposizione che un’alta intelligenza (per lo più artistica) ha nel penetrare facilmente, sottilmente insino al fondo occulto delle cose, vedere le frondi e le radici, la scena e il retro-scena: quivi le cose umane appaiono ben diverse e ben diversamente congiunte che non siano nell’apparenza: ciò che alla superficie è comico, al fondo può essere tragico, e viceversa. Ma questo al buon publico non si può dire giacchè, o resterebbe offeso dalla verità o non crederebbe. Ne deriva quindi da parte dell’umorista una speciale maniera di esprimere il vero; una maniera velata, bonaria, semplice e solitamente comica, giacchè il contrasto tra la realtà, la verità ideale e le operazioni umane è tale che il più forte sentimento è quello del riso: questo riso può tuttavia svolgersi per una [p. 259 modifica]gradazione amplissima, secondo l’indole dello scrittore: sorriso melanconico, impercettibile, caustico, beffardo, diabolico. Il pessimismo sta di solito corno substrato di questo riso, ed è naturale: la miserabile contraddizione umana non è componibile in modo alcuno. Questa aristocratica disposizione dello spirito fu coltivata come forma d’arte specialmente dagli inglesi, dei quali la letteratura ben risente di tale spirituale tendenza. La letteratura tedesca ha pure umoristi ammirevoli e profondi. I francesi sono piuttosto arguti, lepidi, che umoristi. In Italia tracce di umorismo possiamo trovare finissime presso alcuni latini, in parecchi trecentisti, in Dante, e umorista vero è l’Ariosto (il più semplice — infatti — tra i pomposi umanisti del suo secolo, semplice pur nella vita privata). Senonchè amore della veritò vuole poi che si dica come il popolo italiano tenda specialmente a gustare i generi letterari ampollosi, artifiziosi, retorici, fucati, alieni cioè dalla semplicità che è la condizione prima, il substrato, per così esprimermi, dell’umorismo. Di ciò molte prove si potrebbe addurre di cui qui non è il caso ragionare, basti l’accennare al fatto che I Promessi Sposi sono più specialmente popolari ed in onore per la loro sapienza evangelica e bellezza morale che per il loro sottile umorismo; e un altro libro, ricco di vero umorismo, è mal noto al publico grosso: Le confessioni di un ottuagenario del Nievo. Il Leopardi ed il Carducci non sono certamente assai conosciuti per il loro umorismo. Da umore presso di noi si formò l’aggettivo umoristico a cui il popolo diede un senso che proprio non ha nulla a che vedore con l’umore. Dicesi volgarmente giornale umoristico., poesia umoristica etc., dove si contiene alcuna facezia, libera e grossolana, spesso sconcia: proprio il contrario del vero e proprio umorismo. La qual cosa, volendo esser sottili critici, può dimostrare appunto che il nostro popolo italiano non intende l’humour: non ne ha la voce e, avutala, la torce ad altro senso (se pure a tale significato popolare non influì il nostro, umore, bell’umore, buon umore; ma non mi pare). Quando volle ridere, creò un genere suo proprio, nazionale, cioè il burlesco (bernesco). Fra gli scrittori, godettero di vera popolarità in Italia quelli che, per temperamento ampolloso erano del tutto alieni dall’umorismo, ad es. il Marino nel seicento, e, ai dì nostri, il D’Annunzio.

Humus: in latino significa terra, la parte cioè più fertile della terra, formata di materia organica che ricopre il suolo ed è assai acconcia alla vegetazione; e più chiaramente humus designa presso gli agricoltori la parte organica della terra e la distingue dalla parte minerale. La parola humus è anche in francese e in tedesco.

Hunter: ingl. cane da caccia.

Hunting-bag: inglese carniere, e così hunting-coat = abito da caccia; hunting-match = partita di caccia; hunting-horse = cavallo da caccia, etc. Voci dello Sport.

Hurrah: è propriamente il grido di guerra dei cosacchi, dallo slavo gu-raj = al paradiso., detto secondo la fede che, morendo per la patria e per Cesare, si apra il cielo. In tedesco hurrah, in ingl. hurrah, in francese hourra! La nostra parola bella e gentile Evviva! vi risponde solo in parte, e hurrah è assai usato nella nostra lingua ove si scrive un po’ come pare, sempre per quel benedetto amore di libertà, e non solo è usato come grido di guerra ma anche dove domina la pace e l’amore. Così, ad esempio, il resoconto di un simposio artistico termina: «Il poeta con la sua limpida parola ha tessuto un vero inno alla giovinezza che col suo impeto conquista di colpo le alte cime dell’arte, così dure e faticose per chi dall’esperienza ha appreso le difficoltà della via. Mentre S*** muto e commosso abbraccia bacia G***, scoppiano gli applausi, e tutti in piedi gl’intervenuti gridano un triplico hurrah!» Ciò è ridicolo!