Discorsi di guerra/Capitolo VII
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CAPITOLO VII
Altro intermezzo estraparlamentare (Marzo-luglio 1917)
Apriamo qui una parentesi per ricordare alcune manifestazioni extra parlamentari del Presidente del Consiglio che sembrano degne di menzione.
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Il 16 marzo 1917 si inaugurò a Roma, nella storica sala degli Orazi e Curiazi, in Campidoglio, il convegno delle opere di Assistenza civile di tutte le città italiane. Vi intervenne, accompagnato da vari Ministri, l’On. Boselli. Il discorso inaugurale fu pronunziato dal Presidente del Comitato Romano dell’organizzazione civile, Comm. Prof. Adolfo Apolloni.
Secondo oratore fu il Senatore Mangiagalli, dell’ufficio di Presidenza Generale della Federazione delle assistenze civili.
Seguì la Signora Carla Lavelli Celesia che pose in rilievo il validissimo contributo portato dalla donna alla assistenza di guerra.
Parlò poi il Ministro Comandini, che, com’è noto, intendeva, con vigile cura alle opere per l’organizzazione civile, esistenti nella Nazione.
Prese, infine, la parola l’On. Boselli:
- Signori e amici,
Io venni a recarvi il saluto plaudente del Governo in nome della Patria, evocata nel suo fulgido discorso dal pro-Sindaco Comm. Apolloni; della Patria che è la luce delle nostre menti e la fiamma dei nostri cuori, che è virtù animatrice per cui gloriosamente e compiutamente avremo la vittoria del diritto e della civiltà rivendicata. Non venni a voi per recarvi nuove ispirazioni, ma per trarre dalle vostre ispirazioni nuove scintille per il Governo italiano. In quest’ora nella quale si approssimano avvenimenti ardui e gagliardi, in quest’ora nella quale continuamente deve crescere la virtù di sacrificio per il popolo italiano; in quest’ora nella quale conviene raddoppiare la vigilanza e la difesa, contro i nemici coperti e palesi, in quest’ora è mestieri più che mai che l’anima del Governo batta insieme con l’anima del popolo italiano, che voi così bene esprimete, e ne tragga ispirazioni, consigli e impulso. Voi ci avete detto, Senatore Mangiagalli, la prima opera vostra, ed io ho avuto la fortuna di ammirare entusiasticamente come i vostri comitati siano una milizia di bene.
Invero tre sono gli eserciti che in questo momento combattono per la Patria: il vero, il sommo Esercito dei nostri soldati, maraviglioso; quello dei nostri marinai che combattono più di quanto crediamo ed ai quali è destinata la sublimità, a volte tragica, del silenzio; e l’altro, intorno a questo esercito che combatte, muore e vincerà, l’esercito confortatore delle donne pietose che negli ospedali consolano tante sofferenze e tante angoscie. Siete voi, che tenete alto lo spirito del popolo italiano, di questo popolo mirabile per la virtù e disciplina, che compie prodigi in gran parte dovuti all’opera vostra. Essa è necessaria come quella dei combattenti, perchè il giorno in cui lo spirito pubblico declinasse, in cui non avessero più palpito i nostri cuori e fossero abbandonate le nostre famiglie, quel giorno il deserto dell’anima del paese si stenderebbe pur troppo anche nei cuori che combattono alle trincee.
Il tempio della concordia, amico Apolloni, che voi avete fatto risorgere con la vostra parola dinanzi ai nostri occhi, questo tempio lo hanno edificato i vostri Comitati, i quali tutte le varie età fusero in un’età sola: dagli uomini che lungamente prepararono quosti giorni ai giovani che si sono dedicati alla vigorosa opera patriottica. La gioventù italiana, o signori, si è mostrata e si mostra mirabile in tutte le opere sue e coloro che calunniarono la concordia delle genti italiane fanno oggi dell’italica gioventù il più glorioso esempio. E i nostri giovani riallacciano i giorni presenti ai giorni più gloriosi del nostro Risorgimento, il quale più si va svolgendo e più acquista eloquenza di virtù e fulgore di luce. Voi, o Signora, avete affermato l’opera delle donne italiane, per cui giustamente ci avete ammoniti; la vostra opera merita tutto il nostro plauso, e voi ci avete enunciata una grande verità dicendo che voi donne ci insegnate specialmente a vincere gli egoismi. Le donne italiane, dalla più colta alla meno dedita ai campi d’idealità, svelò le sue mirabili virtù, fino a quelle lavoratrici dei campi alle quali dobbiamo se la nostra agricoltura non è andata deserta e a quelle lavoratrici delle nostre officine, le quali danno tanta opera per la nostra guerra.
I vostri nidi, o donne lombarde, sono la perfezione dell’educazione: mentre le donne che appartengono ai nostri Comitati, rivolgono la loro opera di bene non solo ai nostri prigionieri, ma ai soldati delle nazioni amiche che vengono tra noi; le nostre donne, come confortano, come animano, come istruiscono i nostri soldati, così danno il saluto dell’amicizia e della fraternità ai prodi delle schiere alleate, che transitano per i nostri paesi. Guardate alla Stazione di Roma: non passano le schiere valorose delle Argonne e di Verdun senza il sorriso e il conforto delle patriottiche donne romane; non passano senza il loro saluto ed il loro conforto le schiere dell’esercito inglese, che è destinato a scacciare dall’età nostra i resti della barbarie turca.
Lo ha detto l'amico Comandini, molte cose restano ancora a fare ed è bene che ogni Comitato assuma una speciale opera rispetto alle condizioni di ciascuna località. Così dobbiamo pensare a dare soccorso specialissimo a quelle popolazioni che, per necessità di guerra, furono allontanate dalle loro dimore; a quelle che più vivono vicine ai pericoli della guerra. Nelle città, dove le industrie danno larghi guadagni, gli operai facciano opera migliore di quella che può fare ogni legge; pensino al domani; e coloro che vivono in paesi dove non vi sono guadagni delle industrie, come nel Mezzogiorno, sappiano che l’Italia conosce quanto quelle popolazioni danno alla guerra e con il loro sangue e con l’intrepido animo. E voi, che vivete nei paesi marittimi, voi in questo momento avete speciale opera da compiere: dovete rincuorare i nostri navigatori perchè continuino a percorrere le vie dei mari, nonostante la ferocia dei nostri nemici. A voi è affidata questa opera. Poichè dalia virtù, dalla persistenza, dal coraggio dei nostri navigatori dipenderà se il nostro Paese potrà avere la vittoria che è necessaria per la sua vita e per la sua vitalità. E i nostri navigatori porteranno nei mari il nostro tricolore intorno alle stelle più fulgenti della grand Repubblica Americana.
Tutti quanti unitevi all’opera del Governo, perchè non dobbiamo dimenticare i pericoli da cui siamo circondati, l'opera di spionaggio e quella dei banditori di false notizie che in varie guise cercano di deprimere il sentimento delle famiglie lontane ed il sentimento dei soldati combattenti. Voi ricordaste, amico Apolloni, che noi siamo qui in Campidoglio e che mercè questo Congresso tutta Italia è qui convocata; ci siete voi romani, voi con i ricordi di quella Repubblica del 1849 che così alta affermò la virtù latina: e voi che venite da Milano, dalla città delle Cinque giornate che ha visto sempre fuggire i tedeschi, che impressero quella lapide che l’Italia redenta ha spezzato a gloria di Milano ed a protesta che nessun’altra vittoria tedesca potrà mai ripetersi in Italia.
Ci siete voi, cittadini di Torino, dove Carlo Alberto mosse con le sue file alla prima guerra dell’Indipendenza italiana, e Venezia che pare non abbia mai fine nella sua virtù di sacrificio, nel suo patriottismo; l’Emilia che nel 1859 affermò l’unità d’Italia e Bologna che insegnò come si combatte contro gli austriaci e tutta la Romagna, anche socialista sì, anche repubblicana, ma sopratutto italiana. E Napoli che scuote nei suoi mari le catene dei suoi gloriosi galeotti e Palermo dove non cessano mai di suonare le campane e Firenze che dava all’Italia Niccolò Macchiavelli, il più grande precursore di Giuseppe Mazzini per l’unità della Patria. Voi, On. Comandini, avete qui citato i versi del grande Poeta dei nostri giorni; ed io mentre sentivo quei versi ricorrevo col pensiero ai poeti, irradiati dalla luce del Campidoglio. Qui fu incoronato Francesco Petrarca. Per troppo lungo tempo egli fu conosciuto soltanto come il cantore di Laura. Egli fu anche il cantore dell’Italia, delle sue speranze, del suo avvenire. La corona data a Petrarca in Campidoglio, rifiorisce ora con l’alloro della Patria e si avvolge nel nastro tricolore. Lo spirito suo deve allietarsi in questo momento perchè l’Italia nostra corrisponde al suo profetico canto e perchè la virtù ha preso le armi davvero e il valore italiano dimostra che non è morto e non morrà mai. Ci sia dato ripetere i versi del Carducci e del Petrarca insieme al saluto che muove dal Campidoglio. Ci sia dato ripetere questo saluto a Trento ed a Trieste ed a tutte le genti italiane che sono sul Mare Adriatico. (Applausi unanimi e fragorosi).
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Nel febbraio 1917 ebbe luogo a Roma la conferenza interparlamentare coll’intervento dei più illustri parlamentari delle Nazioni alleate.
Il Presidente del Consiglio dei Ministri On. Boselli, il 24 di tal mese, dette in onore dei delegati un ricevimento alla Consulta nel quale pronunziò il seguente discorso:
Sono felice di salutarvi in nome della fratellanza che si afferma nelle nostre idee, nei nostri atti e che i ì nostri soldati consacrano col loro sangue.
Il mio pensiero corre alla Marna, a Verdun, a quella gloriosa terra di Francia, ove ogni uomo è un soldato e ogni soldato un eroe; a quella fremente terra di Francia ove nel cuore di ogni cittadino batte tutto intero il cuore della Patria. Avete veduto testè come i soldati italiani, infiammati dal coraggio del Re e valorosamente condotti, moltiplicano i prodigi, lottando contro difficoltà incomparabili. Come nell'anima dei nostri soldati di Italia e di Francia risplende una fede comune e incrollabile nella completa e immancabile vittoria delle armi alleate, così dalla concordia dei rappresentanti dei nostri due paesi si leva una sola voce: una sola volontà, sicura, serena, pienamente fiduciosa agisce ed agirà invincibilmente pel trionfo delle nostre immortali idealità.
Sono felice di salutare in Voi, parlamentari illustri, uomini di Stato eminenti, scrittori insigni, oratori possenti, l’alta e magnifica tradizione delle Camere francesi: tradizioni di libertà, di eloquenza, di rigenerazione sociale.
Sono felice di salutare in voi la meravigliosa ispirazione del presente eroico, che ci commuove e ci unisce; di salutare in Voi l’alleanza intima e duratura che ci condurrà con uno stesso animo, mediante sforzi comuni verso destini sempre più alti, per il progresso della scienza, l’elevazione del pensiero, le vittorie del lavoro, i diritti dei popoli garantiti dalla giustizia internazionale sulla base delle nazionalità rispettate e restaurate.
Giacchè i nostri voti sono rivolti alla civiltà tutrice dei diritti dei popoli e dei sentimenti che più onorano l’umanità; e, formulando questi voti, io penso all’opera luminosa della Francia, che con la sua Rivoluzione rivendicò questi diritti e questi sentimenti, che sono divenuti, da allora, appannaggio comune delle nazioni civili. Penso alla Francia, nostra amata sorella, che lottò vittoriosamente con noi contro gli stessi nemici di oggi, a Magenta e a Solferino; e, mentre nel mio animo risuonano le note esaltatrici del vostro inno nazionale, che oggi non è nè repubblicano nè monarchico, ma è l’inno della civiltà in armi, interpreto il sentimento unanime e profondo dei miei concittadini innalzando la mia voce nel grido di: Viva la Francia!
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Verso la metà del mese di marzo ebbe 1 ogo a Roma la conferenza interparlamentare del Commercio con i rappresentanti degli Stati alleati.
Il 17 di detto mese il Presidente del Consiglio On. Boselli diede un ricevimento, alla Consulta, in onore dei delegati e in quell’occasione pronunziò il seguente discorso:
Mi è grato rivolgervi il saluto del governo che ho l’onore di presiedere e del popolo italiano, ch’è lieto di ospitarvi e che accompagna i vostri lavori con fiducia nella nobile, saggia ed effettiva opera vostra e ravvisa in voi con sentimenti cordiali la rappresentanza dei Parlamenti e delle nazioni che custodiscono la divina fiamma dèll'umana fraternità.
Il mio saluto esprime la fede comune nel progresso del lavoro umano e conferma il patto di solidarietà che ci unisce nel proposito di cooperare insieme ai futuri destini della civiltà. Questi deriveranno da un nuovo assetto degli Stati fondato nelle garanzie di una pace duratura consacrata dal diritto e avvalorata dalla operosità dei popoli liberi. Oggi ci unisce una guerra giusta, guerra di difesa, di risurrezione del diritto conculcato, di compimento della vita nazionale. Domani proseguiremo uniti ad elevare il pensiero che crea e ad animare con nuovi impulsi l’attività dalla quale si diffonde la prosperità dell’umana famiglia. Tra noi non esistono più le barriere di pregiudizi antichi e noi vogliamo che la concorrenza economica sia scuola di libera energia, non lotta di rivalità dannosa per tutti. Vi è anche nel mondo della produzione e dei commerci un’armonia che non solo giova al sentimento, ma che è pure consigliata dalla ragione.
Si incontreranno i nostri produttori e i nostri commercianti più che mai confidentemente. Insieme lavoreranno con sempre maggiore cordialità i nostri operai. Le nostre navi correranno sollecite e fortunate, così come oggi corrono costanti ed ardite i mari infestati presentemente dalle barbariche offese le quali non solamente sono onta e delitto per i loro autori, ma lascieranno indelebile ricordo in tutto ciò che è la vita delle nazioni e reciproco scambio di sentimenti e di opere. L’Italia risponde con voti concordi ai voti di voi che rappresentate popoli alleati oggi nelle armi combattenti, alleati sempre per il trionfo della civiltà.
A voi il nostro saluto, a voi l’espressione dei comuni augurii; alla Francia, alta pensatrice, fervida ispiratrice, meravigliosa guerriera; all’Inghilterra che non cesserà mai di sorgere rivendicatrice delle libere nazioni; al Belgio che deve elevarsi così felice e intangibile nella risurrezione, come oggi è glorioso nel patriottismo eroico e nella santità del martirio ineffabile, che qui si personificano nel cittadino insigne di Bruxelles, cittadino di tutte le patrie dove si onora la forte e civile virtù; a voi rappresentanti del Giappone, lume di civiltà; a voi
- Portoghesi, cui tante memorie di idealità ci avvicinano; a voi figli della Russia che rivendicatasi in libertà recherà alla guerra della civiltà una novella forza; a voi figli della Serbia, nella cui anima vigorosamente temprata, lègge commossa e bene augurante l’anima italiana; a voi Rumeni, dei quali sentiamo intimamente il grido doloroso e partecipiamo le generose aspirazioni: a voi il nostro saluto: a voi l’espressione dei comuni augurii.
E insieme, o Signori, salutiamo quegli Stati Uniti di America il cui pensiero è fra noi, perchè è concorde col nostro per tutto ciò che ci unisce oggi, che ci unirà per l’avvenire. Venga al vostro Congresso, da Roma, l’auspicio che non può fallire perchè è l’auspicio fondato sulla santità del diritto e sopra quelle conquiste civili che danno alla attività economica di ciascun popolo e alla solidarietà economica fra tutti i popoli luce, forza e vittoria.
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Il 10 Aprile 1917 fu solennemente inaugurata, in Campidoglio, la Mostra fotografica di guerra, ideata ed orgmizzata da un Comitato di cui era anima la Contessa Cadorna. L’Assessore Leonardi dette il benvenuto ai presenti in nome di Roma e p On. Federzoni chiarì, in nome del Comitato ordinatore, le ragioni e gli intenti della mostra. L’on. Boselli pronunziò, in quell’occasione le seguenti parole:
Signore, Signori,
Alla glorificazione, a cui ci invitò l’oratore eloquente, al proponimento, al quale egli invocò tutta l’opera nostra, noi consentiamo con tutta la nostra mente, con tutto il nostro cuore. Ah sì, da questo Campidoglio vada a coloro che combattono, e che si accingono a combattere per la libertà delle Nazioni, il saluto ardente e fraterno della nostra ammirazione, vada l’augurio sicuro della vittoria gloriosa.
La Esposizione, che noi oggi inauguriamo, è documento di storia imperitura; e perciò era degna ed è degna di venire accolta in questa sede. Questa Esposizione corrisponde a tutto ciò che in queste ore esalta il nostro pensiero, commuove le anime nostre, perchè noi viviamo sopra tutto con coloro che combattono per l'Italia nostra e per la civiltà del mondo. E primamente con i soldati che conduce il consorte vostro - o esimia Presidentessa dell’Istituto dei Mutilati - con i soldati che il consorte vostro conduce tra il plauso ed il palpito di tutta Italia: al modo stesso che un giorno Carlo Cadorna compendiò in sè l’anima ed il pensiero del Piemonte, quando riceveva dalle mani di Carlo Alberto quel patrimonio di libertà, che trasmetteva a Vittorio Emanuele II: al modo stesso che Raffaele Cadorna compendiò in sè l’anima e il pensiero di tutta Italia, quando compiva in Roma l’unità nazionale; e in quel giorno si congiungevano e conciliavano nelle libertà: fede e patria.
La guerra che oggi si combatte è lotta dell’umanità e della civiltà contro un nuovo sogno di Monarchia universale; e da questa guerra formidabile una nuova storia incomincia.
Ed è bello ed è giusto che questa nuova storia si auspichi da Roma, dove non solo, come disse testè un oratore che avvinse gli animi nostri, si combattè contro Cartagine infida, ma dove Virgilio annunziò i secoli nuovi; in questa Roma, donde è bello ed è giusto pronosticare tutto ciò che nell’avvenire dei popoli significherà giustizia, libertà, scienza purificata da tutti gli egoismi: tutto ciò significherà lavoro esaltato e santificato nella pace sociale.
Sì, amico Federzoni, voi avete fatto vivere innanzi a noi l’immagine degli eroici combattenti, i loro prodigi e i loro dolori. Ma io scorgo intorno alla loro immagine - poichè non mai come oggi noi viviamo in mezzo alla nazione armata - la visione di tutto il popolo che li circonda e che li anima. É la visione di quella Francia, la quale, mirabile nei lavori dei suoi campi e delle sue officine, luminosamente geniale nella sua Parigi, assistette impavida all’abbattimento dei suoi monumenti, al divampare dei suoi castelli, alla devastazione dei suoi villaggi e delle sue campagne, e sempre innanzi procedette; onde oggi sono mille e mille i crociati, moventi alla liberazione delle città sante di Francia; come quei soldati, che un giorno i nostri avi conobbero in Italia suscitatori della libertà della nostra gente; come quei soldati che nella mia gioventù ho visto giungere tra noi per combattere con noi a Magenta e a Solferino.
E rincalzano i combattenti del Belgio; rincalzano quelle falangi di oppressi e di intellettuali, invocanti che Lovanio risorga col suo Cardinale eroico, invocanti che nelle officine del Belgio sia restaurata la libertà del lavoro nazionale: invocanti la risurrezione di quelle mirabili istituzioni, opera e vanto di tutti i partiti: delle mirabili istituzioni di quel Paese, che pareva piccolo ed era invece grandissimo nella sua intellettualità. Illustre Ambasciatore del popolo inglese; se Shakespeare romanamente — ed uso la parola romanamente nel senso classico e storico - parlò con Coriolano e con Giulio Cesare, l'Inghilterra oggi romanamente si ispira ed opera. Essa, che tempera gli uomini al senso della libertà individuale, ma li astringe severamente al culto della patria; essa pensa come Adamo Smith, ma opera, per la Patria, come Oliviero Cromwell. Nella libertà l'Inghilterra ha fortificato sè stessa; poiché propagandola nelle sue colonie, centuplica le sue forze. E poiché vedo qui l’Ambasciatrice, non posso dimenticare come le donne inglesi ai nostri esuli siano state propizie di sorrisi e di aiuti; non posso dimenticare come e il Ruffini e il Mazzini e tutti gli altri esuli nostri abbiano sempre trovato nella vostra Inghilterra una seconda patria.
Un nuovo soffio di vita, e perciò un nuovo impeto di guerra per la civiltà, anima il popolo russo; noi abbiamo sentita l'anima russa nelle espressioni sublimi del suo antico dolore; oggi la salutiamo nella letizia del suo rinnovamento. E salutiamo quella Romania, la quale ebbe tante tradizioni comuni con noi, con la quale recentemente tanto sperammo, per la quale tanto ansiosamente palpitiamo. Romania alla quale il suo Re annunziava testé nuove ed ampie riforme e politiche e sociali. E in un fervido saluto ancora l'animo nostro unisce gli altri strenui combattenti per la giusta causa comune, dal Portogallo ai Balcani, all’Oriente estremo.
Commossi rivedremo nelle fotografie le gesta dei nostri soldati e dei nostri marinai; dei nostri soldati che nulla sgomenta e che nulla arresta fra le asprissime Alpi; dei nostri marinai, che nulla turba fra le barbariche insidie. I nostri soldati e i nostri marinai adempiono superbamente il mandato che l’Italia ad essi affida; al modo stesso che il suo dovere adempie tutto il nostro Paese, con la sua resistenza, con i suoi sacrifìci, con la sua costanza. L’Italia entrò in guerra per due grandi idealità: per la idealità della propria nazionalità non ancora compiuta, per l’idealità della umanità e della civiltà.
Io non saprei e nessun di voi saprebbe concepire in Roma un’Italia, la quale non avesse pensato a raggiungere tutti i termini suoi; la quale fosse rimasta estranea a questa lotta immensa della civiltà e della umanità. Un’Italia, che fosse stata così vilmente neutrale, sarebbe stata un’Italia indegna di essere giunta a Roma, un’Italia, che avrebbe contraddetto tutto il suo passato, che avrebbe abdicato a tutto il suo avvenire. Ma contraddire il suo passato, ma abdicare al suo avvenire non poteva l’Italia; qui Monarchia e popolo sono di un solo sentimento, e di un volere solo. Quella Monarchia nazionale, senza cui non si sarebbe compiuta la unità d’Italia; quella Monarchia Nazionale che, fautrice continua di ogni progresso politico e sociale, si è sempre più identificata con il popolo suo; quella Monarchia nazionale, che oggi, con la persona del suo Re, è in mezzo ai soldati e nella persona del suo Re vede fondersi, in una perfetta unità patria i combattenti di tutte le parti d’Italia; quella Monarchia nazionale, che sola può essere anima a guarentigia delle nostre fortune avvenire. E il generoso popolo italiano non poteva non partecipare a questa guerra di liberazione, a questa guerra di civiltà, perchè il popolo italiano non solo sa, ma sente la propria storia. Signori,
Quasi seicento anni or sono da questo Campidoglio Cola di Rienzo annunziava a tutte le città d’Italia, della sacra Italia - come ei diceva - la loro libertà. Cola di Rienzo, sei secoli or sono, convocava nel Campidoglio, per giudicarli, gli Imperatori e i Principi tedeschi, ingiungendo loro di presentarsi davanti a lui e agli altri magistrati del popolo romano. Oggi da un altro Campidoglio il Presidente Wilson ha bandito il verdetto dell’umanità. I combattenti dell’Intesa daranno a questo verdetto la consacrazione della vittoria; e da questo sublime verdetto e dalla immancabile vittoria si formerà perenne il patto di libertà e di giustizia: il patto del pensiero concorde nella vera civiltà, il patto del lavoro fraterno e fecondo: il patto di amore, di fede e di progresso fra tutte le genti civili.
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Il 14 di detto mese alcuni amici ed ammiratori del Signor Thomas Nelson Pace, ambasciatore degli Stati Uniti di America, che avevano dichiarato la guerra alla Germania, dettero una colazione in suo onore, che assunse il carattere di una alta manifestazione italo-americana. Fu tra i convitati, insieme con alcuni Ministri l’On. Boselli che, al levar delle mense, si alzò e disse:
Alzo il bicchiere e saluto in voi, con fervido sentimento, il Presidente ed il popolo della grande e libera repubblica americana, potente nelle idee, potente nelle opere.
Saluto in voi, con sentimento cordiale, l’Ambasciatore che alla devozione incomparabile verso la sua Patria sempre congiunse l’amicizia verso l’Italia, precorrendo col pensiero e col desiderio gli attuali auspicatissimi eventi.
Dell’Italia voi conosceste fin dalla vostra gioventù i monumenti e la storia; nei vostri preclari libri è frequente il riflesso della romana classicità; e poichè siete un americano perfetto avete con noi quella parentela innamorata dell’arte che tanto stringe insieme il genio dei due popoli, quella parentela ideale per cui nella poesia di Longfellow è tanta concordia coll’anima italiana.
Dal vostro Paese, esempio di ogni energia nel lavoro, di ogni iniziativa nel progresso; dal vostro Paese sempre eroico e vittorioso quando affrontò i cimenti della guerra: dal vostro Paese viene oggi l’affermazione sublime del diritto, il verbo che rivendica insuperabilmente le sante ragioni della umanità.
Giorgio Washington nel discorso perennemente mememorabile che pronunziò deponendo il supremo comando palesava come si fosse risolto a capitanare la lotta solo allora quando gli apparve pienamente luminosa la rettitudine della causa per cui moveva a combattere. La eccelsa tradizione di Washington rivive intiera nel Presidente Wilson; anima oggi ardentemente tutto il popolo americano.
Voi sapete, Ambasciatore d’America, amico dell’Italia, voi sapete come l’Italia, che ha istituzioni di libertà uguali essenzialmente a quelle del vostro Paese, scese in guerra, per impulso di alte idealità nazionali e civili. E voi vedete come l’Italia, con le gesta dei suoi combattenti, con la forza delle sue industrie, con la robustezza del suo credito, con la resistenza di tutto il Paese, in tutte le forme dell’attività del consenso e dei sacrifìcio, compia la sua impresa, partecipi alle imprese dei suoi alleati. Tutto porta a sempre più rinsaldare Tintimità fra il popolo americano ed il popolo italiano. Va il mio pensiero a quanti della vostra gente furono o sono in Italia ospiti graditi, cultori di nobili studi, uomini operosi negli affari, nelle industrie, nel lavoro; donne adorne di squisito intelletto e di amabile gentilezza. Rivolgo al vostro ospitalissimo Paese, dove Giuseppe Garibaldi nel conforto dei vostri focolari visse i giorni dello risorgenti speranze; rivolgo al vostro ospitalissimo Paese il saluto di quelle falangi d’italiani che tornati in Patria lo rammentano con ammirazione e con affetto, e che partecipano oggi quasi come cittadini delle due Patrie ai sentimenti che inspirano in tutti i mondi le fortissime risoluzioni del Presidente, del Congresso, del popolo americano. Da lunga ora i navigatori dei nostri due paesi conoscono i mari che voi difenderete validamente, che difenderemo insieme con voi dalle insidie barbariche: oggi congiunti nella guerra della civiltà, domani nuovamente congiunti nell’attività dei traffici rinnovati, ampliati, rinvigoriti.
Signor Ambasciatore,
tratto tratto una nuova stella si aggiunge alla bandiera degli Stati Uniti d’America. Oggi il Presidente Wilson illuminò la vostra bandiera con una luce solare che si diffonde rifulgentissima per tutti i mondi. Concedete che salutando la gloriosa bandiera in nome dell’Italia, io rammenti di essere figlio di quella terra che vide nascere Cristoforo Colombo, figlio di quella città dove Colombo fanciullo intese del mare le prime confidenze rivelatrici. Concedetemi che con questo ricordo io beva ferventemente, cordialmente, con pienezza d’italianità, alla gloria di Wilson, del Congresso e del popolo degli Stati Uniti di America, che io beva alla sicura e giusta vittoria della nostra guerra, nostra per tutto ciò ch’è virtù delle anime nostre, per tutto ciò ch’è fede e promessa del nostro avvenire, per tutto ciò che deve formare nella pace della libertà un popolo solo di tutti i popoli civili.
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Dopo che gli Stati Uniti di America ebbero dichiarato la guerra alla Germania la Francia e l’Inghilterra inviavano in quello Stato delle Missioni diplomatiche straordinarie per rendere omaggio al Presidente Wilson e al popolo americano per l’atto generoso che dava alla guerra comune il più alto suggello di idealità.
Altrettanto, se pure con qualche ritardo fece l’Italia inviando in detto Stato una Missione che fu presieduta da S. A. R. il Principe di Udine, cugino di S. M. il Re e composta dal Ministro dei Trasporti On. Arlotta, dal Sottosegretario di Stato per gli affari Esteri On. Borsarelli, dall’ex Ministro On. Ciuffelli, dal Senatore On. Marconi e dall’ex Ministro Nitti.
La Missione fu ricevuta a Washington il 24 maggio 1917 dal Presidente Wilson, al quale S. A. R. il Principe di Udine consegnò il seguente messaggio di S. M. il Re.
«La Missione, della quale è a capo mio cugino il Principe di Udine, vi reca, insieme col mio cordiale saluto, il saluto fervidissimo di tutto il popolo italiano, che antichi vincoli di amicizia e di concorde attività sempre unirono a codesto libero, possente paese del quale tanti italiani conoscono l’ospitalità e serbano, tornando in patria, inestinguibile ricordo. La Vostra alta parola in nome della giustizia fra le nazioni, che è sembrata la parola stessa di Roma antica e immortale, commosse profondamente il cuore del popolo italiano che ne trasse più viva la fede in una umanità rinn vata e fatta mig iore. Informandosi ai medesimi principi, da Voi luminosamente proclamati, l’Italia entrò in guerra, a difesa del diritto nazionale violato e dell’umanità offesa, entrò in quella medesima guerra nella quale ora Voi portate, insieme con nuova luce morale, nuove forze di poderoso valore atte a far sicura la vittoria del diritto e della libertà e ad affrancare i mari dalla più iniqua delle barbarie.
L’Italia è scesa in campo mossa dalla sua fede nei diritti della civiltà, mossa dal suo dovere nazionale di redimere gli italiani oppressi da un dominio straniero che troppo a lungo e troppo implacabilmente volle togliere ad essi ogni soffio di vita italiana; l'Italia scese in campo per rivendicare e ristabilire le condizioni necessarie alla sua sicura e compiuta esistenza. Spunta l’alba di una nuova êra nella storia dell’umanità. Voi non solo proclamaste la giustizia della nostra guerra, ma già preannunziaste le garanzie di quella pace duratura, che deve raccogliere tutte le umane famiglie in nuovo consorzio, consacrato dal trionfo del diritto, dal progresso del sapere, dalla prosperità del lavoro.
La nazione Americana e la nazione Italiana hanno pari quei sentimenti, quegli intenti e quelle istituzioni, che caratterizzano e guarentiscono ai dì nostri la vita e l’ascensione della democrazia, nerbo di tutte le libertà politiche, infrangibile vincolo sociale per l’umano progresso.
Sia, dunque, il saluto, che in nome dell’Italia Vi mando, presagio di vittoria e auspicio della unione, da Voi così altamente preconizzata, dei popoli civili nella pace della giustizia e della libertà.»
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La Missione italiana ebbe le più cordiali accoglienze non solo dal Presidente Wilson e dalle autorità americane ma da tutto il popolo americano, perchè essa visitò le più importanti città degli Stati Uniti, sollevando dovunque le più vive manifestazioni di simpatia verso il popolo italiano, cementando così i vincoli di comune lavoro che da tanto tempo uniscono il popolo italiano con la potente Repubblica Americana.
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Il 4 luglio 1917, ricorrendo l’anniversario della dichiarazione della indipendenza degli Stati Uniti di America, il Comune di Roma promosse in Campidoglio, nel Salone degli Orazi e Curiazi, una grandiosa manifestazione italo-americana. Vi intervennero Ministri e Sottosegretari di Stato, Deputati, Senatori, Ufficiali, Magistrati e le più spiccate personalità della capitale. Vi intervenne l’Ambasciatore americano Nelson Page e il Presidente del Consiglio On. Boselli, che portò il saluto della intera Nazione agli Stati Uniti con le seguenti parole:
La civiltà progrediente degli ultimi due secoli apprese da Washington come i popoli combattano e vincano per la propria indipendenza e come le società democratiche si sappiano costituire in vigoroso stato di ordine e di libertà, e senti da Lincoln la magnanima parola che si levò alta a proscrivere la schiavitù dall’umano consorzio. Annunziò ora Wilson un’èra nuova di civiltà per tutte le genti e ne proclamò i diritti, ne stabilì la costituzione rinnovatrice nelle relazioni degli Stati e propizia ai giusti sentimenti delle nazioni. L’Italia onora stasera in Roma la grande Repubblica Americana rievocando le glorie della missione civile ch’essa adempie nel mondo. L’Italia onora stasera l’insigne Presidente che oggi la impersona.
In questo Campidoglio, lume di una civiltà immortale, giova affermare i principii della nuova civiltà destinata a consacrare le rivendicazioni nazionali nella pace del diritto e della libertà.