Capitolo XXI. Iole, Reina di Etolia

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Giovanni Boccaccio - De mulieribus claris (1361)
Traduzione dal latino di Donato Albanzani (1397)
Capitolo XXI. Iole, Reina di Etolia
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IOLE fu figliuola di Eurito, re di Etolia, e fu una donzella bellissima tra le altre del paese. E sono alcuni che dicono, quella essere stata amata da Ercole domatore del mondo; lo matrimonio della quale avendogli promesso Eurito, dicesi, che per isconforto d’un suo figliuolo, dappoi egli gliel negava. Per la qual cosa irato Ercole mosse contro a quello gran guerra, e quello uccise, e prese l’amata Iole: la quale certamente più toccata dalla morte del padre, che dell’amore del marito1, cupida di vendetta2, con maraviglioso e costante scaltrimento, con finto amore coperse l’animo che aveva3; e con lusinghe, e con lasciva piacevolezza trasse Ercole a sì caldo amore di sè, che assai s’accorgeva che Ercole non le negherebbe alcuna cosa che gli domandasse. E per questo, come se ella avesse avuta paura dello amante così orribile, disse innanzi l’altre cose a quello forte uomo, che egli riponesse la mazza, con la quale egli aveva domati miracolosi animali, che egli mettesse giù la pelle del Leone Nemeo, insegna di sua fortezza, fecegli mettere giuso la ghirlanda di pioppo, l’arco e le saette: le quali cose non bastando al suo animo, più arditamente presunse contro al suo nemico, avendo pensato con che arme gli potesse nuocere. E primieramente gli comandò che egli s’ornasse le dita delle mani, e che egli si ungesse la testa con unguenti Cipriani, che egli si pettinasse i capelli, e ungesse la irsuta barba, e ornassesi con fanciullesche ghirlande e con la mitria Meonia. Più, gl’impose4 che egli si vestisse di porpora e di veste delicate; pensando quella giovinetta, molto più aver fatto con l’inganno d’avere invilito sì robusto uomo con le lascivie, che averlo morto col ferro e col veleno. E certo non pensando avere assai fatto alla sua indignazione5, tanto operò in lui, che condusse quello dato alle delicatezze, che eziandio tra le femminette, a modo di femmina sedendo, contava le favole delle sue Fatiche; e pigliando i fusi filava la lana con rocca; e le dita6, che erano state dure a uccidere i serpenti, essendo egli nella forte età, le faceva morbide a filare la lana. E certamente non fu piccolo argomento a quelli che vogliono guardare l’umana debilità, e la malizia delle femmine. Dunque con quella deliberazione l’animosa fanciulla mossa contro a Ercole con perpetua vergogna vendicò la morte di suo padre non con armi, ma con inganno e con lascivia, e fecesi degna dell’eterno nome. Perchè di quanti miracoli Ercole condusse trionfi, di tanti più gloriosamente trionfò Iole, la quale uccise lui solo. Questa pestilenziosa passione è stata avvezza7 a accostarsi a delicate fanciulle, e molto spesso pigliare lascivi e viziosi giovani; perchè l’amore è disprezzatore della gravità ed amatore della leggierezza8: e perciò è egli maggiore miracolo che egli sia entrato nel durissimo petto di Ercole, che non furono quelle cose che spesse volte egli domò. La qual cosa non dee dare poco, di paura, e d’ismarrimento ai solleciti d’amore, essendo manifesto come sia forte e possente nemico. Dunque è da vegliare, e da armare9 i nostri cuori con molta fortezza; perchè noi non siamo vinti contro a nostro volere. Dunque al principio si dee far resistenzia; deonsi frenare gli occhi10, sicchè non veggano la vanità, serrare le orecchie come l’aspide, con contrarie fatiche, domare la lascivia:, perchè l’amore s’offerisce lusinghevole a quegli che non si guardano, ed è piacevole nella prima entrata, con allegra speranza conforta ad ornarsi lo corpo, ad ornare i costumi11, a lepori, a balli, a canti, a suoni, a giuochi, a brigate, e a simili cose. Ma poichè egli con matte lodi ha occupato tutto l’uomo, e vinto la libertà, messe le catene e i legami alla mente, indugiando i desiderj oltre alla speranza, desta i sospiri, non facendo alcuna differenza dai vizj alla virtù purchè segua suo appetito, ponendo nel numero de’ nemici ogni cosa che è contraria a questo: ardendo le fiamme, va e torna, non istancandosi, lo desiderio: cercasi la cosa amata, e, replicando spesso lo vedere12, sempre si contraono nuovi ardori; e non essendo possibile pentirsi13, piangesi, e dirannosi prieghi unti per lusinghe, trovansi ruffiane, promettonsi doni, donasi, gittasi e alcuna volta s’ingannano le guardie, e con lo vegghiare si pigliano i fortificati cuori. Alcuna volta si arriva al desiderato abbracciare: allora lo diletto, nemico dell’onestà, e confortatore dei peccati, cacciata via la vergogna e l’onestà, con una bruttura apparecchiata ai porci manifesta le scellerate blandizie14. Allora cacciata la temperanza, e chiamata la lussuria calda di mangiare e di bere, tutte le notti si consumano in vituperosa lascivia, nè per questo s’ammorta quel furore, anzi molto spesso s’accresce in maggiore fiamma. Per la qual cosa addiviene, che Ercole cada in quella vituperosa obbedienza: ismenticansi gli onori, consumansi le ricchezze, armasi l’odio, spessissime volte si sottentra a’ pericoli della vita: nè queste cose mancano di dolori15: avvengono le contenzioni e paci brievi, e da capo sospetti, morte delle anime, consumatori dei corpi16. E se gli amanti non vengono a suo desiderio, allora l’amore17 povero di ragione, aggiunto agli stimoli gli sproni, accresce li pensieri, raddoppia lo desiderio, e induce dolori quasi intollerabili da non potergli curare di alcuno rimedio, se non con lagrime e con lamentanze, e alcuna volta con la morte: cercansi vecchiette, domandansi indovini, provansi le virtù dell’erbe, dell’incanti e delle fatture: le lusinghe si convertono in minaccie, pensasi alla forza: dannasi18 lo ingannato amore; e non manca, che alcuna volta questo artigiano de’ mali mette tanto furore, che sospigne alla forza ed a’ coltegli. Oh quanto è dolce, e quanto è soave questo amore! lo quale dovendo noi temere e fuggire, noi lo leviamo in alto come Dio: quello onoriamo, quello umilemente adoriamo, e offeriamogli sagrificio di lagrime e di sospiri, offeriamogli disonestà di adulterj e corruzione, e mandiamogli le corone della nostra disonestà.


Note

  1. Cod. Cass. della morte del marito. Test. Lat. quam sponsi dilectione.
  2. Cod. Cass. chupida diventata. Test. Lat. vindictae avida.
  3. Cod. Cass. chon finto amore chompreso lanimo. Test. Lat. animum finto amore contexit.
  4. Cod. Cass. più gli empiessi che egli si vestisse. Test. Lat. praecepit induere.
  5. Test. Lat. satis suae indignationi satis factum.
  6. Le parole tanto operò in lui tolte dal Betussi erano necessarie all’interezza del senso.
  7. Così volge Betussi il verbo consuevit omesso nel nostro Codice.
  8. Cod. Cass. disprezzatore de diletti e percio. Test. Lat. cum gravitatis cupido sit spretor, mollitiei cultor eximius. Le parole supplite sono del Betussi.
  9. Cod. Cass. da amare i nostri chuori. Test. Lat. armanda sunt corda.
  10. Cod. Cass. stremare gli occhi. Test. Lat. froenandi sunt oculi.
  11. Cod. Cass. chon forza adornarsi lo corpo adornasi chostumi a palore. Test. Lat. suadet ornatus corporum, mores compositos, facetias urbicas, ecc.
  12. Cod. Cass. replicando spesso lo volere. Test. Lat. ex iterato saepius visu.
  13. Cod. Cass. non essendo possibile potersi piangesi. Test. Lat. cum non sit poenitentiae locus.
  14. Cod. Cass. le scellerate blandite. Test. Lat. effundit illecebras.
  15. Cod. Cass. per la qualchosa adiviene che ercole chadde in quella vituperosa obbedienza ismentischasi gli onori chonsumasi le ricchezze amasi lodio ispessissime volte si sottentra a pericholi della vita e tra queste chose manchano avegnino chontenzione e pacie brievi, ecc. Test. Lat. Ex quo fit ut in obbedientiam illam detestabilem Alcides corruat; obliviscantur honores, effundantur substantiae, armentur odia, et vitae saepissime subeantur pericula, nec carent ista doloribus, interveniunt rixae et paces tenues.
  16. Cod. Cass. chonsumatori de tempi. Test. Lat. animorum consumptor et corporum.
  17. Cod. Cass. amante. Test. Lat. amor.
  18. Cod. Cass. domasi. Test. Lat. damnatur.