Capitolo XVI. Medea, Reina dei Colchi

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Giovanni Boccaccio - De mulieribus claris (1361)
Traduzione dal latino di Donato Albanzani (1397)
Capitolo XVI. Medea, Reina dei Colchi
XV XVII


MEDEA, crudelissimo esempio di antica malvagia, fu figliuola di Oete, malvagissimo re di Colco e di Ipsea sua moglie: fu assai bella, e simigliantemente ammaestrata. Ebbe intanto lo cognoscimento delle erbe, che niuno le conobbe meglio; e seppe perfettamente turbare lo cielo, convocare venti dalle tane, muovere tempeste1, fare star fermi i fiumi, fare e comporre veleni, comporre fuochi artificiosi ad ogni incendio, e fare tutte simili cose. E, che molto peggio fu, non ebbe l’animo discordevole dalle arti2; perchè mancandole quelle, parevate levissima cosa usare lo ferro. Questa primieramente amò ardentissimamente Giasone di Tessaglia, in quel tempo maraviglioso giovine per virtù, mandato da Pelia suo zio, il quale avea invidia della sua virtù, in Colco, sotto pretesto di gloriosa andata d’acquistare lo vello dell’oro. E presa della sua eccellenzia, acciocchè ella meritasse lo suo amore, adoperò, che convenuta discordia tra quegli del paese, si movesse guerra a suo padre, acciocchè Giasone avesse spazio di compiere lo suo desiderio. Quale uomo eziandio penserà che in un muovere d’occhi seguisse lo sterminio di uno ricchissimo re? Dunque, commesso quel peccato, avendo meritato lo abbracciane dello amato giovine, con quel medesimo nascosamente si mise a fuggire, portando con quello tutta la sostanza del suo padre3. E non contenta di sì gran fallo, volse a peggio lo crudele animo, perchè pensando che Oete seguisse quegli, fuggendo meno con seco un suo fratello piccolo fanciullo, lo quale, perchè il padre avesse cagione di restare per lo cammino, fece tagliare, e spargere per li campi le membra del detto suo fratello nell’isola di Faside, chiamata Tomitania, per la quale seguendo lei, egli doveva passare; acciocchè dimorando il padre a ricogliere le membra del figliuolo, e piagnerlo, e a seppellirlo, egli desse eziandio spazio a quelli che fuggivano: e non l’ingannò l’opinione, perchè così avvenne. Ultimamente dopo molti errori arrivò in Tessaglia con Giasone, ove ella riempiè Esone suo suocero di tanta letizia, sì per la tornata del figliuolo, come per la acquistata vittoria, e per la preda, e per lo nobile matrimonio, che pareva ritornato in fiorita gioventù. E volendo fare acquistare lo regno di Giasone, seminò zizzania tra Pelia, e le figliuole con sua arte, e armò quelle miseramente contro a suo padre. Poi in discorso d’anni fatta odiosa a Giasone, in luogo di lei tolse Creusa figliuola di Creonte, re de’ Corinti: e sopportando Medea questa cosa impazientemente, e infuriata, divisando più cose intorno a Giasone, alla fine s’inanimò con l’arte sua far fuoco arteficiato, e con quello Creusa, figliuola di Creonte, e Creonte con tutta la casa reale abbruciare4, e vedente Giasone, ella uccise due figliuoli i quali ella avea avuti da lui, e fuggì in Atene, ove Egeo re la tolse per moglie; dal quale ebbe Medo figliuolo dinominato da lei. E avendo tentato indarno5 di uccidere col veleno Teseo, il quale tornava, fuggì la terza volta. E tornata in grazia di Giasone, insieme con lui fu cacciata da tutta Tessaglia da Agelao figliuolo di Pelia, e con Giasone insieme tornò in Colco, e ritornò nel regno il padre, il quale era vecchio e bandeggiato. Ma che alla fine ella facesse, o dove ella morisse, o in che modo, non mi ricordo averlo letto nè veduto. Ma acciocchè io non lasci di dire, non si deve dare troppa licenzia agli occhi; perchè guardando quegli noi conosciamo le bellezze, pigliamo invidia, traiamo a noi ogni cupidità6: movendo quegli si eccita l’ardire7, si loda la bellezza, dannasi indegnamente la bruttezza e la povertà, e non essendo ammaestrati giudici, solamente credono alle parti di fuori; spesse volte premettono quelle che sono vituperose alle sacre, e quelle che sono faticose, spesse volte alle allegre, e commendando le cose che si devono vituperare, in piccolo spazio bruttano alcuna volta gli animi di vituperosa corruzione. Questi ignoranti son presi, tratti, rapiti, e tenuti con mordaci vizj8 dalla bellezza eziandio giovanile con piacevoli sollazzi. E perchè quegli sono le porte del petto9, per quegli entra la cupidità nella mente; per quegli passano i sospiri, e appigliano lo cieco fuoco; per quegli il cuore manda fuori lamenti, e mostra le sue disoneste affezioni. I quali se alcuno conoscesse bene, o terrebbegli serrati, o direrebbegli al cielo, o egli se li ficcherebbe a terra; e niuna via fuori di questa è sicura, E se al postutto si conviene adoperarli, debbonsi costringere col freno sì che egli non vadano discorrendo. La natura vi ha fatta la porta non solamente perchè sieno serrati dormendo, ma perchè contrastino alle cose nocive. E certamente se Medea avesse serrati quelli, e avesseli piegati ad altra parte quando desiderosa li dirizzò in Giasone, sarebbe durata lungamente la potenzia del padre, la vita del fratello, l’onore di sua verginità sarebbe durato netto. Le quali cose tutte perirono per la disonestà di quegli.


Note

  1. Cod. Cass. chonvochari venti dalle tane, venire tempeste. Test. Lat. tempestates movere.
  2. Cod. Cass. dischordevole degli altri. Test. Lat. ab artibus fuit dissonus.
  3. Cod. Cass. seguendo di quella la distruziona della sua patria tutta. Test. Lat. cum eodem secum patriam omnem substantiam trahens. Betussi: portando seco tutto il tesoro, e ogni ricchezze del padre.
  4. Cod. Cass. il luogo di lei tolto Creusa figliuola di Creonte ovvero che ella chonsumasse ogni chosa chol fuocho nella casa reale e vedente Giasone, ecc. Test. Lat. Ceterum labentibus annis exosa Jasoni facta, et ab eodem loco ejus, Glauca filia Creontis Corinthiorum regis assumpta; impatiens, fremensque, cum multa Jasonem excogitasset, eo prorupit, ut ingenio suo Glaucam Creontis filiam, et Creontem cum regia omni absumeret igne volatili, et spectante Jasone, quos ex eo susceperat filios trucidaret, et aufugeret Athaenas. Da tutto il passo latino scorgasi chiaro essere scemo il Codice di alcune parole, alle quali noi abbiamo sostituito quelle del traduttore Betussi.
  5. Cod. Cass. E avendo tratto indarno. Test. Lat. tentasset.
  6. Cod. Cass. perchè guardando quegli non chonoschono le bellezze pigliano invidia traiano a noi ogni cupidità, ecc. Test. Lat. his enim spectantibus, splendores cognoscimus, invidiam introducimus, concubinas attrahimus, ecc.
  7. Cod. Cass. s’esercita la verità. Test. Lat. excitatur audacia.
  8. Cod. Cass. mordaci vicini. Test. Lat. mordacibus vitiis.
  9. Cod. Cass. E per quegli sono portati del petto. Test. Lat. Et cum pectoris janua sint.