Proba, moglie d'Adelfo

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Giovanni Boccaccio - De mulieribus claris (1361)
Traduzione dal latino di Donato Albanzani (1397)
Proba, moglie d'Adelfo
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CAPITOLO LXXXXV.

Proba, moglie d’Adelfo.

Proba per lo nome e per lo fatto fu una donna degnissima d’essere fatta memoria di lei per la scienza delle lettere. E essendo incognita sua nobiltà e sua nazione, piace ad alcuni (io il credo per congettura) che ella fu Romana; alcuni altri famosi uomini dicono che ella fu nata nella terra d’Otri, e moglie d’uno chiamato Adelfo, e per religione Cristiana. Questa, sotto qual maestro fusse, puossi manifestamente vedere che ella fu eccellente nelle arti liberali; e in tra gli altri studj ella fu ammaestrata dai versi di Virgilio con sì sollecita cura, che, facendone testimonianza ogni [p. 404 modifica]opera composta da quella, ella pareva avere sempre presente e in memoria. Le quali cose forse leggendo alcuna volta con più sottile considerazione, arrivò in pensiero che di quelli poteva descrivere la Storia del Vecchio e del Nuovo Testamento piacevolmente e splendidamente con versi pieni di sentenzia E per certo non è senza maraviglia, che nel celebro d’una femmina entrasse sì alta considerazione; ma molto più maravigliosa cosa fu, che la cosa avesse effetto. Dunque soprastando al pietoso pensiero, discorrendo in quà e in là per li versi della Buccolica, della Georgica, e dell’Eneide, pigliando quando da una e quando da un’altra parte de’ versi, e talvolta togliendogli intieri, con maraviglioso artificio gli ridusse a suo proposito, allocandogli sì ottimamente interi, e compiendo i rotti, servando la legge de’ piedi e la degnità de’ versi; che uno che fusse molto esperto si potrebbe accorgere dove fusse la giunta. E con questo facendo principio dal cominciamento del mondo compose tutto quello che si legge nel Vecchio e Nuovo Testamento infino all’infusione dello Spirito Santo sì pulitamente, che di quella composi[p. 405 modifica]zione quello che non lo sapesse crederebbe veramente che Virgilio fusse stato profeta o evangelista. Dalle quali cose non è compresa meno commendabile cosa a questa donna, che ella sapesse la Santa Scrittura pienamente; la qual cosa quanto avvenga rado, ed eziandio agli uomini di nostro tempo, dolendomene, lo sapeme. Ancora la nobile donna volle che la sua opera si chiamasse Centona, e quanto più degno pensiamo quello1 di perpetua memoria, tanto meno noi, crediamo che famoso ingegno di questa donna fusse contento di questa opera sola; anzi penso, se ella visse molti anni, che ella compose altre opere molto laudabili, le quali per difetto di scrittori per nostro danno non sono arrivate fino alla nostra età. Tra le quali, come piace ad alcuni, fu una Centona d’Omero con quell’istessa arte, e di quella medesima materia che avea tolto da Virgilio fatta di versi tolti da Omero. Onde, se cosi è, si presume [p. 406 modifica]con maggior sua lode, Proba aver avuto cognizione cosi di lettere greche, come di latine2. Ma io domando, che cosa più laudabile è stata, che una donna abbia scanditi i versi di Virgilio o d’Omero, e che abbia tolto quelli che erano atti alla sua opera, e che gli eletti abbia appiccati con maraviglioso cognoscimento? E consideriamo i valentissimi uomini, i quali, benchè maravigliosamente sieno prestantissimi nella professione della Sacra Scrittura, nondimeno molto è grave e faticoso trarre fuori le parti di qua e di là dalla grandissima larghezza di quella, e ragunarle alla vita di Cristo con parole sparte in prosa, come questa fece de’ versi di uomini infedeli. E se noi consideriamo i costumi delle donne, bastava a questa la rocca e l’ago o il telaio, se ella avesse voluto vivere vilmente secondo l’usanza della maggior parte; ma per [p. 407 modifica] chè ella, sollecita nello sacro studio, forbì dallo ingegno tutto la ruggine della pigrizia, e arrivò in eternale fama; alla quale volesse Iddio, che con buono animo guardassero quelle, le quali reputano gran cosa stare in camera e occupare lo tempo irrecuperabile in vane favole, e spesse volte dalla mattina per tempo fino alla sera e tutta notte vegghiare, parlare rie parole e vane, ovvero soprastare alla lascivia di sè medesime; perchè veramente conoscerebbero quanta differenza sia l’acquistar fama con opere lodevoli, e seppellire3 la fama col corpo, e partirsi della vita come se non fussero vivute.

Note

  1. Test. Lat. Voluit insuper egregia fæmina labore suo opus compositum vocari Centonam, el quanto magis illud memoratu perpetuo dignum putavimus.
  2. Betus. Cod. Cass. Quæ inter (ut nonnullis placet) fuit Homeri Centona eadem arte, et ex eadem materia qua ex Virgilio sumpserat, ex Homero sumptis carminibus edita. Ex quosisic est, sumitur ejus cum ampliori laude eam doctissime Græcas novisse literas ut Latinas.
  3. Betussi. Test. Lat. adverterent Ædepol quantum differentiæ sit inter famam laudandis operibus quærere, et nomen una cum cadavere sepelire.