De mulieribus claris/LXXI
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CAPITOLO LXXI.
La moglie d’Orgigante Gallo-greco.
Pareva che lo non saputo nome avesse potuto torre lo degno onore e premio di speziale fama della moglie di Orgigante, re dei Gallo-greci, la quale nominanza l’idioma del volgare barbaro invidioso, io penso, d’avere nascosto alle nostre lodi tra i passi del mare Mediterraneo, e le spelonche d’Asia, e tolselo agli Latini; ma non voglia Iddio che abbia potuto fare questo peccato di sciagura che sotto titolo di suo marito non le fusse dato quello splendore che possono le nostre lettere. Dunque essendo vinto da’ Romani sotto la capitanza di Scipione, lo grande Antioco, re di Soria e d’Asia; Gneo Manlio Torquato console ebbe per sorte la provincia d’Asia: e acciocchè egli non paresse aver condotta l’oste indarno, e non tenesse i cavalieri in ozio, spacciati alcuni nimici che restavano circa delle parti della montagna; contro ai Gallo-greci, aspri popoli barbari, mosse guerra aspra, perchè avevano mandato aiutorio ad Antioco contro a’ Romani, e perchè alcuna volta turbavano, facendo scorrerie1 per tutta l’Asia. E diffidandosi già i Gallo-greci di tenere le terre, lasciate quelle, partironsi, e andaro verso la montagna, luoghi forti2 per natura, con le mogli e coi figliuoli, e con l’altre lor cose, e difendevansi con quella possanza ch’egli avevano, da’ nimici che gli assediavano. E pure soperchiati della gran forza della gente dei Romani furon cacciati, e morti per le pendici delle montagne, e quelli che camparon s’arrenderono, e confessarono essere Manlio vincitore. Eran presi di questi gran quantità e maschi e fem mine; alla guardia de’ quali posto uno centurione come egli vide la moglie d’Orgigante re, forte per l’età e maravigliosa per la bellezza, mosso a concupiscenza di quella, smenticandosi la romana onestà, contrastando quella quanto potè, adulterò quella. La qual cosa portò con tanto sdegno, che ella non desiderò più la libertà che la vendetta; ma ella cauta compresse lo desiderio tacendo; e come venne la moneta promessa per ricomperare i prigioni, la rinnovata ira nello petto casto di quella donna s’inasprì; la quale avendo pensato quello che ella dovesse fare, sciolta dalle catene, co’ suoi si trasse da parte, e disse al centurione, che pesasse l’oro. Alla quale opera il centurione teneva intenta la mano e gli occhi, ove ella in suo linguaggio non inteso da’ Romani, comandò a’ suoi servi, che eglino gli tagliassero la testa, dappoichè fusse morto; con la quale tornò in grembo a’ suoi. E arrivata alla presenza di suo marito e contata a quello la ingiuria ricevuta, essendo ella in prigione, gittò a’ piè di questo la testa che ella avea portata quasi per pagamento della ricevuta vergogna; e quasi come s’ella portasse la vendetta di una ingiuria. E chi dirà, questa non solamente Romana, ma della setta di Lucrezia piuttosto che barbara? ancora erano in sua presenza la prigione, e suonavanle intorno le catene dei vincitori; e sopra il capo apparecchiate le mannaje dell’aspro vendicatore; e non bastava a quella donna che le fusse renduta la sua libertà; perchè l’indegnazione del macchiato corpo avea sospinto l’onesto petto a sì gran forza, che l’animosa femmina, e vendicatrice dello scellerato fatto, non temè, se fusse bisognato, esser menata presa con le catene, entrare in prigione, e sottomettere la testa alle mannaje, intanto che con costante comandamento ella indusse i servi a fare morire l’adultero scellerato. Dove troverai più aspro uomo, più animoso capitano, e più costante imperadore contro a quegli che hanno mal meritato? dove udirai tu più sagace e più ardita femmina, e più sollecita servatrice d’onestade di donna? Vedeva questa donna con maravigliosa sottilità di mente, che meglio è andare a certa morte che tornare a casa del marito con incerto onore, e non poteva pruovare se non con grande pericolo, che la mente fosse stata casta nello sforzato corpo. Dunque in questo modo si salva l’onore delle donne; e così si fa la testimonianza del casto onore e perciò guardino quelle ch’hanno in animo cura di gloriosa onestà; e che non è assai a provare la purità dell’animo dire con lagrime3 e con lamentanza, essere state sforzate, se non procedono alla vendetta, quando possono, con nobile opera.