Dalle novelle di Canterbury/Novella del chierico di Oxford/Pars sexta

Novella del chierico di Oxford - Pars sexta

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Novella del chierico di Oxford - Pars quinta Novella del mercante d'indulgenze

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PARS SEXTA


II
l conte di Pavia giungeva ormai da Bologna, e già si era sparsa da per tutto la notizia del suo arrivo: e tutti sapevano, anche, ch’egli portava con sé la nuova marchesa di Saluzzo, con una pompa così splendida, che nessuno aveva mai visto l’uguale in tutto l’occidente della Lombardia.

Gualtieri che aveva preparato tutto questo, e sapeva tutto, prima che arrivasse il Conte, mandò a chiamare la povera e semplice Griselda, che subito venne, ed umile e con volto sereno, senza alcun rancore nell’animo, s’inginocchiò davanti a lui, salutandolo rispettosamente e con bel garbo.

Griselda, le disse egli, io voglio che la giovinetta che dovrà essere unita in [p. 254 modifica]matrimonio con me, domani sia ricevuta in casa mia piú splendidamente che sia possibile e desidero che ognuno, secondo il suo grado, sia trattato e servito come si deve, e in modo da restarne soddisfatto.

Certamente le donne che ho non mi bastano per mettere in ordine le stanze a modo mio; perciò vorrei che a tutto questo ci pensassi tu, che sai da molto tempo, come io voglio fatte le cose. Il tuo abbigliamento è brutto e poco conveniente, ma non vuol dir nulla, purché tu faccia il tuo dovere.„

“Signore, rispose Griselda, io non solo sono contenta di fare cosa grata a voi, ma desidero di servirvi sempre con tutta la mia volontà, in quello che posso e non mai, per nessuna ragione, cesserò di amarvi con tutta la sincerità e tutta la passione dell’anima mia.„

Ciò detto cominciò ad ornare la casa, a preparare le tavole, e rifare i letti, e con tutto l’impegno cercò di fare del suo meglio; raccomandandosi ai servi che per lo amore di Dio facessero presto, e senza perder tempo spazzassero e spolverassero. E lei [p. 255 modifica]stessa dandosi da fare piú di tutti, mise in ordine le stanze e la sala.

Verso le nove il conte di Pavia, arrivato coi due ragazzi, scendeva con essi da cavallo, e tutti correvano a vedere il loro ricco e splendido abbigliamento: e dicevano che Gualtieri non l’aveva pensata male a cambiare moglie, giacché il cambio non era cattivo.

Questa, secondo il giudizio di tutti, era piú bella e piú giovane di Griselda, e avrebbe messo al mondo dei figliuoli piú belli e piú cari a tutti per l’alto suo lignaggio. Anche il fratello che l’accompagnava era cosí bello che tutti lo guardavano con piacere, approvando la risoluzione di Gualtieri.

“O popolo irrequieto, incostante e sempre infido, scontento e volubile come una banderuola, sempre amante del torbido e del nuovo! Tu fai come la luna che cresce e cala: sempre largo di applausi che non valgono un soldo; il tuo giudizio è falso, la tua costanza non regge alla prova, ed è un gran pazzo chi si affida a te.„

Cosí dicevano alcuni assennati cittadini, guardando meravigliati la gente che correva [p. 256 modifica]di qua e di là, tutta contenta solamente all’idea di avere una nuova signora. Ma torniamo a dire di Griselda, e della sua pazienza.

Essa era tutta affaccendata a preparare per la festa, e senza punto vergognarsi delle sue povere vesti, che in qualche posto erano anche stracciate, corse insieme con gli altri alla porta, allegra e contenta, a salutare la marchesa; poi se ne ritornò alle sue faccende.

Con tutta serenità di animo riceveva gli ordini di Gualtieri, e con tanta sollecitudine li eseguiva, che non c’era mai nulla da ridire; e tutti si meravigliavano come mai potesse essere vestita tanto poveramente, mentre dimostrava un fare cosí nobile e tanta educazione; e non potevano fare a meno di lodare la sua virtú.

Griselda intanto non finiva mai di ammirare, con tutta la schiettezza dell’animo suo, la giovinetta e il fratello; e le lodi che ne faceva erano cosí sincere, che tutti le trovavano giuste. Finalmente, giunta l’ora di andare a tavola, Gualtieri fece chiamare [p. 257 modifica]Griselda, che era tutta affaccendata nel salotto.

E le disse, quasi motteggiando: “Griselda, che te ne pare di questa mia nuova moglie; è bella?„ “È bellissima, signor mio, rispose: in fede mia io non ho mai visto un’altra più bella di lei. Dio possa farvi felici e contenti per tutta la vita.

Ma una cosa vorrei chiedervi e consigliarvi: non fate soffrire, coi tormenti che avete inflitto a me, anche questa giovinetta; essa è abituata più delicatamente, e forse non potrebbe sopportare la sventura, come una disgraziata cresciuta nella miseria.„

Gualtieri, conosciuta ormai la pazienza, la serenità, e la semplicità di Griselda, e convinto che per quanto egli faceva la poveretta, con la sua solita innocenza, obbediva senza ribellarsi, cominciò a sentire compassione di tanta femminile fermezza.

“Basta, Griselda mia, egli disse, lascia ogni dolore, e sii alfine ricompensata; tu mi hai dato prova che la tua fedeltà e la tua bontà, in qualunque condizione tu sia, sono quali nessun’altra donna ebbe mai; vedo [p. 258 modifica]bene, cara moglie, quanto è grande la tua costanza.„ E stringendola fra le braccia, cominciò a baciarla.

Griselda, mezza trasecolata, non sentiva e non raccapezzava piú nulla: le pareva come di destarsi, ad un tratto, da un lungo sonno; fin che a poco per volta, si scosse dal suo stupore. “Griselda, soggiunse Gualtieri, per quel Dio che morí per noi, ti giuro che tu sei la moglie mia; e che io non ne ho, e non ne ho mai avuta (salvi il Signore l’anima mia, se è vero) nessun’altra.

Questa che tu hai creduto mia moglie, è la tua figliuola; questo fanciullo è il mio vero erede, l’una e l’altro sono frutto del nostro amore: io li ho fatti allevare a Bologna, nascostamente. Riprendili con te, chè non hai perduto nessun dei due.

Sappiano coloro che mi hanno accusato, che io non ho fatto questo a fine di male, o per crudeltà, ma solamente per conoscere la tua virtú: sappiano che io non ho fatto uccidere (Dio me ne liberi) i miei figliuoli, ma li ho tenuti nascosti, per poter conoscere il tuo carattere e la tua volontà.„ [p. 259 modifica]

Griselda sentendo questo, venne meno dalla commozione e dalla gioia, indi riavutasi un poco, chiamò a sé i suoi figliuoli, e in gran pianto li abbracciava, e li baciava, con quella tenerezza che è propria di una madre, bagnando loro di amare lagrime, il volto e i capelli.

Oh scena veramente pietosa, vederla cadere priva di sensi, e sentire la sua voce sommessa! “Grazie, diceva al marito, grazie, signor mio: Iddio possa ricompensarvi di avermi lasciato i miei figliuoli; or non mi curo piú di morire, poiché mi è ridonato il vostro affetto e il vostro amore. Nessuna morte mi fa paura.

Cari, teneri, bei figliuoli miei, la vostra povera mamma vi aveva creduti morti, divorati da rabbiosi cani o da qualche brutto animale; ma Dio misericordioso, e il vostro amoroso babbo, vi hanno lasciati a me.„ E sí dicendo cadeva di nuovo in abbandono.

E abbracciando nel deliquio i suoi figliuoli, con tanta passione li stringeva, che ci volle del buono e del bello, per levarglieli dalle braccia. Quante anime pietose, in quel [p. 260 modifica]momento, dovettero piangere di compassione! quanti furono costretti a farsi forza, per poter rimanere vicino a Griselda!

Mentre Gualtieri cercava di calmarla e di farle dimenticare il suo dolore, essa si alzò tutta confusa; e in mezzo alla gioia e alle feste di tutti ritornò in sé. Fu allora una cosa, davvero, commovente, vedere i modi affettuosi di Gualtieri, e la felicità che dimostravano tutti e due, per essere ritornati insieme.

Le dame di corte le furono subito attorno, e la portarono in camera; e spogliatala dei suoi poveri panni, le misero indosso un vestito tutto d’oro che risplendeva come il sole. Indi con una corona di pietre preziose in testa, la condussero nella sala, dove tutti con grande onore l’ossequiarono.

Cosí finí in mezzo alla gioia questo pietoso giorno; e ognuno fece del suo meglio per passarlo piú lietamente che fosse possibile, fin che le stelle cominciarono a brillare in cielo. Tutti trovarono questa festa più bella e piú spendida, di quella con [p. 261 modifica]la quale era stato celebrato il matrimonio di Griselda.

Molti e molti anni felici passarono insieme Gualtieri e Griselda, sempre d’amore e d’accordo; e Gualtieri, maritata la figlia a uno de’ più ricchi e nobili signori d’Italia, prese con sé alla sua corte il vecchio Giannucole, perché vi passasse tranquillo e contento il resto della sua vita.

Morto Gualtieri, gli successe il figlio, il quale regnò in mezzo alla pace e alla concordia; e fu fortunato nel suo matrimonio, anche senza sperimentare la pazienza di sua moglie. Oggi il mondo non è più quello di prima. Al quale proposito sentite che cosa dice l’autore della novella.

Questa novella non è raccontata per mostrare che le mogli dovrebbero avere la pazienza di Griselda, poiché non basterebbe tutta la loro volontà per riuscirvi: ma per far vedere che ciascuno, nella propria condizione, dovrebbe, come Griselda, saper sopportare fermamente la sventura. Solo per questo dettò il Petrarca, in alto stile, la sua novella. [p. 262 modifica]

Ché se Griselda ebbe tanta pazienza con un uomo, tanto più noi uomini dobbiamo sopportare in pace quello che ci viene da Dio. Il quale ha tutto il diritto di sperimentare ciò che ha creato; e non tenta, infatti, come dice S. Giacomo nella sua epistola, se non gli uomini ch’egli ha messo al mondo; e tutto il giorno, senza dubbio, ne mette alla prova qualcuno.

Egli ci affligge colle più grandi sventure, per abituarci alla sofferenza, e per farci, in qualche modo, migliori. Nè lo fa, certamente, per conoscere la volontà nostra; poiché la nostra debolezza gli è nota prima che noi veniamo al mondo. Giacché adunque tutto egli fa pel nostro bene, viviamo per sopportare virtuosamente.

Ed ora, signori miei, un’altra parola e ho finito: sarebbe ben difficile, oggi, trovare in tutta una città due o tre donne che avessero la pazienza di Griselda; poiché l’oro del quale esse rilucono, è di cosí cattiva lega, che messo alla prova si spezzerebbe subito in due parti.

E giacché è cosí, io, per amore della [p. 263 modifica]donna di Bath1 (che Dio salvi lei e tutta la sua discendenza, poiché la sua morte sarebbe una gran perdita), vi dirò allegramente, e con tutta la mia vena, una canzone che vi metterà, se non m’inganno, di buon umore. Lasciamo, dunque, ogni argomento serio, e state a sentire la mia canzone, che incomincia cosí.

Griselda è morta, e con lei anche la sua pazienza: l’una e l’altra giacciono sepolte in Italia: perciò, lo dico a tutti, a nessun marito venga in mente di sperimentare la pazienza di sua moglie, nella speranza di trovarla una Griselda: ché certamente resterebbe deluso.

E voi, signore mogli, se siete davvero prudenti, non lasciate che l’umiltà vi inchiodi la lingua: e non fate che un letterato debba scrivere anche di voi una storia cosí meravigliosa, come quella della buona e paziente Griselda; altrimenti finirete in bocca a Chichevache2.

Fate come l’eco, che ha sempre pronta la risposta: guardate di non essere vittime della vostra innocenza, e sappiate farvi [p. 264 modifica]valere con energia: questa lezione, imparatevela a mente pel bene vostro, giacché potrà esservi utile.

Se la vostra condizione è tale da rendervi forti al pari di un cammello, difendetevi, e non sopportate offese. Se siete deboli per sostenere la battaglia, mostrate i denti come una tigre delle Indie: e strepitate, ve lo consiglio, come un buratto.

Non abbiate paura del marito, non vi lasciate imporre: anche s’egli sarà chiuso in un’armatura di ferro, la punta della vostra aspra parola gli passerà il petto e anche la testa. Lo volete mansueto come un agnello? Stringetelo nei nodi della gelosia.

Se siete belle, mostratevi in società, e fate sfoggio dei vostri abbigliamenti; chi è brutta, sia di manica larga, e cerchi di farsi delle amicizie. Non vi abbandoni mai il buon umore: lasciate che il marito si secchi, pianga, si arrabbi, e brontoli a piacer suo.



Note

  1. [p. 412 modifica]V. Prologo generale, pag. 25. Costei aveva raccontata la sua novella dopo quella del Giureconsulto.
  2. [p. 412 modifica]Il poeta allude ad un’antica favola popolare, probabilmente di origine francese, secondo la quale Chichevache o Chicheface era un mostro che nutrendosi di mogli buone e pazienti, moriva sempre dalla fame, ed era sempre pelle e ossa, perché gli accadeva molto di rado di potersi sfamare con un cibo cosí difficile a trovarsi. Sembra che il Chaucer sia stato il primo a ricordare in Inghilterra questa favola, che lo spirito del sagace popolo inglese rese, fino dai tempi del Chaucer, piú completa e significante. Accanto a Chichevache troviamo, infatti, un altro mostro chiamato Bycorn, grasso e ben pasciuto per quanto l’altro era magro e rifinito, che si cibava di mariti buoni ed obbedienti, dei quali trovava facilmente abbondante pasto. Per un’antica ballata inglese dove sono introdotti i due mostri, e per un poemetto allegorico di Lydgate intitolato “Bycorne ande Chichevache„ cfr. Wright, op. cit., n.