Dalla rupe/I
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I.
Tra Noli e Finalmarina....
Ma voi, qui, amici lettori, interrompete da bel principio la lettura, per chiedere: Dov’è Noli? Dov’è Finalmarina? Per Noli, transeat, che dovrebb’essere vicino a San Leo. Tanto vero, che Dante ha scritto: “Vassi in San Leo e discendesi in Noli....„
Nossignori, qui v’interrompo io. San Leo è nelle Marche e Noli è in Liguria. Dante, che corse, malinconico pellegrino, tutte le terre d’Italia, chiedendo pace e pane che non sapesse di sale, fu anche a Noli, o rasentò la sua porta soprana, molto probabilmente quando passò da quelle parti per andare a Parigi.
Noli è dunque in Liguria, e Finalmarina egualmente: tutt’e due sulla strada che corre, o che bisogna correre, da Genova a Nizza. Prendete un orario delle strade ferrate e troverete Noli a cinquantotto, Finalmarina a sessantasette chilometri da Genova. Ora, in mezzo a questi nove chilometri di differenza ci sta Varigotti: un paesello che non vi apparirà segnato nell’orario, perchè non è ancora luogo di fermata, sebbene gliela promettano da un pezzo. Aggiungete che lo si vede poco, passando, perchè ivi il treno varca rapidamente cinque o sei volte di galleria in galleria, ed è il caso di dire: “Appena vidi il sol, che ne fui privo.„
Varigotti è ancora affondata nella penombra medievale. Sta solitaria davanti al mare turchino, mezza sui dirupi e mezza sotto. Tra due balze, che scendono a piombo sulle acque, ne sporge un’altra, che fu isola un tempo, ma che le arene, intorno a lei incalzate dal libeccio dominatore, tramutarono facilmente in penisola. Su quelle arene scese a mano a mano il galestro dei monti; su quel galestro crebbero i giaggiòli ensiformi, le conizze viscose, le tamerici pallide, i lentischi nereggianti: poscia, aiutando il sudore degli uomini, gli olivi, i limoni e gli aranci. Il luogo, così nascosto al piè della balza, divenne un giorno così importante da aver nome nella storia. Ignoro in qual modo; forse perchè di là aveva a passare, o poco più su, la strada romana, e perchè ivi, tra il capo di Noli e la penisola che vi ho detto, si stendevano le curve braccia d’un bel porto naturale. Comunque sia, in quella petrosa e sabbiosa solitudine nacque Varigotti, del cui nome antico non rimane alla lessicografia che un accusativo, Varicottim, e che ebbe l’onore di essere distrutta da Rotari e ricordata per ciò nella Cronaca di Fredegario. Certo, per meritare un tratto simile dal feroce Longobardo, dovette essere una grossa terra, e Fredegario non le fece un regalo, mettendola alla pari con Genova, Savona ed Albenga. Ci sono tuttavia vecchi marmi istoriati, che accennano a decorose consuetudini di vita; c’è un masso enorme, eretto a colonna sulla costa del monte, che arieggia un prisco Nume ligustico; c’è finalmente un sepolcreto romano, donde già si cavarono olle cinerarie coricate in bell’ordine, monete repubblicane e imperiali, e anelli equestri, con gemme incise di fine lavoro. Ora di equestre non c’è più nulla, neanche il sindaco, poichè il municipio fu soppresso e il luogo aggregato al comune di Finalpia, non senza rammarico acerbo del suo popolo di pescatori, che a ore rubate fanno l’ortolano, o d’ortolani, che a ore rubate fanno il pescatore.
Varigotti consta di tre ceppi di case, sparsi a ponente della penisola anzidetta, uno in alto e lontano, gli altri due alla spiaggia. Un quarto era a levante, piantato a mezzo cerchio tra la penisola e il monte; e quivi, per la presenza del porto sottostante, doveva essere la vecchia città distrutta da Rotari, come più tardi ci fu un villaggio, sorto per tenace amore di campanile sulle patrie rovine. Ma la strada provinciale, disegnata sui principii del secolo presente, passò attraverso, rompendo la costiera, e separando l’abitato dalla vecchia chiesuola. E questa fu abbandonata, e quello del pari; almeno durante il giorno, perchè nella notte, se dobbiamo credere alla leggenda popolare, ci vanno a conciliabolo le streghe. Di là, in mezzo a quel silenzio di case sventrate, bisogna passare, chi voglia andare sul colmo della penisola, dov’è una bella torre del Cinquecento, con certi avanzi di batterie e di casematte. In illo tempore ci stavano due o tre veterani, a custodire un paio di cannoni; ma un bel giorno qualcuno si ricordò di richiamare gl’inutili custodi, o forse morirono questi, e nessuno si ricordò di surrogarli; fatto sta che la batteria rimase deserta, il bastione non resse a tanto abbandono, e i cannoni arrugginiti scivolarono in mare.
I popoli circonvicini non amano Varigotti (in ciò tanto diversi da me) e lo chiamano il paese delle streghe. Pure, a Varigotti, le donne son belle; ma fanno, poveracce, una vita da cani, tutto il santo giorno al sole, sulla spiaggia, per trarre le reti, e la notte in barca, come gli uomini, a pescare le acciughe e a farsi incappellare dai marosi spumeggianti. Le più giovani vanno ogni mattina, scalze e succinte, con le ceste sgocciolanti acqua salsa, a Noli e a Savona, per vender le triglie, i dentici, i pesci lupi, ed anche, pur troppo, i piccoli pesci cani, che poi, accortamente decapitati e fatti a rocchi, si rivendono con altro nome sui mercati delle città maggiori. Come hanno a fare, Dei immortali, per conservare la leggiadria dei contorni e il candor della pelle? Ma ce ne sono tuttavia di carine, che resistono alle vampe del sole di luglio e al flagello dei venti marini. Una ne ho conosciuta io, e non l’ho più dimenticata. Già, io non ho memoria che per queste grate visioni. La bellezza è sorriso dei cieli, che sono qualche volta clementi. Son certo che Orazio Flacco, il poeta che mi si accusa di citar troppo (e lo citerò fin che mi garbi, anche a risico di sembrarvi un usciere), son certo, io dico, che Orazio Flacco, quando mise fuori il precetto del Nil admirari, fece anche lui la sua brava eccezione per un bel sembiante di donna.
Maddalena era una bella fanciulla, forse la più bella che mai fosse cresciuta alle scarse ombre di que’ selvaggi dirupi. Vi è egli accaduto una volta nella vita di vedere tra i crepacci d’uno scoglio far capolino un bel fiore d’imbrèntine vermiglia? Dal cespo delle brune e ruvide foglie, e in mezzo ad altri fiorellini minori, quali già disseccati, quali non ancora sbocciati, si svolgono al sole i petali rosei, poc’anzi pieghettati e accartocciati nel calice squammoso, e la luce trasparisce per mezzo al gentile tessuto, che ha la finezza della mussolina e la morbidezza del raso. Davanti a quella meraviglia il viandante si ferma e sente il desiderio d’inerpicarsi lassù, per cogliere il fiore. No, imprudente; non colga fiori chi passa, sospinto dalle necessità della vita; l’occhiello della giacca non è fatto per fiori, che il vento flagella, la polvere imbratta e il sole inaridisce in breve ora. Fermiamoci un istante, ammiriamo, pensiamo; quel fiore sia la consolazione degli occhi. Un altro si fermerà dopo di noi, lo ammirerà, si consolerà come noi. Per quanto l’uomo ami poco il suo simile (cosa che può accadere benissimo, anche quando si sia filosofi umanitarii) egli proverà sempre un certo gusto a pensare che potrebbe passar di là, dopo di lui, un altro viandante, a cui la vista di quel fiore spiegato al sole farà bello il deserto e meno aspro il cammino.
Maddalena era quel fiore, cresciuto rigoglioso, splendente d’insolita bellezza, in così sterile luogo. Bianca rosata la carnagione; gli occhi neri e luccicanti come le more; i capegli.... Ah, vorrei descriverli subito, quei capegli d’oro, come li avrebbe chiamati alla svelta un poeta, ma d’un oro traente al rosso carico, pari a quel colore sugoso e denso che hanno i capegli di certe dame del Cinquecento, nei quadri del Tiziano e del Tintoretto. Ma le belle Veneziane di tre secoli fa penavano le intiere mattinate al sole, sulla domestica altana, per far disseccare la dotta pasta, che doveva dare alle morbide e ricche capigliature quella tinta maravigliosa di rame, dai lumi dorati e dalle ombre violette. Maddalena aveva sortito dalla benigna natura quello che tante belle patrizie dei tempi andati domandavano all’arte. I suoi capegli, fini, morbidi, copiosi, riccioluti, s’infoscavano nella massa d’un bel color d’amaranto, si accendevano nelle ciocche estreme in uno scintillìo di pagliuole d’oro. E questa gloria di tinte si diffondeva intorno ad un viso di purissimi contorni, la cui soavità celestiale aveva risalto dal lume di quelle pupille nere e dalla vivezza smagliante di due labbra coralline. Il piede, poi (facciamo un salto, per carità; altrimenti, Dio sa quando si finisce), il piede era maraviglioso senz’altro; un piede sempre nudo sulla spiaggia, snello, breve, rialzato sul collo, nitido, roseo, perlato, vero amore dei flutti, che certamente dovevano lambirlo rispettosi, come se fosse il piede d’una Ninfa antica. Credete alle Ninfe antiche, voi altri? Io sì, e mi consolano di tante creazioni moderne. Piedi usati a correre sulla rena, mani avvezze a trarre la sciabica, ed òmero a cui s’accomodava tante volte la cinghia d’aiuto, non s’ingrossavano, non si sformavano in quella quotidiana fatica, resistevano al duro travaglio, come se fossero stati piedi e mani ed òmeri d’una gran dama, autenticata da dieci o venti generazioni di fastosa mollezza. Bisognava vederla, con quei quattro cenci dattorno! Una veste di bordato, senz’altri ornamenti, nei giorni di lavoro; una veste di bordato, ma con la giunta d’un fazzoletto bianco di seta al collo, nei dì di festa, e Maddalena aveva messo fuori l’intiero corredo. Ma che importava ciò, se sotto a quella povertà di abbigliatura e a quella timidezza di pieghe si disegnava un corpo di Oceanina, da far ricordare la virgiliana Deiopèa, promessa da Giunone al signore dei venti, in un giorno che la stizzosa moglie di Giove avrebbe fatto carte false, pur di ridurre a mal partito gli ultimi avanzi di Troia? Il sole aveva accarezzata, come rammorbidita, la sua bianchissima carnagione, con lievi riflessi dorati; un sorriso d’amore fioriva su quelle labbra, che d’amore non avevano anche parlato ad anima viva; il solo vederla vi faceva pensosi e poeti; vi tumultuava in cuore la materia di un inno e vi correva alla bocca il concetto di un madrigale. Sapete pure che non tutti gl’inni si fanno in versi; nè tutti i madrigali, per la grazia di Dio!
Ora, di questa poesia, che non si scandisce, che non si conta sulle dita, che non si infarcisce di epiteti faticosi e dotti, se ne faceva un gran logorare in paese. Maddalena non era il sospiro, perchè questo tra i pescatori di Varigotti non s’usa, ma era l’argomento, la meta di tutti gli sguardi, perchè i poeti di Varigotti hanno imparato da lunga mano a guardare le stelle. S’intende che essi, per contemplare quella nuova stella polare, non alzavano gli occhi al cielo. Per l’addietro si usava di andare nelle ore calde a meriggiare sotto gli olivi, oppure a giocarsi alla mora un boccale di vino all’osteria. Ma come Maddalena ebbe sedici anni, i giovanotti incominciarono a mutare abitudini; sotto gli olivi non si vide più un cane; le due osterie di Varigotti presero a lavorar meno, e buon per i loro padroni, che essi cumulavano gli uffizi di tabaccaio, di panattiere e di calzolaio; se no, avrebbero potuto chiuder bottega senz’altro e andare anch’essi nel branco degli ammiratori di Maddalena, davanti alla barcaccia, dov’era, e credo sia sempre, il ritrovo dei naturali del paese, nelle brevi ore d’ozio che Dio misericordioso concede anche ai pescatori e agli ortolani. Quella barcaccia, fracido avanzo d’una tartana che per tanti anni era andata sull’alto pelago alla pesca delle acciughe, godeva là, tirata in secco, contro un modesto margine di calata, la sua pensione di riposo. I bambini ci saltavano dentro dal marciapiede, il quale correva davanti alle abitazioni, lunghesso la spiaggia, e si addestravano colà a tutte le manovre dei mozzi; le madri uscivano sulla soglia delle case a rattoppare le reti; i vecchi, accoccolati su certi petroni con le spalle al muro, succhiavano gravemente i cannelli delle pipe di gesso; i giovani, frattanto, seduti sul margine, con le gambe penzoloni verso la riva, stavano a chiacchiera tra loro, motteggiando di tratto in tratto le ragazze, che, appoggiate ai fianchi della barca nera, non badando ai discorsi dei giovani, scambiavano qualche parola sotto voce e guardavano distrattamente dalla parte del mare. In quelle ore si contemplava molto Maddalena, poichè per tante altre del giorno l’aspro lavoro non consentiva di cedere alla tentazione. E la contemplavano anche due guardie di finanza, più fissamente che non avrebbero guardato una barca sospetta, e si stringevano d’un altro punto il cinturino di cuoio. È strano a vedere come tutte le guardie di finanza abbiano la vita sottile! Senza dubbio, bisogna scorgere in ciò la mano provvidenziale del Governo, lodevolmente sollecito di conservare la purezza delle linee in quel rispettabile corpo.
Ma le contemplazioni di tanti adoratori non toccavano il cuore di Maddalena. Ella era indifferente ai motteggi dei pescatori e ai mesti silenzi delle guardie di finanza. Aveva l’aria di non sentire, di non veder nulla dintorno a sè; si volgeva qualche volta lentamente ad osservare i bambini che ruzzavano nella barca; quindi, rifacendosi al primo atteggiamento, guardava il mare e pensava. Quell’ampia distesa di azzurro possedeva il cuore di Maddalena. I segreti della fanciulla erano tutti là, su quella linea sottile e sfumata, dove il glauco delle onde pareva confondersi col perlato del cielo. Quando l’orizzonte si restringeva dinanzi a lei, e il mare verdastro ribolliva, e le creste bianche dei cavalloni s’incalzavano furiose alla spiaggia, Maddalena appariva più concentrata e più triste. Il mare si chetava, la linea dell’orizzonte si allontanava ancora, consentendo uno spazio maggiore allo sguardo, e il volto di Maddalena si rasserenava, ma quietamente, tacitamente, per virtù di un interno pensiero che viveva di sè medesimo e non godeva di espandersi, o ne ignorava l’arte e il bisogno.
Qualche vecchio pescatore, prendendo ardire dagli anni, le diceva talvolta, rasentando la soglia della casa su cui ella stava affacciata:
— State di buon animo, Maddalena! Vogliamo ballare, quando Pietro ritornerà! —
A quelle parole Maddalena si faceva rossa rossa.
— Non so che cosa vogliate dire; — rispondeva frattanto.
Ma sorrideva, quando le parlavano così; poscia, per nascondere il suo turbamento al vecchio motteggiatore, chinava la fronte e guizzava destramente in casa.