Capitolo XVI

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Jules Verne - Dalla Terra alla Luna (1865)
Traduzione dal francese di C. o G. Pizzigoni (1872)
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LA COLUMBIAD.

Ritenevasi riuscita l’opera della fusione? Si era ridotti a semplici congetture. Tuttavia tutto concorreva a far credere al buon esito, poichè la forma aveva assorbita la massa intera del metalo liquefatto nei forni. Ad ogni modo, per un pezzo doveva essere cosa impossibile l’accertarsene direttamente.

Infatti, quando il maggiore Rodman fuse il suo cannone di centosessantamila libbre, non ci vollero meno di quindici giorni per operarne il raffreddamento. Quanto tempo dunque la mostruosa Columbiad, coronata da’ suoi turbini di vapori, e difesa dal suo intenso calore, sarebbesi sottratta agli sguardi degli ammiratori? Era difficile di calcolarlo.

L’impazienza dei membri del Gun-Club fu messa durante questo spazio di tempo a dura prova. Ma essi non potevano far nulla. Poco mancò che J. T. Maston si arrostisse per l’amore della scienza. Quin [p. 137 modifica]dici giorni dopo la fusione, un’immensa colonna di fumo s’innalzava ancora nel cielo, ed il suolo bruciava i piedi in un raggio di dugento passi intorno alla vetta di Stone’s-Hill.

I giorni passarono, le settimana si succedettero l’una all’altra. Nessun mezzo per raffreddare l’immenso cilindro. Impossibile l’avvicinarsigli. Bisognava aspettare, ed i membri del Gun-Club rodevano il freno.

« Eccoci al 10 agosto, disse una mattina J. T. Maston. Quattro mesi appena ci separano dal primo dicembre! Togliere la forma interna, calibrare l’anima del pezzo, caricare la Columbiad, c’è tutto questo da fare! Non saremo pronti! Non si può neppure avvicinarsi al cannone. Ma non si raffredderà mai? La sarebbe una crudele mistificazione. »

Si tentava di calmare l’impaziente segretario senza riuscirvi. Barbicane non diceva nulla, ma il suo silenzio nascondeva una sorda irritazione. Vedersi assolutamente arrestato da un ostacolo che il tempo soltanto poteva vincere - il tempo, nemico assai terribile in molte circostanze; ed essere a discrezione di un nemico, la era dura per uomini di guerra.

Nulladimeno quotidiane osservazioni permisero di constatare un certo cambiamento nello stato del suolo. Verso il 15 agosto, i vapori proiettati erano diminuiti notevolmente d’intensità e di volume. Alcuni giorni dopo, il terreno più non mandava che una esalazione leggiera, ultimo soffio del mostro rinchiuso nel suo avello di pietra. A poco, a poco i tremiti del suolo scemarono, ed il cerchio del [p. 138 modifica]calore si ristrinse; gli spettatori più impazienti avvicinaronsi, un giorno furono guadagnate due tese, l’indomani quattro, e il 22 agosto Barbicane, i suoi colleghi, l’ingegnere poterno pigliar posto sullo strato di ferro che sfiorava la cima di Stone’s-Hill, luogo assai igienico certamente, dove non era ancor permesso di patir freddo ai piedi.

« Finalmente! » esclamò il presidente del Gun-Club con un immenso sospiro di soddisfazione.

I lavori furono ripresi quel giorno stesso. Si procedette immediatamente all’estrazione della forma interna, allo scopo di liberare l’anima del cannone; il piccone, la zappa e gli altri utensili funzionarono senza posa; la terra argillosa e la sabbia avevano acquistato una gran durezza sotto l’azione del calore; ma, coll’aiuto delle macchine, fu messa al dovere la mistura ancora ardente al contatto della parte di ferro fuso; i materiali estratti furono rapidamente trasportati su carri mossi dal vapore, e tutto andò così regolarmente, l’ardore al lavoro fu tale, l’intervento di Barbicane così diligente, ed i suoi argomenti presentati con tanta forza sotto la forma di dollari, che il 3 settembre tutta la traccia della forma era scomparsa.

Subito cominciò l’operazione del lisciamento; le macchine furono disposte senza ritardo, e manovrarono rapidamente giganteschi lisciatoi, il cui filo faceva scomparire le rugosità del metallo. Alcune settimane più tardi, la superficie interna dell’immenso tubo era perfettamente cilindrica, e l’anima del cannone avea acquistato un liscio perfetto. [p. 139 modifica]Finalmente, il 22 settembre, meno di un anno dopo la comunicazione di Barbicane, l’enorme pezzo, perfettamente calibrato ed in direzione verticale assoluta ottenuta col mezzo d’istrumenti delicatissimi, fu pronto a funzionare. Non c’era più che da raggiungere la Luna, ma si era sicuri che essa non avrebbe mancato al convegno.

La gioia di J. T. Maston non conobbe più limiti, e poco mancò non facesse una caduta spaventosa volendo guardare nel tubo di novecento piedi. Senza il braccio destro di Blomsberry, che il degno colonnello per buona ventura aveva conservato, il segretario del Gun-Club, come un nuovo Erostato, avrebbe trovata la morte nelle profondità della Columbiad.

Il cannone era dunque terminato; non v’era più dubbio possibile sulla sua perfetta esecuzione; per cui, il 6 ottobre, il capitano Nicholl, sebbene a malincuore, si sdebitò verso il presidente Barbicane, e questi inscrisse sopra i suoi libri, nella colonna delle entrate, una somma di due mila dollari. Si è autorizzati a credere che la collera del capitano fosse spinta all’ultimo grado, e che ne facesse una malattia. Tuttavia c’erano ancora tre scommesse di tremila, quattromila e cinquemila dollari, e quando ne guadagnasse due, il suo affare, senza essere eccellente, non era cattivo. Ma il denaro non entrava ne’ suoi calcoli, ed il fortunato esito ottenuto dal rivale, nella fusione di un cannone al quale non avrebbero resistito corazze di dieci tese, gli portava un colpo terribile.

Incominciando dal 23 settembre, il recinto di [p. 140 modifica]Stone’s-Hill era stato aperto liberamente al pubblico, e quanta fosse l’affluenza dei visitatori si può comprendere di leggeri.

Infatti, innumerevoli curiosi, accorsi da tutti i punti degli Stati Uniti, convergevano verso la Florida. La città di Tampa aveva avvantaggiato prodigiosamente durante quell’anno, consacrata per intero ai lavori del Gun-Club, ed allora contava una popolazione di centocinquantamila anime. Dopo di aver circondato il forte di Brooke in una rete di vie, essa ora prolungavasi sulla lingua di terra che separa le due rade della baja Espiritu-Santo; quartieri nuovi, piazze nuove, un intero bosco di case vedevansi ora sopra queste spiagge dianzi deserte, al calore del sole americano. Eransi costituite compagnie per l’erezione di chiese, di scuole, d’abitazioni particolari, e in meno di un anno l’estensione della città fu dieci volte maggiore.

È noto che i Yankees sono tutti commercianti; ovunque il caso li getta, dalla zona glaciale alla zona torrida, bisogna che il loro istinto per gli affari si eserciti utilmente. E però alcuni curiosi, gente venuta alla Florida all’unico scopo di seguire le operazioni del Gun-Club, lasciaronsi trascinare alle operazioni di commercio non appena ebbero messo casa a Tampa. Le navi noleggiate per il trasporto del materiale e degli operai avevano dato al porto un’attività senza pari. In breve altri bastimenti, d’ogni forma e d’ogni portata, carichi di viveri, di provvigioni, di mercanzie, salparono la baia e le due rade; vasti scrittoi d’armatori, uffici di sensali stabilironsi nella città, e le Ship [p. 141 modifica]ping Gazette1 registrò ogni giorno nuovi arrivi al porto di Tampa.

Mentre le strade moltiplicavansi intorno alla città, questa, in considerazione dell’importante incremento della sua popolazione e del suo commercio, fu infine riunita con una strada di ferro agli Stati meridionali dell’Unione. Un railway avvicinò la Mobile a Pensacola, il grande arsenale marittimo del Sud; poi, da questo punto importante si diresse sopra Tallahassee. Quivi era già un breve tronco di ferrovia, lungo ventun miglia, pel quale Tallahassee mettevansi in comunicazione con Saint-Marks, sulle rive del mare. Fu dunque questo breve tratto di road-way che venne prolungato fino a Tampa-Town, vivificando sopra il suo passaggio e risvegliando le parti morte o addormentate della Florida centrale. Laonde, in virtù di queste meraviglie dell’industria, dovute all’idea uscita un bel giorno dal cervello di un uomo, Tampa potè assumere a buon diritto il contegno di grande città. La si era soprannominata « Moon-City »2, e la capitale della Florida subiva un eclisse totale, visibile da tutti i punti del mondo.

Ciascuno ora comprenderà il perchè fu sì grande la rivalità fra il Texas e la Florida, e l’irritazione dei Texiani quandi si videro porre in disparte dalla scelta del Gun-Club nella loro previdente accortezza, per cui avevano compreso quanto un paese dovesse avvantaggiare per l’esperienza tentata da Barbicane e il bene da cui simile colpo di cannone [p. 142 modifica]sarebbe accompagnato. Il Texas ci perdeva un vasto centro di commercio, ferrovie ed un accrescimento considerevole di popolazione. Tutti questi vantaggi andavano a favore di quella miserabile penisola floridiana, gettata come un palizzato tra i fiotti del golfo e le onde dell’Oceano Atlantico. Per tal motivo Barbicane dividevasi col generale Sant’Anna tutte le antipatie Texane.

Tuttavia, sebbene abbandonata alla sua furia di commercio ed alla foga industriale, la nuova popolazione di Tampa-Town si guardò bene dal trascurare le interessanti operazioni del Gun-Club. Tutt’altro. I menomi particolari dell’impresa, il menomo colpo di zappa, le stavano a cuore. Fu un viavai incessante tra la città e Stone’s-Hill, una processione, o meglio ancora, un pellegrinaggio.

Potevasi prevedere che nel giorno dell’esperienza si avrebbero milioni di spettatori, perchè venivano già da tutti i punti della terra ad accumularsi sulla stretta penisola. L’Europa emigrava in America.

Ma fino allora, bisogna dirlo, la curiosità di quei numerosi visitatori non era stata gran che soddisfatta. Molti contavano sullo spettacolo della fusione e non ebbero che i fumi. Era troppo poco per occhi avidi; ma Barbicane non volle ammettere nessuno a quell’operazione. Ne nacquero borbottamenti, malcontenti, mormorii, e si biasimò il presidente, e lo si tacciò di assolutismo; il suo procedere fu dichiarato «poco americano». Intorno alle palizzate di Stone’s-Hill vi fu quasi una sommossa. Barbicane, come è noto, rimase irremovibile nella sua decisione. [p. 143 modifica]

Ma allorchè la Columbiad fu perfettamente terminata, le porte non potevano essere mantenute chiuse; del resto sarebbe stata una mala grazia il chiudere le porte, peggio anzi, sarebbe stata imprudenza il frustrare le speranze del pubblico. Barbicane aperse quindi il recinto a tutti; però consigliato dalla sua mente pratica, risolse di trar profitto dalla curiosità pubblica.

Era molto il contemplare l’immensa Columbiad, ma scendere nelle sue profondità, ecco ciò che pareva agli Americani il nec plus ultra della felicità in questo mondo. Per ciò non vi fu un solo curioso che non volesse darsi il piacere di visitare internamente quell’abisso di metallo. Alcuni apparecchi sospesi ad un verricello a vapore permisero agli spettatori di soddisfare la loro curiosità, e fu una ressa da non dire. Donne, fanciulli, vecchi, tutti si ascrissero a dovere di penetrare fin nel fondo dell’anima i misteri del cannone gigantesco. Il prezzo della discesa fu stabilito in cinque dollari ogni persona, e, a dispetto della sua altezza, durante i due mesi che precedettero l’esperienza, l’affluenza dei visitatori permise al Gun-Club d’incassare quasi cinquecentomila dollari.

È inutile il dire che i primi visitatori della Columbiad furono giustamente i membri del Gun-Club, vantaggio riserbato alla illustre assemblea. La solennità ebbe luogo il 25 settembre. Una cassa d’onore calò il presidente Barbicane, J. T. Maston, il maggior Elphiston, il generale Morgan, il colonnello Blomsberry, l’ingegnere Murchison ed altri membri chiarissimi del celebre Club. Una decina in [p. 144 modifica]tutto. Faceva ancora molto caldo in fondo a quel lungo tubo di metallo. Ci si soffocava un pochetto! Ma che gioia, quale contento! Una mensa per dieci persone era stata disposta sul massiccio di pietra che sorreggeva la Columbiad illuminata a giorno da un raggio di luce elettrica. Vivande squisite e numerose, che pareva scendessero dal cielo, vennero a porsi successivamente dinanzi i convitati, ed i migliori vini di Francia erano profusi in quello splendido banchetto servito a novecento piedi sotto terra.

Il pranzo fu animatissimo ed anche rumorosissimo; scambiaronsi numerosi evviva, si bevve al globo terrestre, si bevve al suo satellite, si bevve al Gun-Club, si bevve all’Unione, alla Luna, a Febo, a Diana, a Selene, all’astro della notte, alla pacifica corriera del firmamento! Tutti questi evviva, portati sulle onde sonore dell’immenso tubo acustico, arrivavano come scoppi di tuono alla sua estremità, e la folla che circondava Stone’s-Hill univasi col cuore e colle grida ai dieci convitati nascosti in fondo alla gigantesca Columbiad.

J. T. Maston non capiva in sè dalla gioia; gridava più che non gesticolasse; se bevesse più che non mangiasse è cosa difficile da decidersi. In ogni caso non avrebbe dato il suo posto per un impero, «no, quand’anche il cannone caricato, colla miccia pronta per far fuoco in quell’istante, avesse dovuto mandarlo a brani negli spazî planetarî.»

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Il pranzo fu animatissimo....

(Pag. 144).

Note

  1. Gazzetta Marittima.
  2. Città della Luna.