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tutto. Faceva ancora molto caldo in fondo a quel lungo tubo di metallo. Ci si soffocava un pochetto! Ma che gioia, quale contento! Una mensa per dieci persone era stata disposta sul massiccio di pietra che sorreggeva la Columbiad illuminata a giorno da un raggio di luce elettrica. Vivande squisite e numerose, che pareva scendessero dal cielo, vennero a porsi successivamente dinanzi i convitati, ed i migliori vini di Francia erano profusi in quello splendido banchetto servito a novecento piedi sotto terra.

Il pranzo fu animatissimo ed anche rumorosissimo; scambiaronsi numerosi evviva, si bevve al globo terrestre, si bevve al suo satellite, si bevve al Gun-Club, si bevve all’Unione, alla Luna, a Febo, a Diana, a Selene, all’astro della notte, alla pacifica corriera del firmamento! Tutti questi evviva, portati sulle onde sonore dell’immenso tubo acustico, arrivavano come scoppi di tuono alla sua estremità, e la folla che circondava Stone’s-Hill univasi col cuore e colle grida ai dieci convitati nascosti in fondo alla gigantesca Columbiad.

J. T. Maston non capiva in sè dalla gioia; gridava più che non gesticolasse; se bevesse più che non mangiasse è cosa difficile da decidersi. In ogni caso non avrebbe dato il suo posto per un impero, «no, quand’anche il cannone caricato, colla miccia pronta per far fuoco in quell’istante, avesse dovuto mandarlo a brani negli spazî planetarî.»