Critica della ragion pura (1949)/Dottrina trascendentale degli elementi/Estetica trascendentale/Dello spazio

Estetica trascendentale - Dello spazio

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Estetica trascendentale Estetica trascendentale - Del tempo
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SEZIONE PRIMA

Dello spazio.


§ 2.

Esposizione metafisica di questo concetto1.

Mediante il senso esterno (una delle proprietà del nostro spirito) noi ci rappresentiamo gli oggetti come fuori di noi, e tutti insieme nello spazio. Quivi sono determinate, o determinabili, la loro forma, grandezza e reciproche relazioni. Il senso interno, mediante il quale lo spirito intuisce se stesso, o un suo stato interno, non ci dà invero nessuna intuizione dell’anima stessa, come di oggetto; ma c’è tuttavia una forma determinata per la quale soltanto è possibile l’intuizione del suo stato interno, in modo che tutto ciò che spetta alle determinazioni interne, vien rappresentato in rapporti di tempo. Il tempo non può essere intuito esternamente, come non può essere intuito lo spazio quasi qualcosa che sia in noi. Che cosa sono dunque lo spazio e il tempo? Sono entità reali? o sono soltanto determinazioni, o anche rapporti delle cose, ma in modo che appartengano ad esse anche in sè, ancorchè non intuite, oppure son tali che appartengono soltanto alla forma dell’intuizione, e perciò alla costituzione soggettiva del nostro spirito, senza la quale cotesti predicati non potrebbero esser riferiti a veruna cosa? Per venire in chiaro di questo punto, esporremo dapprima l’idea dello spazio. Per esposizione (expositio) intendo la chiara (anche se non particolareggiata) rappresentazione di ciò che appartiene a un concetto; è poi metafisica, se [p. 69 modifica]contiene quello che rappresenta il concetto come dato a priori.

1. Lo spazio non è un concetto empirico, ricavato da esperienze esterne. Infatti, affinchè certe sensazioni vengano riferite a qualcosa fuor di me (cioè a qualcosa in un luogo dello spazio diverso da quello in cui mi trovo io), e affinchè io possa rappresentarmele come esterne e accanto2 le une alle altre, quindi non solo differenti ma anche in luoghi differenti, deve esserci già a fondamento la rappresentazione dello spazio. Pertanto, la rappresentazione dello spazio non può esser nata per esperienza da rapporti del fenomeno esterno; ma l’esperienza esterna è essa stessa possibile, prima di tutto, per la detta rappresentazione.

2. Lo spazio è una rappresentazione necessaria a priori, la quale sta a fondamento di tutte le intuizioni esterne. Non si può mai formare la rappresentazione che non vi sia spazio, sebbene si possa benissimo pensare che in esso non si trovi nessun oggetto. Lo spazio vien dunque considerato come la condizione della possibilità dei fenomeni, non come una determinazione dipendente da essi; ed è una rappresentazione a priori, la quale è necessariamente a fondamento di fenomeni esterni3.

3. Lo spazio non è un concetto discorsivo o, come si dice, universale dei rapporti delle cose in generale, ma una [p. 70 modifica]intuizione pura. Perchè primieramente, non ci si può rappresentare se non uno spazio unico, e, se si parla di molti spazi distinti, s’intende soltanto parti dello stesso spazio unico e universale. Non è possibile che queste parti precedano allo spazio unico ed universale, quasi suoi elementi costitutivi (dai quali risulti poi l’insieme), ma non sono pensate se non in esso. Egli è essenzialmente unico, in esso la molteplicità, quindi anche il concetto universale di spazio in generale, si forma esclusivamente su limitazioni4. Ne segue che, quanto a’ suoi concetti, una intuizione a priori (non empirica) sta a base di tutti i concetti di esso. Così anche tutti i principii geometrici, per esempio che in un triangolo la somma di due lati è maggiore del terzo, non vengono mai ricavati dai concetti universali di linea e di triangolo, bensì dalla intuizione, e a priori con certezza apodittica.

4. Lo spazio vien rappresentato come una grandezza infinita data. Ora, se conviene certo pensare ogni concetto come una rappresentazione contenuta in un numero infinito di differenti rappresentazioni possibili (come loro nota comune), esso dunque le comprende sotto di sè; ma nessun concetto, come tale, può esser considerato come contenente in sè l’infinita moltitudine delle rappresentazioni. Pure, lo spazio è pensato così (giacchè tutte le parti dello spazio coesistono nello spazio infinito). Sicchè la rappresentazione originaria dello spazio è intuizione a priori, e non concetto5.


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§ 3.6

Esposizione trascendentale del concetto di spazio.

Per esposizione trascendentale intendo la definizione d’un concetto, come principio dal quale si possa scorgere la possibilità di altre conoscenze sintetiche a priori. A questo fine si richiede: 1) che realmente tali conoscenze discendano dal concetto dato; 2) che tali conoscenze sieno possibili solo se si suppone una determinata definizione di questo concetto.

La geometria è una scienza che determina la proprietà dello spazio sinteticamente e, nondimeno, a priori. Quale dev’essere dunque la rappresentazione dello spazio, affinchè sia possibile di esso una tale conoscenza? Originariamente dev’essere un’intuizione; perchè da un semplice concetto, non possono derivare proposizioni che lo oltrepassino, come accade in geometria (Introd., V). Ma tale intuizione dev’essere in noi a priori, cioè prima di ogni percezione di un oggetto; e perciò intuizione pura, non empirica. Le proposizioni geometriche infatti son tutte quante apodittiche, cioè congiunte con la coscienza della loro necessità; per es., che lo spazio ha solo tre dimensioni; ma tali proposizioni non possono essere giudizi empirici o sperimentali, nè derivarne (Introd., II).

Come dunque può essere nello spirito una intuizione esterna, che preceda agli oggetti stessi, e nella quale il concetto di questi possa esser determinato a priori? Evidentemente solo ad un patto, che essa abbia sua sede soltanto nel soggetto, come sua disposizione formale ad essere modificato dagli oggetti, e a conseguire per tal modo la loro immediata rappresentazione, cioè l’intuizione, dunque soltanto in quanto forma del senso esterno in generale.

[p. 72 modifica]Solo la nostra definizione pertanto rende comprensibile la possibilità della geometria, come conoscenza sintetica a priori. Ogni specie di definizione che trascuri questo punto, anche se in apparenza abbia con essa qualche somiglianza, può esserne distinta nel modo più sicuro a questo contrassegno.


COROLLARI DEI CONCETTI PRECEDENTI

a) Lo spazio non rappresenta punto una proprietà di qualche cosa in sè, o le cose nel loro mutuo rapporto; ossia, non è una determinazione di esse, che appartenga agli oggetti stessi, e che rimanga anche se si faccia astrazione da tutte le condizioni soggettive dell’intuizione. Giacchè nè le determinazioni assolute, nè quelle relative possono esser intuite prima dell’esistenza delle cose, alle quali appartengono, e quindi a priori.

b) Lo spazio non è altro se non la forma di tutti i fenomeni del senso esterno, cioè la condizione soggettiva della sensibilità, a cui soltanto ci è possibile un’intuizione esterna. Ora, poichè l’attitudine recettiva del soggetto ad essere modificato dagli oggetti, precede necessariamente a tutte le intuizioni di questi oggetti, è facile intendere come la forma di tutti i fenomeni possa esser data nello spirito prima di tutte le effettive percezioni, e perciò a priori; e come essa, in quanto intuizione pura, nella quale tutti gli oggetti devono essere determinati, possa contenere i principii de’ loro rapporti anteriormente a ogni esperienza.

Noi possiamo quindi solo dal punto di vista umano parlare di spazio, di essere esteso, ecc. Ma, se uscissimo dalla condizione soggettiva, nella quale soltanto possiamo conseguire un’intuizione esterna, finchè cioè siamo modificati dalle cose esterne, l’idea di spazio non significherebbe più nulla. Questo predicato viene attribuito alle cose solo in quanto esse appariscono a noi, sono cioè oggetti della sen[p. 73 modifica]sibilità. La forma costante di questa recettività, che chiamiamo sensibilità, è condizione necessaria di tutti i rapporti, in cui gli oggetti sono intuiti come fuor di noi; e, se si astrae da questi oggetti, essa è una intuizione pura, che porta il nome di spazio. Poichè le condizioni particolari della sensibilità non possiamo farle condizioni della possibilità delle cose, ma solo dei loro fenomeni, così possiamo ben dire, che lo spazio abbraccia tutte le cose che possono apparirci esternamente, ma non tutte le cose in se stesse, possano esse esser intuite o no da qualsivoglia soggetto. Giacchè noi non possiamo punto giudicare delle intuizioni di altri esseri pensanti, se esse sieno o no legate alle stesse condizioni che limitano la nostra intuizione, e che sono per noi universalmente valide. Che se al concetto del soggetto aggiungiamo la restrizione di un giudizio, allora il giudizio vale incondizionatamente. La proposizione «tutte le cose sono l’una accanto all’altra nello spazio», vale con la restrizione che per cose s’intenda gli oggetti della nostra intuizione sensibile. Ma, se aggiungo al concetto la condizione, e dico: «le cose come fenomeni esterni sono l’una accanto l’altra nello spazio», questa legge vale universalmente e senza restrizione. Le nostre osservazioni dunque c’insegnano la realtà (cioè, la validità oggettiva) dello spazio, rispetto a tutto ciò che può venirci innanzi nel mondo esterno come oggetto; e a un tempo l’idealità dello spazio, rispetto alle cose, se dalla ragione esse siano considerate in se stesse, cioè senza riguardo alla natura del nostro senso. Noi affermiamo dunque la realtà empirica dello spazio (rispetto a tutta la esperienza esterna possibile), e nondimeno l’idealità trascendentale di esso, ossia che lo spazio non è più nulla, appena prescindiamo dalla condizione della possibilità di ogni esperienza, e lo assumiamo come qualcosa che stia a fondamento delle cose in se stesse.

Oltre lo spazio, non c’è nessun’altra rappresentazione soggettiva che si riferisca a qualcosa di esterno, e che possa dirsi a priori oggettiva. Giacchè da nessun’altra, come [p. 74 modifica]dall’intuizione dello spazio (§ 3), è possibile ricavare proposizioni sintetiche a priori. A parlar propriamente, quindi, non converrebbe loro7 nessuna identità, sebbene s’accordino con la rappresentazione dello spazio in ciò, che si riferiscono soltanto alla natura soggettiva di una specie di sensi, per es.: vista, udito, tatto, per le sensazioni del colori, suoni, calore; ma queste, poichè sono semplici sensazioni, e non intuizioni, non fanno conoscere in sè nessun oggetto almeno a priori8.

L’osservazione andava fatta, per impedire che venisse in mente di spiegare l’affermata identità dello spazio con esempi affatto inadeguati, poichè per es. i colori, il gusto, ecc., sono considerati a ragione non come proprietà delle cose, ma semplicemente come modificazioni del nostro soggetto, le quali anzi possono essere differenti nei differenti uomini. In questo caso, infatti, ciò che originariamente è già soltanto fenomeno, per es. una rosa, nel senso empirico vale come cosa in sè, che tuttavia può apparire diversamente a ciascun occhio rispetto al colore. [p. 75 modifica]Al contrario, il concetto trascendentale dei fenomeni nello spazio è un avvertimento critico, che in generale niente di quel che è intuito nello spazio, è cosa in sè; e ancora, che lo spazio non è una forma delle cose, la quale sia in qualche modo propria delle cose in se stesse: ma che gli oggetti in sè ci sono affatto ignoti, e quelli che chiamiamo oggetti esterni, non sono altro che semplici rappresentazioni della nostra sensibilità; la cui forma è lo spazio, ma il cui vero correlato, la cosa in sè, rimane pertanto affatto sconosciuto e inconoscibile, ma non è mai domandato all’esperienza.

Note

  1. Titolo aggiunto nella 2ª edizione.
  2. «e accanto», aggiunta della 2ª edizione.
  3. Seguivano qui nella 1ª edizione alcune illustrazioni, rimaneggiate ed estese alquanto al principio del seguente numero 3, nella 2ª edizione. Giova riferirle: «3. Su questa necessità a priori si fonda la certezza apodittica di tutti i principii geometrici e la possibilità delle loro costruzioni a priori. Se infatti questa rappresentazione dello spazio fosse un concetto ottenuto a posteriori, ricavato dalla generale esperienza esterna, i primi principii della determinazione matematica non sarebbero altro che percezioni. Avrebbero cioè tutta la contingenza della percezione, e non sarebbe perciò necessario che fra due punti ci sia solo una linea retta, ma dovrebbe insegnarcelo ogni volta di nuovo l’esperienza. Ciò che è derivato dall’esperienza, ha inoltre solo una universalità relativa, cioè per induzione. Si potrebbe dire soltanto: per quanto si è osservato sino ad ora, non si è trovato uno spazio che avesse più di 3 dimensioni». Ai numeri seguenti 3 e 4, corrispondevano nella 1ª edizione i numeri 4 e 5.
  4. Cioè, a determinati spazi circoscritti.
  5. Nella 1ª edizione: «Lo spazio viene rappresentato come una grandezza infinita. Un concetto generale dello spazio (comune così a un piede come a un braccio) non si può determinare rispetto alla grandezza. Se non vi fosse l’illimitatezza nel progresso della intuizione, non si potrebbe dare un concetto di relazioni che contenesse un principio della infinità di essa.
  6. Aggiunta della 2ª edizione. Tutto questo paragrafo è un rifacimento in sunto, dei §§ 6-9 dei Prolegomeni.
  7. Cioè alle altre rappresentazioni relative a qualcosa di esterno.
  8. Invece degli ultimi periodi «Da nessun’altra..., tanto meno a priori», la 1ª edizione aveva: «Quindi, questa condizione soggettiva di tutti i fenomeni esterni non può esser paragonata con nessun’altra. Il buon sapore d’un vino non appartiene alle determinazioni oggettive di esso, e perciò di un oggetto considerato magari come fenomeno, ma alla speciale conformazione del senso nel soggetto che lo gusta. I colori non sono punto qualità dei corpi, della cui intuizione fanno parte, ma soltanto modificazioni del senso della vista, che viene in un certo modo affetto dalla luce. Al contrario, lo spazio, come condizione degli oggetti esterni, appartiene necessariamente al loro fenomeno o intuizione. Sapore e colori non son per nulla condizioni necessarie, in cui soltanto le cose possan diventare oggetti per noi dei sensi. Essi non sono se non effetti accidentali e accessorii della nostra speciale organizzazione connessi col fenomeno. Non sono perciò rappresentazioni a priori, anzi sono fondati nella sensazione; il buon sapore poi anche sul sentimento (piacere, pena), come effetto della sensazione. Così pure nessuno può avere a priori nè una rappresentazione di colore, nè una rappresentazione di sapore; lo spazio invece riguarda soltanto la forma pura della intuizione, non comprende perciò in sè nessuna sensazione (nulla di empirico), e tutti i modi e le determinazioni dello spazio possono, anzi devono, poter essere rappresentate a priori, se debbono derivarne così i concetti delle forme come i loro rapporti. Soltanto per lo spazio è possibile che le cose sieno per noi oggetti esterni».