Contribuzioni al Corpus Numorum
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APPUNTI
di
NUMISMATICA ROMANA
XLV.
CONTRIBUZIONI AL CORPUS NUMORUM.
Collezione già William Boyne a Firenze ora F. Gnecchi a Milano
(V. Appunti VII, XI, XVI, XVIII,. XXI, XXX e XXXVIII)
.
Il mio egregio amico ed illustre Presidente Conte Papadopoli mi va ripetendo che io sono fortunato perchè sovente mi capita di trovare ancora roba nuova in una serie tanto studiata e ormai tanto conosciuta come la romana. Credo che in fondo abbia ragione; ma non l’ebbe mai così completamente come nel caso attuale, in cui l’acquisto di una porzione della collezione Boyne di Firenze, porzione che non so come non sia andata venduta col resto a Londra, mi mette in posizione di offrire ai lettori della Rivista, una bella serie di monete tutte più o meno importanti, e che amo dare qui riunita, onde conservare la memoria dell’antico proprietario.
Lo stipetto da me acquistato — uno dei parecchi che costituivano la collezione Boyne, quale la vidi anni sono a Firenze, — contiene, oltre ad una serie di monete Alessandrine, di cui qui non mi occupo, la serie dei medaglioni in argento e in bronzo, cui fanno seguito alcune poche monete pure in argento e in bronzo. In tutto una sessantina di pezzi; ma fra questi gli inediti, rarissimi o che, sotto qualche punto di vista, offrono materia a qualche osservazione, rappresentano un buon terzo, proporzione assolutamente straordinaria, e che, per dirla con frase sportiva, segna forse il record nel genere. E passo alla descrizione.
CLAUDIO.
Dia. Mill. 23. Peso gr. 7,400.
R/ — P P OB CIVES SERVATOS in una corona di quercia.
(Tav. I, N. 1).
Dia. Mill. 29. Peso gr. 13,500.
R/ — IMP XXI COS XVI GENS P P P. Pallade a destra su una doppia prora di nave, collo scudo, in atto di lanciare un giavellotto. A' suoi piedi una civetta. Sulla carena si vedono due piccole figure, quella a sinistra seduta e l'altra inginocchiata davanti ad essa1. (Anno 92 d. C).
(Tav. I, N. 2).
La sola differenza fra l’esemplare ora descritto e quello descritto dal Cohen al N. 6, come già appartenente alla collezione Duprè, consiste nella mancanza dell’egida al busto di Domiziano. La piccola varietà, trascurabile in una moneta comune, è abbastanza interessante per determinare una varietà di questi medaglioni d’argento di conio romano, estremamente rari a quest’epoca. Difatti Cohen non ne cita che due, di cui il primo, rappresentante Pallade seduta, passò dalla Collezione Duprè a quella del Museo Britannico, l’altro, simile a quello ora descritto, si cita come altre volte appartenuto alla stessa Coll. Duprè; ma non vi esisteva più al momento della vendita e non se ne conosce l’ubicazione attuale. Un esemplare unico in oro colla stessa rappresentazione di Pallade battagliera esisteva al Gabinetto di Parigi; ma disparve nel furto del 1831.
L’esemplare descritto è quindi il terzo medaglione di conio romano che si conosca attualmente di Domiziano e certo era la gemma della Collezione Boyne, tanto più che la conservazione ne è perfetta.
ADRIANO
Peso gr. 10,300.
R/ — COM · BIT Figura virile (Adriano?) in abito militare con un'asta e una piccola vittoria, in un tempio a quattro colonne. Il frontone, ornato di fregi, porta la leggenda: ROM S P AVG.
(Tav. I, N. 3).
Una nota del Cohen dice che i dotti non hanno ancora trovato il significato delle lettere ROM S P AVG, che figurano su parecchie varietà di questi medaglioni. Guardando la rappresentazione del nostro medaglione, simile del resto a quella di parecchi altri dello stesso Adriano, un tempio, nell’atrio del quale sta l’imperatore colle insegne della vittoria, mi pare potrebbe considerarsi come l’inaugurazione di un nuovo tempio. E quindi, dato che il tempio fosse dedicato dal senato e dal popolo, oppure specialmente dal senato all’imperatore, si potrebbe forse leggere:
ROMAE (o ROMANVS) SENATVS POPVLVSque AVGVSTO oppure:
ROMANI SENATORES PATRES AVGVSTO.
Nel caso invece che il tempio fosse stato innalzato dall’imperatore
a Roma, al senato e al popolo romano, la lettura
potrebbe essere:
ROMAE, SENATVI, POPVLO AVGVSTVS.
Alcuni dati storici che a me mancano, potrebbero forse far scegliere fra le due interpretazioni, le quali in ogni modo ho creduto bene di dare, se non altro perchè altri le possa combattere e scartare.
Peso gr. 9,450.
R/ — COS III. Pallade (o Roma) galeata seduta a sinistra su di una corazza con una vittoriola e un'asta.
(Tav. I, N. 4).
5. Medaglione d’Argento di conio asiatico. — Ined. d. Coh. 15.
Peso gr. 9,800.
R/ — COS III. Pallade (o Roma) seduta a sinistra su di una sedia con una vittoriola e un'asta.
(Tav. I, N. 5).
È curioso che in una collezione tutt’altro che numerosa, come era quella del Sig. Boyne, si trovassero due varianti di un rovescio affatto inedito. Nei diversi rovesci descritti da Cohen con Pallade essa è sempre rappresentata in piedi, e in nessuno è rappresentata Roma.
Ma la curiosità d’uno di questi esemplari (Tav. I, N. 5) consiste nella contromarca che porta al rovescio. L’interpretazione mi diede molto a pensare, sembrandomi sulle prime di’ leggervi IMP ES o IMP RES e, sia nell’un caso come nell’altro, nessuna spiegazione plausibile mi si presentava, restandomi di pili il dubbio anche sulla correttezza della lettura materiale. Alla fine però potei esclamare Eureka! quando scopersi la chiave dell’enigma, leggendovi la nota contromarca di Vespasiano IMP VES. Ciò potrebbe, anzi deve parere assurdo alla semplice enunciazione; ma ogni meraviglia cessa quando si consideri che il fatto enunciato non significa punto che Vespasiano abbia contromarcata una moneta d’Adriano, bensì che il medaglione fu da Adriano coniato sopra una moneta preesistente, come lo sono moltissimi fra i medaglioni asiatici e forse tutti; e che questa moneta era stata a suo tempo contromarcata da Vespasiano, Mentre la pressione del nuovo conio ha fatto scomparire ogni traccia del conio primitivo, non ha potuto che deprimere le parti sporgenti della contromarca, ma non cancellare, anzi neppure intaccare la parte troppo fortemente approfondita. Le lettere restano per ciò, (quantunque un pochino sciupate dal nuovo conio), ancora completamente visibili ed offrono la ben nota contromarca di Vespasiano, come la conosciamo su parecchi denari consolari, la quale era riferibile alla moneta originale, probabilmente un cistoforo del secolo precedente2, su cui venne stampato il medaglione d’Adriano. Prova irrefragabile del fatto è l’asta di Pallade, la quale nella nuova coniatura è riuscita completa, tagliando l’angolo destro inferiore della contromarca e passando sulla parte inferiore della S, la quale invece avrebbe intaccata l’asta, se la contromarca vi fosse stata impressa posteriormente.
Una conferma poi del fatto la trovo in un altro esempio simile per non dire identico. Rovistando raccolte e pubblicazioni per trovare qualche altro medaglione asiatico contemporaneo contromarcato, vidi che il Pinder3 prima e il Cohen poi nella 2.a edizione (N. 300 d’Adriano) ne descrivono uno appartenente al Gabinetto di Parigi e ambedue anzi ne danno il disegno in cui è riprodotta la contromarca IMP X S la quale cade sulla testa d’Adriano al posto della corona, tanto che nella descrizione è detto son buste nu, quantunque esso sia positivamente laureato. Le lettere della contromarca sono chiarissime tanto nell’incisione di Pinder, quanto in quella di Cohen, ma il loro significato m’era molto duro.
Interpellai qualche amico che mi aiutasse a trovarne una spiegazione e l’unica che venne trovata fu IMPERATOR DECIMVM SALVTATVS, interpretazione ingegnosa se si vuole, ma non altrettanto persuasiva, perchè non accennerebbe che a una data, lasciando ignoto l’imperatore a cui si riferiva. Mi venne allora il dubbio sull’esattezza grafica della riproduzione — bisogna sempre diffidare delle riproduzioni fatte a mano — e, pensando che probabilmente il disegnatore parigino l’avrà copiata, quantunque con qualche leggera variante, dalla tavola del Pinder invece che dall’originale, ne scrissi al collega Signor Mowat, il quale fu tanto cortese da mandarmi una fedele impronta dell’esemplare del Gabinetto di Parigi. — Appena la vidi non mi seppi spiegare dove mai i due disegnatori, o almeno il primo, avesse potuto vedervi quella X, e m’accorsi che si tratta sempre della medesima contromarca di Vespasiano. Vi lessi chiaramente IMP VES come nel mio esemplare; nè altrimenti mi pare che altri vi potrà leggere. Osservando poi attentamente il pezzo, ognuno potrà persuadersi come anche qui si tratti di un vecchio cistoforo contromarcato riconiato al tempo d’Adriano; nè è verosimile che sia altrimenti se si considera che le contromarche, almeno da quanto m’è noto, non vanno oltre il primo secolo; anzi su 92 pezzi contromarcati, che posseggo nella mia collezione, i più recenti sono di Nerone. I due fatti quindi si confermano a vicenda.
Peso gr. 8,500.
R/ — COS III. Diana a destra. Tiene l’arco colla sinistra e colla destra alzata è in atto di lanciare un dardo. Ai suoi piedi il cane.
(Tav. I, N. 6).
Il tipo è nuovo fra i medaglioni asiatici d’Adriano.
Peso gr. 10,700.
T/ — COS II (sic). Pallade galeata a destra. Tiene colla
destra una patera e colla sinistra lo scudo appoggiato a terra e un’asta. (Tav. I, N. 7).}}
Sul rovescio è impresso chiarissimamente COS II, e difatti Adriano fu console per la seconda volta nell’anno 118, mentre era stato nominato imperatore nel 117. Una moneta quindi colla data del secondo consolato sarebbe possibilissima; ma v’ha un guaio, che, mentre moltissime monete d’Adriano (e la più parte de’ suoi medaglioni asiatici) portano la data del III consolato, non abbiamo alcun esempio di quella del IL Perciò l’isolamento in cui si troverebbe questa moneta, lascia un gran dubbio e direi quasi la certezza che il COS II debba ritenersi un errore d’incisione, o forse un salto di conio, quantunque ciò non appaja, osservando la moneta. Questa del resto è riprodotta alla tavola, ed ognuno potrà così formarsi un giudizio proprio.
Peso gr. 9,700.
R/ — COS III. In un tempio tetrastilo figura maschile ignuda di fronte con un oggetto indistinto nella destra, (Luno? col gallo?) e dietro il quale si vede un lembo svolazzante del mantello.
(Tav. I, N. 8).
Quantunque la conservazione sia buona, è difficile determinare quale sia la divinità rappresentata stante la piccolezza del simbolo che tiene nella mano. Si possono però escludere le divinità più comuni, come Giove, Marte, Apollo e Nettuno, i cui simboli sono noti e precisi.
Peso gr. 10,600.
R/ — COS III. Le due Nemesi di fronte l’una all’altra. Quella che sta a destra tiene colla sinistra la verga, l’altra il morso. Ambedue colla destra, allontanandosi la veste dal seno, segnano la misura (il cubito).
(Tav. I, N. 9).
La moneta pare sia la stessa descritta al N. 33 di Cohen; ma la descrizione ivi data è tanto succinta (Deux Nemesis debout en régard) e anche poco corretta, che mi parve valesse la pena di descriverla meglio e di darne la riproduzione tanto più che questo è uno dei rovesci più rari fra i medaglioni asiatici d’Adriano. Prima di tutto il dire Due Nemesi, come si direbbe due Muse o due Danaidi, farebbe supporre un numero indeterminato di Nemesi, mentre queste non sono che due, le due sorelle di Smirne, e anzi precisamente Nemesi e Adrastia. E poi anche i simboli che esse portano meritavano almeno un cenno.
Il senso filosofico attribuito alle Nemesi non è molto chiaro o per meglio dire non è molto semplice. Si vuol vedere in esse qualche cosa che ricorda tutto insieme la Provvidenza, la Fortuna e la Giustizia. L’una tiene la verga per spingere, l’altra il freno per trattenere, ambedue intendono segnare ai mortali la giusta misura. Questi sono i simboli che figurano sul medaglione descritto, molto simile ad altro di cui Pinder dà pure una riproduzione (id. ib. Tav. VIII, N. 10), e io mi sono attenuto alla sua interpretazione che mi pare la più giusta e in ogni modo più completa di quella di Cohen. Su altre monete asiatiche le due Nemesi appajono con altri simboli, colla ruota, colla spada, col caduceo, col serpente, o tengono la mano alla bocca in segno di silenzio e di discrezione; ma a ciò non accenno se non per dimostrare i varii significati che loro si attribuivano.
Peso gr. 9,500.
R/ — DIANA (nel campo) EFESIA (all’esergo). Diana d’Efeso nel mezzo di un tempio a quattro colonne.
(Tav. I, N. 10).
Peso gr. 10,800.
(Tav. I, N. 11).
Di questo medaglione restituito da Adriano ho già dato la descrizione, parlando delle restituzioni4, e ne rilevai la differenza con quello descritto da Cohen, differenza che probabilmente si risolve in una inesattezza del Cohen stesso, il quale mette nelle mani di Adriano una patera in luogo di un mazzo di spighe, come sta qui e come sta anche nell’esemplare di Londra, che è appunto quello che Cohen descrive. Ma, se ora ritorno su questo medaglione, oltrecchè per unirlo alla serie proveniente dalla collezione Boyne, cui apparteneva, è anche per accennare a un dubbio che ora mi viene sul luogo della sua coniazione. Mi pare che questo presenti un tipo alquanto diverso dagli altri numerosi medaglioni di conio asiatico e mi pare difficile che provenga dalla zecca che produsse gli altri, i quali hanno un tipo non solo molto più barbaro e rozzo; ma differente. È vero che la prima volta che ne parlai non mossi alcuna eccezione e l’accettai come di conio asiatico, quale lo danno tutti gli autori. Ma allora io lo consideravo separatamente dagli altri, sotto l’unico aspetto di una restituzione, né mi venne l’idea di un confronto, tanto più che il mio esemplare m’era giunto, senza che io l’aspettassi, proprio all’ultimo momento, quando l’articolo era già scritto e io non avevo preso in considerazione che il cattivo esemplare di Londra, di cui m’ero procurato l’impronta, che figura nella tavola annessa allo studio sulle Restituzioni, accanto a quella del mio. E del resto non si può pretendere che un’idea che viene oggi, fosse invece venuta ieri. Fatto sta che ora col confronto e coll’occhio abituato ad osservare e classificare i medaglioni asiatici d’Adriano, questo mi si presenta di fabbrica diversa e mi fa nascere assai fortemente il dubbio che sia invece di fabbrica romana. La prima dimanda che nasce spontanea è come può esser stato coniato a Roma una moneta provinciale? E io non saprei rispondere se non prendendo la cosa in via eccezionale, come difatti eccezionale è il medaglione, essendo l’unica moneta di questo genere restituita. Concepita l’idea di restituire una moneta per l’Asia, certo per una occasione speciale che noi ignoriamo, e, come di solito in tali casi, trattandosi di un numero ristrettissimo di esemplari, non è poi molto strano che la coniazione fosse stata eseguita in Roma e che le monete fossero poi spedite in Oriente, come avveniva di molte altre monete spedite in diverse parti dell’impero dove non esisteva una zecca. Queste naturalmente non sono che congetture; ma, osservando il monumento, si vede come il tipo si avvicini molto di più a quello dei denari coniati in Roma, che non a quelli dei medaglioni coniati in Asia. I tratti e la modellatura della testa d’Augusto, come le giuste proporzioni e la movenza della figura dell’imperatore al dritto, risentono assai più dell’arte romana che non dell’asiatica. E, meglio ancora che nelle figure, la difi’erenza si avverte, come di solito, nella leggenda. I caratteri sono meglio allineati, molto più regolari e, direi, molto più romani che non quelli di tutti i medaglioni coniati in Asia, i quali offrono sempre un tipo speciale e, anche negli esemplari meglio coniati e che si riconoscono come il prodotto dei migliori artisti, presentano alcune irregolarità di forma o di posizione che qui mancano assolutamente, come mancano in tutte le monete della zecca di Roma.
Chiunque osserva il nostro medaglione nella unita tavola, avvertirà la differenza fra questo e gli altri di conio asiatico, in mezzo ai quali sembra quasi una stonatura; mentre, osservato nella tavola III del 1897, unita all’articolo sulle Restituzioni, dove è collocato in mezzo a monete di conio romano, sembra assai meglio a suo posto e consono a tutte le monete che gli fanno contorno. Tale raffronto vai meglio d’ogni ragionamento.
Si potrebbe forse osservare da alcuno che una speciale accuratezza di fabbricazione è una delle caratteristiche delle restituzioni, specialmente nei metalli nobili, come ce ne offrono un esempio le restituzioni imperiali e repubbhcane di Traiano. L’osservazione è giustissima; ma l’accuratezza della fabbricazione, evidente appunto nelle restituzioni, non significa mutamento di tipo, e a nessuno è mai passato per la mente di attribuire le restituzioni di Traiano ad altra zecca che a quella di Roma, ossia a una zecca diversa da quelle che coniava con arte assai meno finita gli altri suoi aurei o denari.
In ultima analisi dunque, dietro l’osservazione del tipo, io inclino a credere il medaglione di conio romano, e sarò gratissimo a chi mi vorrà comunicare la sua opinione in proposito, trattandosi di un’epoca, in cui un medaglione d’argento di conio romano costituisce una vera rarità.
Aggiungerò ancora due osservazioni le quali non hanno però, secondo me, influenza sulla questione della zecca. — Il peso è alquanto superiore a quello degli altri medaglioni asiatici di Adriano. Venti di questi in buonissimo stato di conservazione mi danno una media di io grammi, mentre il medaglione restituito ne pesa 10,800; senza chela sua conservazione raggiunga quella degli altri esemplari pesati. — Il medaglione poi non è di coniazione originale; ma è evidentemente — come se ne vedono le traccie anche dalla riproduzione alla tavola — una riconiazione di moneta preesistente; probabilmente di un antico cistoforo che però non mi riesce di identificare, quantunque sembri riscontrarvisi le colonne di un tempio. Giova notare che questo fatto si verifica assai spesso anche pei medaglioni coniati in Asia, come l’abbiamo avvertito parlando della contromarca di Vespasiano al N. 5.
Ho detto che queste due ultime osservazioni non erano in relazione colla questione della coniazione romana piuttosto che asiatica. Difatti, ammessa pure la coniazione romana, il pezzo era destinato per l’Asia e quindi doveva avere le forme, le dimensioni e il peso a un dipresso dei cistofori asiatici; e il peso un po’ superiore alla media di questi non è però tale da mutarne la natura ed è anzi assai facilmente spiegabile dall’essere il pezzo riconiato su di un’antica moneta. La qual’ultima circostanza né aggiunge, né toglie alla ipotesi della coniazione in Roma, perché, se tale era il sistema adottato in Asia, é probabilissimo che anche in Roma, piuttosto che apprestare per una piccola emissione i tondini di una grandezza speciale, si sia trovato più semplice e più spiccio il servirsi di vecchie monete probabilmente già destinate al crogiuolo.
SEVERO ALESSANDRO.
D/ — IMP SEV ALEXANDER AVG. Testa radiata a destra.
R/ — P M TR P VIIII CCS III P P · S C. Il Sole ignudo a sinistra col mantello dietro le spalle, la destra alzata e il flagello nella sinistra. (Anno 230 d. C).
(Tav. II, N. 1).
SEVERO ALESSANDRO E MAMEA.
D/ — IMP SEV ALEXANDER AVG IVLIA MAMAEA AVG (in giro) MATER AVG (all' esergo). Busti affrontati di Alessandro laureato col paludamento e la corazza, e di Mamea diademata.
R/ — LIBERALITAS AVGVSTI III S C La Liberalità di fronte, volta a sinistra colla tessera e la cornucopia. (Anno 226 d. C).
(Tav. II, N. 2).
Il rovescio, comune fra le monete d’argento e di bronzo di Sev. Alessandro, era finora sconosciuto fra quelle che portano le due teste d’Alessandro e di Mamea.
FILIPPO FIGLIO.
D/ — IMP M IVL PHILIPPVS AVG. Busto laureato a destra col paludamento.
R/ — LIBERALITAS AVGG III S C. Filippo padre e Filippo figlio seduti a sinistra ciascuno su di una sedia curule. Tengono ambedue colla sinistra uno scettro corto (o forse meglio il parazonio) e colla destra una tessera (?) (Anno 248 d. C).
(Tav. II, N. 3).
Conosciuto in argento e in G. Bronzo, questo tipo è affatto nuovo in Medio Bronzo.
FILIPPO FIGLIO CON FILIPPO PADRE E OTACILLA.
D/ — M IVL PHILIPPVS NOBIL CAES. Busto di Filippo figlio a destra. Testa nuda.
R/ — CONCORDIA AVGVSTORVM. Busti affrontati di Filippo padre laureato con paludamento e corazza a destra, e di Otacilla diademata a sinistra.
(Tav. II, N. 4).
Ho descritto questa moneta, quantunque sia esattamente quella descritta da Cohen, perchè da questi essendo data come autrefois cabinet de M. Herpin, si sappia almeno ove ne esiste attualmente un esemplare.
GALLIENO.
Dia. Mill. 57. Peso gr. 36,250.
R/ — MONETA AVG. Le tre monete coi soliti emblemi.
La descrizione è eguale a quella del N. 722 di Cohen; ma ne è maggiore il diametro e quindi anche il peso. Cohen dà il suo esemplare come corrispondente al modulo 10 della scala di Mionnet, mentre il mio, avendo un diametro di mill. 37, corrisponde precisamente al modulo 11 della detta scala.
TACITO.
Peso gr. 11,500.
{{Indentatura|2em| D/ — IMP C M CL TACITVS P F AVG. Busto laureato a mezza figura a sinistra, visto per di dietro, armato di' lancia e scudo.
R/ — AETERNITAS AVG. Tacito seduto su di un globo, volto a sinistra, è coronato da una Vittoria. Colla sinistra tiene lo scettro, mentre appoggia la sinistra su di uno zodiaco (?), al piede del quale si vedono tre piccole figure
- di bambini ignudi (le stagioni). Presso l’imperatore, dietro lo zodiaco, si vede per metà un’altra figura con un’asta.
(Tav. II, N. 5).
Le due monete descritte da Cohen ai suoi Numeri 31 e 32 vanno forse compenetrate in una sola. Al N. 31 manca l’ultima figura. Al N. 32 (riportata dal Tanini) sono omessi i particolari dello zodiaco e delle stagioni; ma inclino a credere che si tratti sempre di un solo tipo e precisamente di quello ora descritto.
È difficile determinare la qualità della moneta dal peso, essendo questo scarso per un sesterzio (dato che alcuno ancora se ne coniasse a quest’epoca) ed eccessivo per un dupondio.
AURELIANO.
D/ — SOL DOM IMP ROMANI. Busto radiato del Sole di fronte. Davanti i quattro cavalli del carro di Febo correnti sulle nubi.
R/ — AVRELIANVS AVG CONS. Aureliano in abito militare a sinistra con un lungo scettro in atto di versare una patera su di un'ara accesa. All'esergo S.
(Tav. II, N. 6).
Questa moneta offre riuniti il dritto che Cohen descrive al N. 41 col rovescio del N. 40, a meno che non vi sia una inesattezza nella descrizione del Cohen (naturalmente riprodotta nella 2.a Edizione), che cioè la parola CONS sia stata dimenticata al suo N. 41, e che quindi l’esemplare del Gabinetto britannico corrisponda precisamente al mio, quale lo dà anche il Rohde6. Si tratta dunque semplicemente o di una rettifica al Cohen o di due conii già conosciuti, ma differentemente accoppiati.
È però interessante uno sguardo a questo curioso gruppo di monete in cui il principe che le fa coniare cede il posto principale al Dio Sole, intitolandolo Signore dell’impero romano, (DOMINVS IMPERII ROMANI) riservando a sé stesso modestamente il rovescio, nel quale appunto, allo scopo di conservarne il carattere, non rappresenta già la sua testa, ma la figura intera circondata dal proprio nome. A questo gruppo dedicato al Sole si può unire un altro esemplare, sul dritto del quale, colla medesima leggenda SOL DOMINVS IMPERII ROMANI è rappresentato il busto d’Apollo. (Coh. 39).
Ora che monete sono queste? Cohen le dà sotto la denominazione vaga di Medii Bronzi; come la dà pure il Rohde; ma la cosa pare meriti d’essere discussa, e io propenderei per giudicarlo un doppio Antoniniano. Io non conosco de visu che il mio esemplare, e questo conserva evidenti le traccie di un’antica argentatura, come moltissimi fra gli Antoniniani di Aureliano e di Severina. La coniazione è incomparabilmente più accurata e l’arte assai più fina che nei comuni medii bronzi o dupondii d’Aureliano dal rovescio CONCORDIA AVG, o CONCORDIA MILIT. Essa è anzi superiore a quella di tutti gli Antoniniani e non è comparabile che a quella degli aurei. Il peso finalmente, che è di gr. 7,200, mentre non s’accorda punto con quello degli accennati dupondì, che presentano un peso oscillante fra i 10 e gli 11 grammi, corrisponderebbe invece precisamente a quello di due Antoniniani. È dunque per tutti questi motivi, bellezza d’arte, perfezione di coniatura, argentatura, peso, che ho creduto ritenerlo un doppio Antoniniano. E si potrebbe anche trovare un’ultima ragione nel tipo della rappresentazione del rovescio che assai bene s’accorda con molte che troviamo sugli Antoniniani, mentre stonerebbe fra quelli delle monete di bronzo. Certo il doppio Antoniniano a quest’epoca sarebbe una novità — nessuno almeno, che io mi sappia, l’ha finora avvertito — ma è anche una novità il tipo della moneta, la quale si può considerare come eccezionale, ed anzi deve essere stata coniata in piccolissimo numero e per qualche occasione speciale, che non saprei precisare. È un altro argomento che offro allo studio dei confratelli, e sul quale il loro parere mi sarà gratissimo.
COSTANZO CLORO.
D/ — CONSTANTIVS NOB CAES. Busto laureato e corazzato a sinistra di Costanzo il quale alza la destra, mentre la spalla sinistra è coperta dallo scudo su cui si vede un cavaliere corrente.
D/ — GENIO POPVLI ROMANI. Il Genio del P. R. seminudo colla cornucopia in atto di versare una patera su di un'ara accesa. Nel campo a destra A. All' esergo PLC.
(Tav. II, N. 7).
COSTANZO GALLO.
20. Denaro d’Argento. — Var. Coh. 16.
R/ — Anepigrafo. Stella in corona d' alloro. All' esergo SIRM.
(Tav. II, N. 8).
VALENTINIANO I.
21. Medaglione d’Argento. — Inedito d. Coh. 11.
- Peso gr. 4,400.
R/ — VIRTVS EXERCITVS. Valentiniano galeato e in abito militare a destra con un'asta rovesciata e appoggiato al proprio scudo. All'esergo TRS.
(Tav. II, N. 9).
Sui medaglioni dei Valentiniani l’imperatore al rovescio è sempre rappresentato col diadema. È qui la prima volta che appare coll’elmo. La figura potrebbe dunque esser anche interpretata per quella di Marte o del Valore.
22. Piccolo Medaglione di bronzo. — Var. Coh. 55.
- Peso gr. 8,200.
{{indentatura|2em| D/ — Come il precedente.
R/ — RESTITVTOR REIPVBLICAE. Valentiniano laureato in abito militare a destra con uno stendardo e un globo sormontato da una Vittoria. All’esergo BSIRM.
Cohen al suo N. 54 descrive un esemplare simile a questo e coll’esergo BSIRM; ma notando che la leggenda del rovescio dice REIPVBLICHE. Sull’esemplare mio si legge chiaramente REIPVBLICAE.
VALENTE.
23. Medaglione d’Argento. — Inedito d. Coh. 9.
- Peso gr. 4,400.
R/ — GLORIA ROMANORVM. Sotto un arco sostenuto da due colonne Valente e Valentiniano ciascuno con un'asta e un globo. All'esergo ANT ✶.
(Tav. II, N. 10).
Questo tipo dei due imperatori sotto un arco, imitante diverse monete dei precedenti imperatori, è nuovo in quelle di Valente.
EUGENIO.
24. Medaglione d’Argento. — Var. Coh. 2.
- Peso gr. 3,750.
D/ — GLORIA ROMANORVM. L’imperatore diademato di fronte, rivolto a sinistra con uno stendardo. All’esergo TRPS.
(Tav. II, N. 11).
Di questo raro medaglione non è pubblicato che un tipo (Coh. 2) alla zecca di Milano (MDPS), citato da Banduri, e di cui posseggo io pure un esemplare. Nell’esemplare di Treviri ora descritto è profondamente inciso un cerchietto incompleto a guisa di un C che sarebbe difficile determinare se sia una contromarca o semplicemente una barbara incisione senza scopo.
Tavola I
Tavola II
Note
- ↑ Le due figurette non sono in verità molto distinte sul medaglione; ma sono evidentemente le stesse che vediamo riprodotte su molti aurei e molti denari di Domiziano. Cohen (vedi suo N. 143) crede vedervi, una figura seduta e una in piedi; ma su di un aureo a fior di conio io distinguo senza dubbio la seconda figura inginocchiata davanti alla prima, e tale parmi l’atteggiamento delle due figure anche su tutte le altre monete, per quanto generalmente esse siano appena accennate.
- ↑ Difatti il Saulcy cita (Journal des Savants, dicembre 1879) due medaglioni asiatici uno di Claudio, l’altro di Claudio e Agrippina colla contromarca di Vespasiano, e questi medesimi medaglioni sono nuovamente citati dal Bahrfeldt (Zeitschrift für Numismatik 1876, p. 354).
- ↑ Uber die Cistophoren und Kaiserlichen silbermedallion in Abhandlungen der Königlichen Akademie des Wissenshaften zu Berlin 1856. Tav. VIII, N. 6.
- ↑ Vedi Appunti di Num. Rom., N. XLIV (R. I. di Num., 1879).
- ↑ La completa ossidazione del pezzo impedisce di identificarne il metallo.
- ↑ Th. Rohde, Die Münzen des Kaisers Aurelianus, ecc. 1882, p. 223.