Compendio storico della Valle Mesolcina/Capitolo XX

Capitolo XX

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CAPITOLO XX.


(dal 1583 al 1600.)


Ambasciata presso s.Carlo; inquisizioni; partenza dei riformisti; venuta di s.Carlo nella Valle; primi suoi prodigi; il Preposto Quattrino; le tre fontane di s. Carlo; sua partenza; Collegio Elvetico; soprannaturale intelligenza.


Sebbene la Mesolcina non avesse abbracciata la riforma, come si ha veduto nel Capitolo precedente, i suoi partitanti non mancavano però [p. 131 modifica]di mantenere con segretezza negli animi quello spirito d'innovazione, che dai pergami veniva con artificio inculcata anche da quei pochi preti vallerani, i quali bramavano di vivere nella licenza. In simili disordini di Religione, la popolazione era divenuta per lo più superstiziosa e di corrotti costumi, per cui necessitò più volte che la Regenza di Valle si riunisse espressamente per cercar di provvedere a tali inconvenienti; ma tutte le misure che si adottavano, riuscivano sempre infruttuose, anzi la demoralizzazione di più in più andava crescendo.

La fama di s.Carlo Borromeo allora Arcivescovo di Milano eccitò il Consiglio di Valle a spedire a quel Cardinale una deputazione per consultarlo e supplicarlo del suo ajuto sullo stato deplorabile in cui si trovava, la Mesolcina.

Nel 1583 in agosto fu tenuto un apposito consiglio che nominò alcuni principali del paese per far l'ambasciata, i quali arrivati in Milano, furono dal venerabile Prelato accolti colla massima amorevolezza, e promise loro con benignità che entro quell’istess’anno si sarebbe portato in persona nella Mesolcina per ajutarli e provvedere a quanto desideravano; tanto più ch’egli era benissimo informato della demoralizzazione e del desiderio di riforma religiosa che esisteva nella Mesolcina come in tutte le valiate contigue. [p. 132 modifica]alla sua Diocesi, per cui impiegava l’instancabile suo zelo per impedire l'avanzamento degli scismi ed eresie nel suo dominio spirituale, col portarsi in persona ove il bisogno l'esigeva, come avea già fatto nei Baliaggi svizzeri italiani, nella Valtellina, ed in altri luoghi.

Otto giorni prima che il santo Arcivescovo partisse da Milano per rendersi nella Mesolcina, giudicò necessario di spedirvi anticipatamente Borsatto celebre giureconsulto col titolo d’Inquisitore, affinchè con carità e prudenza procedesse nei debiti ed umani termini di giustizia contro le persone credute malefiche e scismatiche.

Tosto che si annunciò l'entrata di san Carlo nella Valle e durante che l'Inquisizione proseguiva nel far i processi, quattro numerose famiglie di Mesocco, le quali avevano pubblicamente abbracciata la riforma, abbandonarono patria e beni, ritirandosi nei vicini confederati oltramontani paesi, ove trovarono fraterna accoglienza, per così evitare le persecuzioni alle quali senza dubbio sarebbero state esposte, giacchè il restante della popolazione si era dichiarata contro le nuove massime di Zuinglio e di Lutero.

A’ tre di novembre arrivò in Valle s.Carlo accompagnato dal Padre Panigarola, da Achille Gagliardi e da Bernardino Morra suo Auditor [p. 133 modifica]generale, tutti tre dottissimi teologi e famosissimi predicatori. Nei primi giorni egli si fermò in Roveredo col dar principio alla sua santa intrapresa, indi si trasferì, dietro fervide istanze, a Mesocco, ove lasciò, come in ogni altro luogo, i frutti del suo indefesso zelo che nutriva per la salute eterna degli abitanti.

Trovandosi il santo uomo in Mesocco, venne in cognizione che l’esperta donna d’un giurato viveva da alcuni giorni ritirata poco lungi dalla sua abitazione, indecisa se dovesse seguire l'amato suo marito, il quale come partitante della riforma se n'era partito, o far ritorno alla religione de’ suoi avi.

La mattina del nove novembre, secondo giorno del suo arrivo in Mesocco, il zelantissimo Prelato si portò a piedi col suo Auditor Morra là ove dimorava la donna, e volle esser accompagnato da una sola guida. Arrivatovi trovò Margherita che tutta perplessa stava seduta vicina ad una fontana. Al primo caritatevole suo invito, essa si gettò ai di lui piedi abbiurando i suoi errori, e se ne ritornò contenta alla sua casa, conducendo poi una vita affatto esemplare. Il pio ed operosissimo Cardinale benedisse la fonte, vicino alla quale ebbe quell'incontro, quale scaturisce ai piedi d'un terragno macigno, giacente sulla vecchia frequentata strada, [p. 134 modifica]distante un quarto d’ora al di sopra della terra d’Andersla.

Per una particolare divota memoria, si conserva anche oggigiorno, in casa Marca, la lettiera ove dormiva san Carlo durante il suo breve soggiorno che fece in Mesocco.

Dopo otto giorni di dimora nella suddetta Comune, il santo Arcivescovo ritornandosene a Roveredo visitò tutte le chiese esistenti sulla strada, e si fermò pure due giorni in Lostallo, attirando gran concorso di gente ovunque egli passava o fermavasi.

Già subito al suo arrivo nella Valle, l’apostolico visitatore istruito da Borsatto venne in perfetta cognizione dei depravati costumi e disordini d’ogni genere, in cui si trovavano immersi gli abitanti, li quali furono, durante la dimora del sant’uomo, rimessi in buono stato di salute mediante la sua rara amorevolezza e caritatevole assiduità nell'istruirli, ma molto più coll'esempio e l'esercizio delle morali virtù.

Domenico Quattrino, soprannominato Baldè, Preposto della collegiata di s.Vittore, il quale abitava allora in Roveredo, uomo di pessima condotta e dissimulato partitante della riforma, con alcuni pochi suoi seguaci furono i soli che l’instancabile Arcivescovo non potè convertire, onde per obbedire alle leggi, e dopo che detto [p. 135 modifica]Preposto fu pubblicamente degradato con estremo dolore del s.Prelato, quegli ostinati vennero conseguati alla giustizia che li condannò alle fiamme.

Durante il soggiorno che il giovine Cardinale fece in Roveredo, egli benedisse pur la fonte che perenne stilla dal seno della montagna, vicino alla Madonna del Ponte-Chiuso, la quale per la sua efficacia fu nell'istesso secolo cinta d’una piccola cappella erettavi colle limosine dei divoti ricorrenti, per il di cui maggior comodo si costrusse di poi l'altro arco che conduce direttamente a quel Santuario.

Il santo Arcivescovo si fermò nella Mesolcina un mese circa, giacchè egli partì da Milano al primo di novembre, e non abbandonò la Valle che verso il principio di dicembre1, nel qual tempo andò pure a dimorare parte di tre giorni in santa Maria di Calanca, in quale occasione fu pregato di benedire la fontana che sorge all’entrare di quel paese, la terza che nella Mesolcina porti il nome di s.Carlo. Quella sorgente si chiama anche la fontana Breden, nome d'un antico filantropo rinomato colà vicino abitante il quale guariva qualunque piaga con sem[p. 136 modifica]plici erbe che durante l'estate raccoglieva sui monti vicini.

Nei trenta giorni che s.Carlo Borromeo si fermò nella Mesolcina, la riformò del tutto, riducendola in buon ordine di cose sì ecclesiastiche, che civili, operazione che parve piuttosto miracolosa che umana. Prima di partire dalla Valle egli chiamò da Milano quattro pii religiosi e li distribuì alla cura delle anime nelle Comuni le più bisognose.

Questo memorabile Prelato aveva quattro anni prima della sua venuta nella Mesolcina di già fondato in Milano per il bene della Svizzera il Collegio Elvetico, i di cui alunni gratuiti erano da prima in numero di quaranta, e più tardi deffinitivamente fissati a quarant'otto, parte Svizzeri e parte Griggioni, dei quali la Mesolcina aveva diritto con proporzione.

L’ordinaria annuale Centena del 1590 è memorabile per esservi insorte forti e sanguinose dispute, e ciò per maneggi di pochi intringanti abitanti nella Bassa Mesolcina, i quali, causa la formazione delle Giurisdizioni e la nuova organizzazione civile allora in vigore da quarant'anni circa, non potendo ingerirsi in tutti gli affari politici della Valle, erano pervenuti particolarmente a sollevare i Calanchini. Quella tumultuosa Riunione popolare si sciolse senza risol[p. 137 modifica]vere. Otto giorni dopo la Centena si convocò di nuovo straordinariamente, nella quale si determinò di non portare innovazione alcuna al nuovo esistente sistema politico.

Un manoscritto del 1594, ci trasmette un lungo dettaglio sulla fedeltà d’un cane, che fra le tante particolarità raccontate di quegli animali, credo meriti esser narrata. Vivea nella Comune di Verdabbio certo Lorenzo Dera abile cacciatore di camozzi, il quale aveva un cane d’ordinaria grandezza chiamato Bastard, ma d’una intelligenza soprannaturale alla sua specie. Un giorno di dicembre di quell’anno Dera era andato alla caccia sulle vicine montagne accompagnato dal suo cane, e per ritornare a casa, doveva passare in un luogo gelato, ed essendo sull'imbrunir della notte, egli sdrucciolò precipitandosi da un’alta rocca, e si fracassò una gamba e due coste, per cui nè fu più in caso di rilevarsi, nè di chiamare ajuto quantunque si trovasse poco lontano dall’abitato. Tosto che il cane s’accorse che il suo padrone si trovava in pericolo, corse subito a casa, ove arrivato dimostrava co’ suoi gesti e lamenti esser arrivato qualche funesto accidente ai padrone. La moglie del disgraziato Dera tutta spaventata comprese benissimo la significazione dei gemiti del fedele animale, e corse da’ suoi vicini per di[p. 138 modifica]mandare soccorso, che si prestarono all’istante guidati dal cane impaziente d’arrivare sul luogo ove giaceva lo sfortunato padrone, che in fatti fu trovato nel descritto tristo stato, e quasi morto dai dolori e dal freddo; lo portarono alla sua abitazione, e coi pronti prestati rimedi, in breve guari a perfezione. E così Dera ebbe la vita dal suo cane, il quale durante la malattia giaceva quasi sempre vicino al letto di lui. Si menziona pure che quando la moglie di Dera usciva di casa per attendere a’ suoi affari domestici, od allorché si trovava alla campagna essa lasciava in custodia del cane la casa ed i suoi figli che aveva in culla, quali venivano assistiti da Bastard come da un’esperta servente.

  1. Vita di S.Carlo Scritta dal Giussani, lib. VII, Cap. IV, e V, in cui sono dettagliatte le operazioni fatte nella Mesolcina dal Santo.