Colombi e sparvieri/Parte III/II
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II.
Quando la vide apparire sulla porta, Pretu accoccolato presso il fornello a mano in attesa che il pentolino del caffè bollisse, diede un grido di sorpresa.
Jorgj invece guardò silenzioso senza muoversi sembrandogli di continuare a sognare. Una delle tante figure che la febbre faceva correre intorno a lui s’avanzava nella stamberga illuminata da un moccolino deposto accanto a Pretu, mentre l’ombra enorme del servetto copriva tutto il soffitto movendosi sfrangiata sulle pareti come un ragno mostruoso. S’avanzava... s’avanzava.... Era Columba....
E Columba si tirava il fazzoletto sugli occhi mordendone le cocche per un istinto di nascondersi, o per celare e frenare il suo turbamento: ma arrivata davanti al letto cadde in ginocchio, come un giorno il mendicante, affondò il viso sulla coltre e scoppiò a piangere. Era un pianto nervoso, pieno di grida simili a guaiti; ed ella sussultava talmente, annaspando con le mani convulse la coperta, che Jorgj e Pretu spaventati ebbero entrambi il medesimo dubbio: che fosse diventata pazza.
— Zia Colù.... zia Colù... — disse il ragazzo con voce tremante, senza riuscir a dir altro.
Jorgj guardava: finalmente mormorò con la voce velata dei febbricitanti:
— Pretu, accendi la candela e va fuori un momento....
Allora Columba sollevò il viso, balzò in piedi.
— Perchè lo mandi via? Non m’importa che mi veda.... nè lui nè altri m’importa più che mi vedano....
— Bè, calmati allora! Cosa vuoi?
— Voglio sapere come stai....
— E non lo vedi? Adesso te ne sei ricordata.... a quest’ora?...
Che amarezza fredda tagliente nella sua voce! Ah, era sempre lui, il suo Giorgio grande e superbo, che la umiliava ancora; ma s’egli in fondo al suo letto caldo di febbre era sempre lo stesso, ella era diventata piccola e debole; la sua anima spezzata si piegava e si lasciava umiliare come il ramo stroncato dalla bufera.
Pretu depose la candela sul tavolinetto e il viso di Jorgj apparve pallido, pieno di disgusto, con gli occhi come coperti da un velo lucente. Columba s’asciugava il viso con la manica della camicia, appoggiando le ginocchia tremanti al letto, un po’ curva sul malato dal cui petto scoperto esalava un calore ardente, un odore di febbre.
Anche le mani di lui tremavano annaspando le lenzuola.
— A quest’ora, sì.... — ella balbettò. — A quest’ora.... È notte, lo so, ma fa lo stesso, per me.... La notte è peggio del giorno....
— Che cosa vuoi? — egli ripetè meno duramente.
— Che tu mi perdoni.
— Cento volte ti ho perdonato, prima d’oggi. Va, torna a casa....
— Non è vero, tu non mi hai perdonato, Jorgj, anima mia! Non mi cacceresti via, adesso....
Egli non rispose.
— Così dovevamo rivederci, Jorgj! Ah, tu te ne sei andato e non sei ritornato mai più!
— Dovevi venire tu, Columba!
— Avevo paura che tu mi cacciassi via! Ed ecco che lo fai!... Perchè?
Egli esitava a rispondere: che doveva dirle? Che non gli importava più nulla di lei?
— Dovevi venir prima.... molto prima; lo sapevi. Adesso!... — disse sollevando e scuotendo la mano come per accennare a qualcosa che svanisce per aria.
— Adesso.... tu puoi guarire; stando tranquillo lo puoi.... ha detto il dottore! Io ti curerò... vedrai. Sì, sì, il dottore dice che se tu provi una gran gioia puoi guarire.... Ecco perchè son venuta.... Lo vedi, lo vedi? Sono qui.... sono Columba, la tua Columba! Mi riconosci, Jorgè, dimmi, mi riconosci?
Egli la guardò con pietà: Ah, era lei che delirava!
— Io non guarirò mai, Columba; ma non importa.... non prendertene pensiero; va, sta tranquilla, non pensare a me.... Perchè t’è venuto in mente, adesso, di pensare a me?
— Io ci ho sempre pensato.... Sei tu che non mi volevi bene.... come io desideravo! Tu mi umiliavi sempre: io ero una donna ignorante, per te! Sì, sì, lo ero davvero; rimproverami pure, ma non mandarmi via! Jorgeddu mio, perdonami: io sono qui come una che sta per morire e va da chi può darle un rimedio....
Egli non rispose. Ah, il suo silenzio la esasperava più che le parole amare di lui. Ella cominciò a torcersi le mani.
— Non mi senti? Non mi dici nulla? Io sono più malata di te, io odio tutti.... tutti quelli che ci hanno assassinato.... Se ci avessero lasciato in pace nulla sarebbe accaduto.... lo capisco, non credere che sia così stupida! Io non so parlare, ma so pensare. Qui dentro, qui dentro (aggiunse stringendosi la testa con le mani) qui c’è qualcosa che arde sempre.... Certi momenti mi viene il desiderio di battermela contro una pietra, questa testa maledetta. Sì, quando ci vedevamo io tacevo, ma tante cose mi venivano in mente: e tu non capivi.... tu credevi che io ero una stupida, cattiva e finta.... Ecco perchè non mi potevi vedere.... E anche quel giorno, quando tu sei tornato da Nuoro, ed io ti ho raccontato quell’orribile fatto.... anche quel giorno tu non hai voluto sentirmi, ed io non ho saputo parlare.... Se no, non sarei qui, adesso, a quest’ora, e tu non saresti così.... così, così, anima mia, ridotto così, come uno straccio, buttato lì, piccolo.... malato, come un povero bimbo orfano e paralitico....
Lagrime di pietà le solcavano il viso, nè ella cercava più di nasconderle; ed anche lui sentiva aumentare la sua pietà per lei.
— Pretu, — disse ancora al ragazzo che ascoltava avidamente, — senti, vattene fuori: abbiamo da parlare di cose che tu non devi sentire....
— Ma io non dirò niente, zio Jò! Ve lo giuro in mia coscienza; può testimoniarlo zia Columba, se io mai ho aperto bocca. Ditelo dunque....
Ma essa non badava a lui.
— E questo caffè lo volete o no? Ecco; poi starete meglio.
Versò il caffè nella tazza slabbrata soffiandovi su per farlo raffreddare; Jorgj cercò di sollevarsi; Columba gli mise una mano dietro la testa, prese la tazzina e gliel’accostò alle labbra.... Ma la tazzina sobbalzava per i singhiozzi di lei: egli la tenne ferma, bevette, si sentì racconsolato.
Prendi anche tu un po’ di caffè, Columba, e mettiti a sedere, ma calmati; mi fa male la testa, ho la febbre e non posso vederti a piangere.... Che ora è? — insistè rivolto a Pretu. — Mi pare di veder albeggiare: se tu andassi a prendere il latte?
Il ragazzo capì che bisognava assolutamente andarsene; prese la bottiglia del latte e uscì. Allora anche Columba parve calmarsi: sedette sullo sgabello e tentò di metter la sua mano su quella di Jorgj: ma egli istintivamente la ritirò ed ella capì da questo gesto più che da qualunque parola che nulla più di comune vi era fra loro.
— Io sono contento che tu sii venuta. Devo morire ed è meglio che me ne vada in pace con tutti.... Ma, non voglio che si ricomincino le questioni.... fai male a me ed a te.... — egli le disse con tristezza.
— Io sono padrona di me; posso fare quello che il cuore mi detta....
— Dovevi farlo prima: adesso è tardi!
— Perchè tardi? Perchè sei malato? Ma io starò qui e ti curerò; se tu ti fossi ammalato dopo non sarei stata con te lo stesso?
— No, tu non mi capisci, Columba!
— Ti capisco, invece! Tu non mi vuoi più bene; tu vuoi dire questo. Tu hai ragione: io ti ho rovinato.... Ma tu sei solo, anima mia; chi ha cura, di te? Un povero ragazzetto ignorante e ciarlone. Anche se tu non mi vuoi bene io resterò lo stesso.... sarò io la tua serva.... e tu, un po’ per volta, mi vorrai bene ancora; io lascerò tutti, per te, parenti, amici, lo sposo, il nonno.... tutti, tutti.... come tu volevi....
— Ma adesso non voglio più! Allora ero sano. Se tu venivi forse non mi ammalavo....
— Chi lo sa? Forse il dispiacere continuava lo stesso.... Se io venivo, la calunnia... la calunnia.... continuava....
Ella non proseguì; pareva avesse difficoltà a pronunziare le parole che ricordavano l’orribile fatto. E si meravigliò nel sentir Jorgj a parlarne con calma.
— Non è vero! Se tu venivi io non mi ammalavo: io trovavo la forza per lottare. Non mi sono mai curato della calunnia; doveva cadere, come tutte le calunnie, col tempo. La verità esiste, Columba: chi ti ha spinto adesso a venir qui, a quest’ora? La verità! Ah, sono contento per questo! E verrà qui anche il tuo nonno, e tua sorella, e tutti i miei nemici. Se tu venivi subito, da me, entrambi avremmo sentito questa gioia che adesso io solo sento: e non mi sarei ammalato.... Ma non importa... Sono contento lo stesso; solo mi dispiace per te. Ma bisogna che anche tu ti faccia forza, e che tu capisca....
Ella capiva; confusamente, ma capiva.
— Tu sei intelligente, — egli proseguì: — per questo ti ho voluto bene. Se tu fossi nata in un’altra casa.... oh, come saremmo stati felici! Come tanti altri, che si incontrano, si amano, formano una famiglia.... Ma è inutile pensarci, adesso! Tu, del resto, non sarai sfortunata: la famiglia l’avrai, sarai una buona madre, ti dimenticherai di me. Va, va, ritorna a casa e sta tranquilla; tuo nonno non c’è, vero? Che quando ritorna ti ritrovi a casa.... va, va, e che tua sorella non si accorga che sei venuta.... Col tempo verranno anch’essi qui; ma adesso non irritarli.... Va...
— E se io volessi restare? Che faresti?
— Io? Nulla, Columba! Che posso fare, io, Columba? — egli disse, con un sorriso che la offese più di qualunque minaccia. — Non potrei certo prenderti per il braccio e ricondurti alla porta; ma....
— Io dico che se io restassi, Jorgj, tu finiresti col volermi bene ancora....
— Cristo disse di voler bene anche al nemico: ed io non ti voglio male; ma appunto perchè non ti voglio male ti ripeto: vattene, è meglio per te....
— Ma se io restassi?... Se io restassi?... — ella ripeteva febbrilmente.
— Il tuo posto non è qui. Se tu restassi contro la mia volontà mi faresti credere che vuoi tormentarmi ancora.... È inutile.... è inutile....
Allora Columba tacque, e per alcuni momenti un silenzio grave di tutti i ricordi e di tutti i rimpianti li riunì più che tutte le inutili promesse e le inutili spiegazioni.
Ella parve a un tratto destarsi dal suo sogno e capì che doveva andarsene; ma la pietà e la gelosia la trattenevano ancora.
— Che accadrà di te, Jorgeddu? Come farai?
— Come ho fatto finora....
— Ah. finora? Sei vissuto disperato: avevi chiuso la porta.... eri come un condannato in cella....
— D’ora in avanti non sarà così: farò la pace con tutti, vedrai, persino col nonno: diglielo, anzi: se vuol venire che venga....
Columba scuoteva la testa, curva, a occhi chiusi, con le mani giunte.
— Tu parli così, adesso, perchè sei contento: lo so, sì, che sei contento.... Ma quando sarai di nuovo solo, chiuderai di nuovo la porta....
— No, no, vedrai: non sarò più solo....
E di nuovo tacquero. Nè L’uno nè l’altra pronunziarono il nome della straniera; ma ella era in mezzo a loro, ed egli la vedeva, bianca e ridente, con le vesti che pareva sussurrassero esalando un profumo di fiori; e gli sembrava che ella spalancasse la porta della stamberga e fosse lei a far inargentare il cielo sopra l’altipiano, a far cessare il vento, nell’alba di maggio, a far cantare le cinzie fra i cespugli umidi del ciglione.
Anche Columba credeva di vederla, bianca, con gli occhi scintillanti, come quella mattina su al balcone del Municipio: la sua voce lo diceva: «Vattene, vattene; non ti vergogni a star qui, dopo che ti sei legata con quell’altro?»
Sì, bisognava andarsene: era l’alba, il nonno poteva tornare da un momento all’altro, trovarla lì, bastonarla.
La realtà, la riprendeva, a misura che la luce penetrava dal finestrino e dalle fessure della porta.
Pretu rientrò.
— Il vento è cessato; finalmente torna il bel tempo. Ecco il latte; ma mi ha dato una cattiva misura, stamattina, zia Artura.
Jorgj guardava Columba pallida come l’alba, e pensava:
«Perchè non è venuta prima? Ne avrei davvero provato tanta gioia da sollevarmi. Adesso è tardi.... è troppo tardi....»
— Quando ti sposi? — le domandò.
— A Pentecoste.
Così presto? Te ne vai subito?
— Subito.
— E il nonno con chi resta?
— Solo: forse si cercherà una serva....
— Io ne so una.... — disse subito Pretu che versava il latte dalla bottiglia al tegamino.
In quel momento s’udì nella straducola un passo di cavallo, e Columba balzò in piedi pensando al nonno.
— Non è lui, — disse Jorgj, che conosceva il passo del cavallo di zio Remundu. — Però, sì, è meglio che tu te ne vada. Addio e.... buona fortuna....
Columba si nascose gli occhi col lembo del fazzoletto, porse l’altra mano.
— Addio; stringimi almeno la mano.... Jorgj Nieddu!...
Egli prese quella mano piccola, dura e bruna, che un tempo gli era parsa la mano di Rachele, e la strinse nella sua umida e ardente; ma pensava alla mano piccola molle e bianca di Mariana, e Columba indovinava questo pensiero!
— Addio, — ella ripetè, e uscì rapida, col viso nascosto nel lembo del fazzoletto.
Ma quando fu nel cortile si scoprì guardandosi attorno timida e diffidente come una cerbiatta smarrita. Tutto le sembrava nuovo intorno a lei, e la luce chiara dell’alba le destava meraviglia.
Se ne andò come era venuta, incalzata dalla pietà e dalla gelosia, e tornò a chiudersi nella vecchia casa aspettando che il nonno tornasse: ma anche là dentro penetrava la luce, ed ella continuava a provare un senso di stupore come se tutte le cose avessero cambiato aspetto.
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Pretu intanto scaldava il latte, dopo aver spento la candela, e diceva:
— Se Columba non si sposasse, chi sposereste voi, zio Jò; lei o la sorella del Commissario?
Ma Jorgj aveva chiuso gli occhi e pareva dormisse, vinto da uno di quei sonni profondi che lo coglievano dopo una crisi nervosa.
Il vento era completamento cessato; nell’alba argentea come un chiaro di luna, un grillo cantava ancora; e quel zirlio tremulo dava a Pretu l’idea d’un filo che uscisse dalla bocca della bestiola, sottile come quello dei ragni, imperlato dalla rugiada.
All’improvviso Jorgj trasalì svegliandosi di soprassalto; spalancò gli occhi, li richiuse, ricadde nel suo sopore mormorando:
— Il nonno.... il nonno....
Pretu dapprima credette che il padrone sognasse, ma poi sentì davvero un passo di cavallo nel viottolo.
— È zio Remundu che torna... Adesso vado ad ascoltare cosa gli dice Columba....
Non era la prima volta che si prendeva quel gusto: uscì quindi nel cortile senza troppo affrettarsi, dopo aver tolto il latte dal fornellino e coperto il fuoco, e s’avanzò cauto lungo il muro, fino alla porta di Columba.
Il cielo si colorava sopra la straducola, in fondo alla quale si vedeva una lontana cima di monte rossa come un bocciuolo di rosa. L’aurora trionfante di maggio saliva dal mare, e tutto le cose stanche dal vento ch’era appena cessato pareva l’accogliessero stupite più che liete. Nel silenzio, — anche i cani e i galli tacevano. — si sentiva la voce di Columba ma lontana, dal portico, e solo si distingueva qualche parola; a un tratto però la voce del nonno tonò in cucina, così forte che Pretu si scostò di là spaventato.
— Tu sei pazza, nipote mia; che sogni hai fatto stanotte?
La voce di Columba brontolava laggiù; spinto da un’ispirazione felice Pretu rientrò nel cortile e s’arrampicò sul muro, a costo di esser veduto dalla ragazza. Ah, di lassù si sentiva bene: sporgendo un po’ la testa egli poteva anche veder Columba che rimetteva in ordine alcuni oggetti e attaccava ai piuoli la sella, il freno, le bisacce. Il vecchio cavallo del nonno ruminava l’erba, insensibile alle vicende dei suoi padroni.
— Sì, brutti sogni ho fatto! — ella disse; e tacque; poi riprese più forte: — tutta la mia vita è un brutto sogno! Bella Pasqua di rose sarà la mia: rose piene di spine velenose.... Voi l’avete voluto.... Voi.... Voi.....Voi....
La sua voce rauca vibrava di dolore più che di collera, e il nonno dovette commuoversi perchè tornò a uscire nel portico e disse con tristezza ma anche con una certa solennità:
— Columbè, nipote mia! L’avevo detto già che non bisognava lasciarti sola! Il demonio ti accerchia, quando sei sola! ed è una brutta compagnia, quella! Chi è venuto da te? Cosa ti hanno raccontato?
— Nulla mi hanno raccontato. Volete sentirlo? Ho veduto io con questi occhi.... sì, sì... fate quel che volete, non vi temo più, babbu Corbu! L’ho veduto io quel disgraziato; è piccolo piccolo, come un bambino paralitico; è dentro la sua tomba come un agnellino ferito.... E voi gridate? Oh, gridate pure, come l’avvoltojo dopo che ha ferito l’agnello, ma Dio non paga giorno per giorno; e la punizione verrà!
— Verrà per te, lingua in infernale, donna pazza come il vento....
— Per me è venuta, babbu Corbu! Da molto è venuta, e verrà.... sempre più forte.... Ah, voi non volete lasciarmi sola perchè il demonio mi tormenta! Dunque lo sapete! Sì, sì, il demonio mi tormenta, giorno e notte, e non mi lascerà in pace finchè non morrò.... Ma chi l’ha voluto?
Voi.... Voi.... Voi....
Ella parve vacillare: appoggiò il braccio al muro come per non cadere, il viso sul braccio, e ricominciò a piangere.
Il vecchio taceva sbalordito. Andò accanto al cavallo, gli palpò il fianco, tornò nel portico: le sue dita s’aprivano e si chiudevano come artigli, ed egli sembrava combattuto dal desiderio e dal timore di bastonare la nipote.
Ella piangeva appoggiata al muro e diceva: — Se mi aveste ucciso, quando ero in culla, avreste fatto meglio! Cosa avete fatto di me, dite, dite? Mi avete piegata in due, mi avete legata come un covone d’orzo.... Bè, adesso sarete contento; e anche sorella mia sarà contenta.... Ci vedrete morire tutti e due, lui, il povero colombo, nella sua grotta scura, io laggiù, nella casa ricca di Zuampredu Cannas.... Io camminerò ma sarò più paralitica di lui; finchè cadrò come un frutto marcio. Allora sarete ancora più contento, voi.... voi... voi... Seduto accanto al focolare deserto, solo come lo sparviero fra le pietre, direte: così va bene....
Il vecchio mugolò di rabbia e di dolore slanciandosi contro di lei col pugno sollevato.
— Basta, Columba! Taci una buona volta, o ti strappo di bocca quel serpente di lingua. Ah.
disse poi quasi soffocato dall’ira, scostandosi e battendosi la testa col pugno. — perchè son vivo? Nemici ne ho avuto, da combattere, ma nessuno come te, nipote mia.... Meglio m’avesse colto una palla in mezzo alla foresta, e i corvi m’avessero spolpato come una pecora.... Tu mi uccidi peggio, nipote mia, tu mi spolpi poggio, Columbè!
Ella mormorò qualche parola, ma il vecchio gridò ferocemente:
— Basta, adesso, perdio! — ed ella tacque continuando a singhiozzare.
Aggrappato al muro Pretu provava un’impressione quasi di vertigine: gli anni passeranno, egli non dimenticherà mai quella scena, i sospiri e il mugolio del vecchio, i pugni che egli si dava sul capo quasi per sfogarsi, per impedirsi di darli a Columba; le parole e il pianto disperato di lei che s’era appoggiata al muro come fosse ferita e invece di lagrime versasse sangue.
Finalmente il nonno disse, calmatosi alquanto: — Bè, ricordati quello che ti ho detto l’altra sera: sei libera ancora, fa quello che vuoi. Vuoi tornartene lì, da quel malaugurato pezzente? Torna pure: io non aprirò più bocca. Ma che sia finita; va!
Columba sollevò il viso e disse con accento di sfida:
— Se egli mi avesse voluta non sarei qui!
— E allora cos’è che vuoi?
— Nulla voglio, per me! Io ho tutto. — ella riprese con cupa ironia; — che cosa mi manca? Voi mi avete procurato tutto.... Ma a lui bisogna restituire il mal tolto: questo voglio....
E si drizzò davanti a lui minacciosa.
— Questo voglio!
Ma la pazienza del nonno era esaurita. Senza più pronunziar parola sollevò di nuovo la mano e la percosse. Pretu sentì il rumore degli schiaffi e si sporse risolutamente sul muro gridando:
— Lasciatela, lasciatela! Corvo!
Ma il vecchio parve non sentirlo e continuò a dar pugni e spintoni a Columba, finchè non l’ebbe ricacciata in cucina.
Tutto fu di nuovo silenzio; anche il vecchio cavallo aveva smesso di ruminare l’erba e scuoteva la coda inquieto. Pauroso che il vecchio cercasse di bastonarlo, Pretu rimase per qualche momento appollaiato sul muro; poi saltò a terra e corse col proposito di raccontare ogni cosa al suo padrone. Ma Jorgj dormiva tranquillo e per ogni buon fine Pretu chiuse a chiave la porta del cortile.