XXI. — Il Traditore

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CAPITOLO XXL

IL TRADITORE.

La liberazione di Manlio — e l’assalto di palazzo Corsini — avevano spaventato il governo Pontificio. — Mentre preparava solenni esequie al cardinale Procopio e ai compagni — avea messo sotto le armi quanta truppa straniera ed indigena v’era in Roma. — La polizia coi suoi cagnotti — era in grande confusione — al minimo sospetto si arrestavano cittadini di ogni classe — e le carceri ne rigurgitavano.

Il governo dei preti aveva saputo comprare un traditore perfino fra i trecento. — Per buona sorte costui non s’era trovato coi dieci del Quirinale, nè tra i venti del Corsini. — Egli però sapeva della riunione alle Terme di Caracalla — e ne aveva informata la Polizia.

Assuefatti alla congiura — gli italiani, sanno ciò che sia una contro-polizia. — Ma per chi non lo sapesse: — essa è una polizia di congiurati, che regola e conosce le mene di quella del governo. [p. 106 modifica]

Il capo della contro-polizia liberale — era Muzio — e ben gli serviva la sua qualità di mendico; — poichè tra quei tanti infelici che accattano il pane nelle vie e sulle piazze di Roma — i preti trovano sempre alcuno che si vende coll’infame patto della delazione. — Muzio non lo ignorava — e coll’intelligenza superiore che lo adornava — aveva saputo dai suoi emissarii far vigilare gli emissarii dei preti.

L’ultime ombre dei congiurati (perchè veramente sembravano ombre che traversassero quelle macerie) eransi introdotte nella gola del sotterraneo. — Attilio aveva fatta la dimanda: se le sentinelle erano a posto: — il lume, dopo la risposta affermativa, aveva rischiarato le austere fisonomie dei nostri giovani. — quando un fischio simile a sibilo di serpente — fece risuonare le antiche vôlte dello speco.

Era questo segnale d’allarme ed era il mendico che lo mandava — il quale, messo appena il piede sull’entrata del sotterraneo — «non v’è tempo da perdere» esclamava — «non solo siamo accerchiati da forza armata da questa parte — ma altra forza ha già preso posizione all’uscita settentrionale del sotterraneo!» [p. 107 modifica]

L’imminente pericolo in luogo di far impallidire quei prodi — gettò sulle loro maschie fisonomie un’aria di giubilo. — Tale è là coscienza del vero coraggio — massime quando serve la sacrosanta causa della libertà e della patria — ed Attilio girato uno sguardo di compiacenza sul consesso imponente — ordinò a Silvio di recarsi con due compagni all’estremità del sotterraneo ed informarlo di quanto accadeva. —

All’entrata compariva una sentinella e confermava quanto Muzio avea asserito — ma dalla parte opposta, niuno si faceva innanzi — il che dava a supporre che le sentinelle, da quella parte, potessero essere state arrestate.

Appena però Silvio giungeva all’estremità del sotterraneo — alcune fucilate dal di fuori annunziavano il conflitto — mentre rientravano al tempo istesso i quattro compagni, che si trovavan di guardia in quella parte, per dar notizia dell’arrivo di numerose truppe. — Silvio tornò indietro e ragguagliò il suo capo di quanto accadeva. —

Attilio allora diede questi ordini: «Muzio formerà l’avanguardia coi suoi cento — io lo seguiterò coi miei — Silvio colla sua schiera starà alla retroguardia. Con uomini come voi; io posso risparmiare ogni [p. 108 modifica]raggiamento: dirò soltanto, che qualunque sia la forza che noi abbiamo a fronte, dobbiamo caricarla in massa col pugnale alla mano. I primi venti della tua schiera, disse a Muzio, marcino radi e adagio sino ad incontrare il nemico — scoperto, lo assaltino gridando e a passo di corsa. — Noi vi seguiremo da vicino.»

Dopo queste poche parole Muzio — disposti i venti — e dato un colpo d’occhio al resto della sua schiera — si avvolse la toga al braccio sinistro — e col pugnale nella destra si avanzò dicendo: «seguitemi!»

L’antro sembrò in quel momento vomitare un torrente di lava — ed all’oscuro, perchè ogni lume era spento, — cupi — silenziosi — s’avanzarono i discendenti dei Fabii, pronti ad affrontare i satelliti del dispotismo.

I primi soldati che s’incontrarono coi nostri ebbero appena il tempo di spianare i fucili, che in un lampo si trovarono avviluppati dai terribili aggressori e volti in fuga. — Un urlo tremendo di «avanti!!!» — uscito da trecento maschie, e sonore voci — incuteva una paura di morte anche nei men codardi di quella bordaglia.

In men ch’io nol dica — il Campo Vaccino — e poi le vie di Roma diventarono fiumi [p. 109 modifica] di fuggenti. — Elmi, sciabole, fucili, si trovarono seminati sul lastrico delle vie e più feriti vi furon dagl’inciampi in quelle armi — che da mano nemica. — Molti incespicando rovesciati — cagionavano la caduta dei vegnenti — dimodochè in certi luoghi si trovavano qua e colà monti di mercenarj e di birri. — Alcuni si lamentavano — altri mostravan tanta paura nelle ossa — . che gridavano: «Non mi uccidete, signor liberale, ch’io mi sono arreso.» —

Frattanto i prodi campioni della libertà di Soma, dopo d’aver fugato i mercenarj pretini — si separavano — e tranquillamente ripigliavano la via delle loro case — sparpagliati in piccoli gruppi.

Quanto valga l’uomo di coraggio è cosa incredibile! — Un uomo può mettere in fuga un esercito — e non è esagerazione. — Io ho veduto degli eserciti colti dal panico — fuggire davanti - — non ad un uomo solo — ma a meno d’un uomo — davanti ad un pericolo immaginario. — Un grido di: «salva chi può!» — «Cavalleria!» — «il nemico!» risonante di notte — ed anche di giorno con qualche tiro di fucile — o senza — basta a mettere in fuga un corpo di truppa — che ha combattuto e combatterà in altra [p. 110 modifica] circostanza col maggiore coraggio. — Comunque sia — il panico è vergognoso — e veramente veduto e considerato con pacatezza, esso ha qualche cosa di degradante. — Io vorrei non aver mai a vedere gl’Italiani colti da terror panico. — Eppure pare che i popoli meridionali e più spiritosi, come il Francese, l’Italiano, lo Spagnolo vi siano più soggetti dei popoli freddi e posati del settentrione. —

Dei liberi, pochi furono i feriti: — il che succede sempre ai valorosi, — dei mercenarj però molti furono i feriti da loro stessi, e si contarono alcuni morti.

Tra i cadaveri che all’albeggiare si distinsero nelle vicinanze delle Terme — v’era un giovane col mento appena coperto di lanugine — era supino — e sul suo petto a grandi caratteri si leggeva la parola traditore.

Giovinetto senza esperienza — Paolo, ebbe la disgrazia d’innamorarsi della figlia d’un prete. — La Dalila astuta — ammaestrata dal padre — era giunta a scoprire che il suo amante apparteneva ad un gruppo di cospiratori. — Dal primo errore lo sciagurato cadde in altri — e finì con l’abbandonarsi intieramente all’infame vita del delatore.

Quella notte n’ebbe degna ricompensa!