Clelia/XXII
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CAPITOLO XXII.
LA TORTURA.
Siccome l’ora della solenne vendetta — della popolare giustizia non era sonata ancora — i preti se la cavarono con la sola paura. — Essi ben temettero in quella spaventosa notte di veder rompere il capello a cui la giustizia di Dio tien sospesa la spada sterminatrice che reciderà il loro capo nefario: — ma fu differito il castigo. — Non, che la misura non sia colma — ma forse le colpe degli uomini — meritano ancora quell’abominevole flagello!
Conoscete voi la tortura?
Sapete voi italiani che dai preti fu torturato Galileo? il più grande degli italiani? — e chi se non i preti poteva istituire la tortura? — Ci voleva l’animo d’un arcivescovo, pir condannare a morire di fame in carcere murato Ugolino con quattro figli!
Sì! la tortura! — dacchè nella famiglia umana, vi furono uomini che svestirono le forme umane per farsi impostori — cioè, preti — dacchè vi furono preti nel mondo — vi furono tortore.
Volendo costoro mantenere tutti gli uomini nell’ignoranza — quando emergeva alcuno che avesse ricevuto da Dio tanta intelligenza da capire le loro menzogne. quell’intelligente era da questi demoni torturato — acciò confessasse che la luce era tenebra «— che l’eterno — l’infinito — l’onnipotente — era un vecchio dalla barba bianca seduto sulle nubi — che una donna, madre d’un bellissimo maschio — era una vergine — e che un pezzetto di pasta che voi inghiottivate — era il creatore dei mondi che vi passava per le vie digestive — e poi — e poi!!!
Quando si pensa che una gran parte del popolo ci crede ancora — e che in questo secolo in cui l’intelligenza umana ha pur partorito delle grandi cose — il prete la fa ancora da padrone; quando si vedono i reggitori delle nazioni fingere (perchè è finzione ed ipocrisia) di proteggere e mantenere con ogni rispetto — l’istituzione diabolica del pretismo — c’è veramente da impazzire — e non si capisce se a sia più malvagità dalla parte dei potenti e degl’impostori — o più stupida imbecillità da parte di chi li tollera.
In molti paesi — come l’America — l’Inghilterra — la Svizzera, la tortura è realmente abolita — nè colà il progresso è vana parola.
In Roma pure non se ne parla, è vero: ma chi riesce a penetrare nei reconditi recessi di quei pandemoni, che si chiamano claustri — seminari — conventi? — in quei covili ove un’assoluta reclusione isola l’individuo dall’umana famiglia — ove l’essere maschio o femmina che appartiene alla confraternita — è legato da giuramenti tremendi — ed appartato per sempre dal consorzio del resto degli uomini: — massime se vi sia sospetto ch’egli non sia intieramente corpo ed anima consacrato all’istituzione — ove il despotismo è assoluto - irresponsabile — potente!
Sì! in Roma — ove siede il vicario del Dio di pace — del redentore degli uomini — v’è la tortura come ai tempi di S. Domenico1 e di Torquemada!2 ed in questi giorni di convulsioni politiche e di paure pretine — la corda e la tenaglia erano all’ordine del giorno negli orridi sotterranei di Roma.
Povero Dentato! il bravo sergente de’ dragoni che facilitò l’evasione di Manlio — Dentato era messo alla tortura mattina e sera per strappargli di bocca la delazione dei complici!
Io risparmierò ai miei lettori l’orrido quadro dei patimenti inflitti a quel prode romano — straziato colla corda, attanagliato — ridotto una massa informe — abbandonato in un canto del suo carcere segreto — spirante — ed implorando la morte come un beneficio. — Quello ch’io non posso tacere è che il prete non si contenta di martoriare — di avvilire il corpo — egli vuole insudiciare l’anima, — e quando il soffrente svenuto — pei patimenti — articola un’indistinta parola — egli la raccoglie —: e l’interpreta a modo suo — spargendo la vergogna e l’infamia sul capo dell’infelice torturato.
I1 povero Dentato — così scontava il suo amore per l’Italia e per Roma — nelle unghie dei luciferi umani — e non era il solo! — In quei giorni di paura e di rabbia, furono numerosi gli arresti — ed i torturati, — ed anche rinvenuto dal terrore — il prete si dava alle sevizie — condizione essenziale per riconoscere i codardi. — I tiranni più crudeli — i più sanguinari di tutte le epoche — furono vili e pieni di paura.
Infelice Dentato! i suoi carnefici — rapportavano, ch’egli aveva confessato complici — e quindi nuovi arresti — nuovi tormenti, e nuove torture!
Ecco! come da tanti secoli è trattato questo nostro povero paese? — ed il mondo tollera questi carnefici — li protegge — li impone all’Italia! — Non si sa se più scellerati i preti e chi li sorregge — o più stupido questo miserabile popolo — che li soffre nel suo seno — e non fulmina — non annienta questi istrumenti del suo servaggio, delle sue miserie e delle sue umiliazioni.