Ciuffettino/Capitolo XVII
Questo testo è completo. |
◄ | Capitolo XVI | Capitolo XVIII | ► |
XVII.
Melampo e Ciuffettino erano giunti alla spiaggia. In un seno tranquillo una vecchia nave mercantile se ne stava, immobile, specchiando lo scafo nero e rugoso nelle acque limpide.
Su la riva, manco l’ombra di una capanna: il deserto addirittura.
— Rifugiamoci là dentro - disse il cane, tuffandosi risolutamente nell’acqua, e nuotando con vigore verso la nave - aspetteremo che venga notte, e poi cercheremo di ripigliar la via di Cocciapelata.
— Eh! - bofonchiò Ciuffettino, il quale si trovava sempre su la groppa del cane - se avessi dato retta a te, a quest’ora dormirei in casa del mi’ babbo... Me lo merito, lo ripeterò cento volte: me lo merito, ah! sono stato un gran birichino!
— Ma sei pentito davvero? - chiedeva Melampo, soffiando perchè l’acqua non gli entrasse nel naso non ci credo...
— Melampo mio, te lo giuro...
— Eh! per promettere, si promette bene: ma a mantenere...
— Ma io non sono di quelli che promettono e poi non mantengono!
— Davvero?...
— Io sono un ragazzo di nuovo genere. Oh! Melampo! guarda laggiù... laggiù in fondo... ohi, ohi...
— Che cosa c’è?
— C’è il burattinaio... mastro Spellacane... che corre come il vento...
— Lascialo correre: nell’acqua non ci viene...
— Ma perchè correrà tanto?
— Che vuoi che ti dica? Avrà gli stivaloni delle sette leghe...
— Credevo che usassero soltanto nei libri delle Fate.
— Oh! eccoci, finalmente! A dirtela schietta, non ne potevo proprio più!...
Mastro Spellacane, che aveva scorto i fuggitivi, al colmo del furore e pregustando la gioia della vendetta, si lasciò trasportare dallo slancio dei famosi stivaloni delle sette leghe, che gli aveva lasciati in eredità un bisavolo Mago di professione, e cadde in acqua. Il feroce uomo non sapeva nuotare, e gli stivaloni erano pesantissimi. Perciò bevve tant’acqua che ne fece una indigestione, e morì. Triste morte per uno che aveva tanto amato... il vino! Ma meritata: perchè Spellacane era sempre stato un fior di canaglia.
Intanto a furia di annaspare, Melampo era arrivato alla scaletta di legno del bastimento, sotto alla quale galleggiava una barchettina. Balzarono nella barchettina, e si arrampicarono su la scaletta.
Sul ponte della nave c’erano molti marinai, distesi sopra le tavole, e dormivano perchè avevano preso tutti una bella sbornia la notte innanzi, alla fiera del paese vicino.
Perciò Melampo e Ciuffettino si calarono nella stiva indisturbati. Il ragazzo trovò, in un angolo della stiva, presso la poppa, l’usciolo di una specie di cabina: lo aperse ed entrò. C’era un gran puzzo di pesce secco, di olio rancido e di catrame, là dentro: vi si respirava a malapena: ma il ragazzo non fece troppe storie: si sdraiò su di un mucchio di cordami, appoggiò il capo su di una cassetta di baccalà, e attaccò un bel sonno. Melampo rimase un bel pezzo a fantasticare su i propri casi: poi, dopo essersi grattato un’orecchia, e dopo essersi data una brava leccatina al muso, chiuse gli occhi anch’esso.
Svegliandosi, Ciuffettino vide, e con estrema meraviglia, che le pareti della cabina oscillavano.
— Il terremoto!... - disse. E si alzò: ma le gambe lo reggevano malissimo in equilibrio. Anzi, dovette appoggiarsi ad una cassa, per non cadere.
Orecchiando, gli parve di udire una specie di sinistro scricchiolìo, frammischiato di tanto in tanto ad una specie di gemito. Lo scricchiolìo ed il gemito partivano certamente dal fasciame della vecchia nave. Ma perchè? Anche Melampo sembrava inquieto. Ciuffettino si arrampicò su di un mucchio di cordami, poi su di una botticella, e si affacciò ad un finestrino. Cielo ed acqua! Per quanto il ragazzo allungasse il collo, non pote’ veder altro. Il sole tramontava, incendiando il mare. Il monello si ritrasse, con gli occhi abbagliati.
— Sicchè? - domandò il cane, ansiosamente.
— Ma!... non capisco! - rispose Ciuffettino, tirandosi il ciuffo, perplesso.
— Che cos’è questo movimento?
— Io mi sento mancar le tavole sotto i piedi...
— Anch’io!...
— Sai che cosa bisognerebbe fare?
— Sentiamo.
— Se montassimo su la nave?
— E se ci vedono?
— Non ci mangeranno mica, caro Melampo. E poi, in confidenza... mi sento una certa uggiolina allo stomaco...
— Se non hai paura tu, figurati io!
— Paura io!... per tua regola, io non sono un ragazzo pauroso. Figurati che discorrevo con il lupo mannaro come si discorrerebbe col primo venuto... Tu avessi visto, che brutto tipo, quel lupo mannaro! E sua moglie, poi!... Mi volevano mettere in umido, con le cipolle, ma io... figurati!... ci ridevo come un matto.
Così chiacchierando, Ciuffettino e il cane salivano la scala che dava sul ponte del battello. Proprio in quel momento i marinai, dietro gli ordini del capitano, stavano eseguendo una difficile manovra delle vele, perchè mutava il vento.
Il capitano era un omaccione grosso e rubicondo, dall’occhio vispo, dalla gran barba incolta, dalla bocca grande come un forno, guarnita di denti da coccodrillo e sempre pronta al sorriso. Si chiamava Mangiavento, ma invece non mangiava che aringhe salate. Però in gran copia: almeno una cinquantina al giorno. Salute a noi! Questo Mangiavento fu il primo a scorgere Ciuffettino e Melampo, che erano sbucati fuori dal boccaporto, come due apparizioni.
— Per mille brigantini! - tuonò il capitano, mettendosi le mani su i fianchi, e girando gli sguardi su gli uomini dell’equipaggio - chi ha fatto salire a bordo questo minuscolo passeggiero? Avevo detto, sì o no, che non volevo passeggieri?
— Ma io non sono un passeggiero, scusi - obbiettò Ciuffettino, facendosi avanti e togliendosi il cappelluccio.
— E chi sei, allora?
— Io sono Ciuffettino!
— E dove vai?
— Lo domando a lei, dove vado!
— Lo domandi a me? Sei curioso!... Sembri una acciuga!
— E lei sembra un ippopotamo!
Per una scossa improvvisa di rollio, Ciuffettino perse l’equilibrio, e andò a ruzzolare proprio su i piedi colossali del capitano, che per poco non si fece scoppiare una vena nel petto dal convulso delle risa. Era un burlone, quel bravo marinaio!
— Ma, o di dove sei scappato fuori? - riprese Mangiavento.
— Non lo so.
— E che fai?
— Nulla.
— Ma qui ci deve essere uno sbaglio.
— Sarà benissimo!...
— Sei a bordo di un bastimento: facciamo rotta per le Antille...
— Le Antille! Che sono molto distanti, scusi, signore, le Antille, da Cocciapelata?
Padron Mangiavento uscì in una risata tale che Ciuffettino, còlto alla sprovvista, fece un salto. E il beccheggio obbligò il ragazzo a far altre due o tre capriòle, tutte di seguito.
— Da Cocciapelata... oh! oh! oh!... come sei buffo!
— E dàgli! ma cotesto non è rispondere!
— Ma le Antille sono isole lontane migliaia e migliaia di miglia, sciocchino!
— Allora, senta, vorrei tornare indietro!
— Siamo già in alto mare, non si può!
— E quando ci arriveremo?
— Fra un mese... fra due... fra sei! chi sa! dipende dai venti...
— E allora, il mi’ babbo...?
E il nostro eroe scoppiò in un pianto disperato.
Abbiamo già fatto capire che il capitano Mangiavento era un brav’uomo. Le lacrime del ragazzo lo commossero. Prese Ciuffettino delicatamente fra le mani, e lo alzò fin presso la sua barba, che puzzava maledettamente di tabacco.
Ciuffettino fece due grandi sternuti, e seguitò a piangere.
— Via, Bruscolino... come ti chiami?
— Ciuffettino.
— Via, Ciuffettino: spiegami qualche cosa... non piangere così... non posso vedere a piangere i bambini... sii buono... vedrai che accomoderemo tutto... Non piangere!
E Ciuffettino starnutava e piangeva.
— Comincio ad arrabbiarmi! - disse il capitano, scrollando il grosso capo - se non mi dici tutto, non ti do da cena!... Smetti di piangere, Bruscolino... ossia, Ciuffettino!...
E Ciuffettino, dinanzi alla tremenda minaccia, raccontò la propria istoria. Mangiavento rideva sotto i baffi, ascoltando. In ultimo disse:
— Mio caro ragazzo, dopo le tue monellerie, certe lezioni te le sei meritate. Tu starai a bordo, con noi, a lavorare, e verrai con noi alle Antille: e dopo un anno di navigazione, tornerai a casa guarito di tutte le tue grullaggini: avrai le mani callose e il colore abbronzato, ed amerai lo studio ed il lavoro. Tornerai a casa trasformato. Tuo padre, perdendo un birichino, acquisterà un uomo... E me ne ringrazierà.
Dopo una pausa, il degno marinaio aggiunse:
— Ma tu devi aver fame, caro Burattino... cioè, Ciuffettino. Ti piacciono le aringhe salate?
Ciuffettino storse la bocca.
— Eppure le devi mangiare, perchè a bordo non c’è altro. Tu avrai due aringhe e il tuo cane una bella zuppa. E voialtri, figliuoli, attenti alla manovra!
E così il nostro eroe, dopo mille peripezie strane, per colpa della sua testolina bislacca, si trovò costretto ad abbandonare il bel cielo della patria.