Chi l'ha detto?/Parte prima/33
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§ 33.
Frode, rapina, prepotenza
543. Mundus vult decipi, ergo decipiatur.1
Talora all’astuzia deve di necessità attenersi chi non può per altre vie raggiungere il suo intento:
544. Dove forza non val giunga l’inganno.
Parlando d’inganni, mi tornano alla memoria la frase dantesca:
545. .... Quella sozza imagine di froda.
546. Qui diable est-ce donc qu’on trompe ici?2
Non si può parlare della prepotenza senza ricordare il verso:
547. .... Ragion contra forza non ha loco.
548. La raison du plus fort est toujours la meilleure.3
Le loup et l’agneau, primo verso).
549. Macht geht vor Recht.4
La force prime le droit.
Delle prepotenze usate al Giusto secondo il racconto del Vangelo, la voce comune conserva il ricordo ripetendo il versetto biblico:
550. Diviserunt vestimenta ejus.5
- S. Marco, cap. XV, v. 24; - S. Luca,
cap. XXIII. v. 34).
Diviserunt sibi vestimenta mea.
Un verso dantesco:
551. Tra male gatte era venuto il sorco.
552. Degno è di gloria quei che ruba un regno,
Chi ruba poco d’un capestro è degno.
novella, sest. 3).
Anche un epigramma di Francesco Proto, Duca di Maddaloni, persona popolarissima in Napoli per la sua mordacità, dice:
Un ladruncolo ieri iva in prigione,
ed io chiedendo a lui per qual ragione,
«Si sa» — mi rispondea — «solito gioco:
ci vo’ perchè ho rubato troppo poco».
Pur troppo quel che è lecito al potente e al superbo è colpa nell’umile e nel povero, il quale molte volte paga per sè e per gli altri:
553. Morir denno i plebei furfanti oscuri,
Perchè i furfanti illustri sien sicuri.
Come esempio di prepotenza e al tempo medesimo di vandalismo non nuovo nella storia si ha quello ricordato nella satira di Pasquino:
554. Quod non fecerunt Barbari, Barbarini fecerunt.6
detta a proposito di Urbano VIII (Maffeo Barberini) che tolse il bronzo onde erano rivestite le travi del portico del Panteon per farne cannoni (chi dice più di ottanta, chi centodieci), e le quattro colonne e il baldacchino dell’altar maggiore in S. Pietro. Il fatto è narrato anche dai contemporanei. «Di cannoni il Papa presente ha molto contribuito alla mancanza (sic), che prima n’havea lo Stato Ecclesiastico.... Molti sono stati gettati di nuovo per Castel S. Angelo, col valersi anco del metal antico di cui era singolarmente adornato il tempio di tutti gli Dei, hoggidì detto la Rotonda. Onde nacque il motto di Pasquino: Quod non fecerunt Barbari, Barbarini fecerunt». Così, in una sua Relazione del 1635 l’ambasciatore veneto Contarini (Le Relazioni delia Corte di Roma, ecc., vol. I, Venezia, 1877, pag. 58). E un diarista contemporaneo, Giacinto Gigli, in questi termini descrive il malcontento popolare per tale profanazione: «Il popolo andava curiosamente a veder disfare una tanta opera, e non poteva far di meno di non sentire dispiacere et dolersi che una sì bella antichità, che sola era rimasta intatta dalle offese dei barbari e poteva dirsi opera veramente eterna, fosse ora disfatta.» Oggi, mercè le ricerche del prof. G. Bossi, si conosce l’autore di questa satira, che fu l’agente mantovano Carlo Castelli. Vedi il vol. del Fraschetti, Il Bernini, la sua vita, le sue opere, ecc., a pag. 59.