Busto Arsizio - Notizie storico statistiche/Parte I/V
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V.
Fatti d'armi degli Svizzeri e Francesi — Vicende del feudatario Giovanni Medici,
capitano delle Bande Nere — Nuovi feudatarii: Visconti, Marliani (fine tragico
della moglie del conte Carlo Marliani), i Gambarana e i Cicogna.
Li Svizzeri, commandati nel 1509 da Matteo Scheiner, assai noto nelle nostre storie sotto il nome di Cardinale di Sion (Sedunense), riuscirono a staccare dal ducato milanese Lugano, Locarno e Mendrisio. Resi più arditi dal felice esito di queste intraprese, si diedero a scorrere nei due anni successivi pe'l Varesotto, Gallarate, Rho, ed altre terre sino ad Affori e Niguarda. I Francesi, che nel 1511 si trovavano in Busto Arsizio, furono tolti in mezzo dalle scorribande di quelli Alpigiani. Fu allora sì grande lo spavento degli abitatori del borgo, che,
salvo li ecclesiastici, i fanciulli ed i vecchi cadenti, tutti li altri si diedero a fuga precipitosa. Dove passavano, li Svizzeri mettevano ogni cosa a sacco ed a ferro, non avuto riguardo a chicchessia. L'abitatore de 5 paesi delle ville, delle cascine, appena presentiva il loro passaggio, abbandonava le case e le facultà e riparava in più sicuri asili. Non vi fu borgo, villaggio o casale dagli Svizzeri visitato, che andasse immune dalle rapine e dagli oltraggi, anzi per la penuria delle paghe, non ebbero riguardo neppure alle cose sacre.
„ Nel 1515 i soldati di Francesco I di Francia, per estorcere quattrini e grani dai borghigiani, commisero sì gravi enormezze che peggio non avrian potuto fare in un paese abbandonato al saccheggio. — Altretanto tentarono di fare 300 fanti e 100 cavallieri pure francesi nel 1523; ma i Bustesi, in cui era vivo ancora lo sdegno per li antecedenti casi, barricate le strade, li respinsero bravamente1. — In quest'anno furono altresì ristaurate ed accresciute le opere di fortificazione del borgo. Cadute o demolite in appresso, perchè rese inutili dalle mutate condizioni politiche del ducato, furono trascurate, ma ne rimase e rimane ancora ricordo in alcuni modi di esprimersi dei terrieri. Per invitare taluno a recarsi alle porte del borgo si dice communemente andiamo al ponte (allusione ai ponti levatoi presso le fosse), e vi sono altresì delle vie abitate che si appellano dietro i fossi.
Ma fino a quando i Visconti tenessero il feudo di Busto senza interrozione, non si può ben precisare. Imperocchè nel 1524 Giovanni Medici capitano delle Bande Nere, detto il gran Diavolo e padre di Cosimo I, granduca di Toscana, dopo aver espugnato il borgo di Abbiategrasso, siccome quello che aveva fornito vittovaglie ai Francesi assediati in Novara, si trasferì a Busto Arsizio. Qui si difuse tosto la peste, cagionata dalla dimora che vi fecero per poco più d’una settimana i 10,000 Spagnuoli da lui commandati. Un tale malore, giusta il Bombognini, trasse a morte in meno di cinque mesi circa 5,000 persone, ma questa cifra pare non poco esaggerata, massime che non si hanno documenti i quali attestino il fatto, e provino con sicuri dati statistici che Busto fosse allora assai popolato.
Di questi giorni il duca Francesco II Sforza, volendo in qualche modo ricompensare i servigi militari del Medici per la resa di Novara, il 1 di ottobre del 1524 (Doc. N. 6), gli donò il feudo di Busto Arsizio nel Vicariato del Seprio, ed altre terre nel Lodigiano confiscate al Trivulzio, tra cui i beni di Teodoro Trivulzio, situati nei territorii di Locate2 e Melegnano. Ma alcuni mesi dopo, essendo il Medici tornato ai servigi di Francia per consiglio di Clemente VII, collegato con essa, perdette il feudo di Busto3.
Ne’ prossimi anni discesero affamate dai monti grosse torme di lupi, che, assalendo persino li uomini armati, recavano non lieve strage e spavento. A difendersene fu d’uopo tenere per due anni una buona scorta di soldati che dessero loro la caccia.
Una sentenza del 1540 pronunciata in una controversia tra il borgo e le monache di esso dà notizia di un conte Francesco Sfondrati, che vi copriva allora la carica di governatore. Determinava tale sentenza che i beni acquistati dalle monache prima dell’anno 1524 dovessero andar esenti da ogni prestazione e tributo, ma fosse invece riservato al governatore il giudizio intorno agli altri, da quelle in appresso acquistati. Dalle carte feudali appare ancora investito nel 1564 un conte Luigi Visconti, morto il quale senza eredi maschi, il feudo venne ripreso dalla Camera ducale il 29 di giugno di quel medesimo anno.
Abrogato quindi per nove anni il titolo di conte, il feudo passò nel 1573 per il prezzo di lire 31,500 imperiali nel conte Paolo Camillo Marliani “con tutte le cascine di esso, ville, quartieri, territorio, ecc., le successioni, le regalie, l’omaggio, e li uomini del luogo medesimo, e delle pertinenze, sottoposti, ed obedienti, e soliti ad obedire al pretore di esso, ed ai giusdicenti del luogo stesso, come pure colla notaría criminale del luogo medesimo, e coll’autorità di deputare il pretore ed il giusdicente, e li altri officiali, ecc., co’l mero e misto imperio, colla podestà di spada, e con ogni giurisdizione, ecc., nel luogo, e territorio di Busto Arsizio, e nelle pertinenze, salvo tuttavia sempre la superiorità del serenissimo re, duca di Milano, il decreto del maggiore magistrato, la gabella del sale, la tratta dei gualdi4, i dazii della mercanzia e ferrarezza, e gli alloggiamenti de'soldati, e degli stipendiati, e gli altri diritti che, secondo la forma degli ordini e decreti della detta Camera, sogliono in simili casi riservarsi, e conservata sempre la natura del feudo. „
Il nuovo investito fece il suo solenne ingresso in Busto fra l'esultanza dei terrieri e con pompa militare. Gli succedettero i fratelli Pietro Antonio e Luigi. Quest'ultimo fu assai caro a Clemente VIII, e a Paolo V per un'ambascería a nome dei Milanesi. Allorchè egli entrò nel feudo, i Bustesi in attestato dell'affetto e dell'onore in cui lo tenevano, vollero che la porla Basilica fosse restaurata, abbellita da pitture, e decorata degli stemmi regio, communale, e Marliani, e per ultimo anche di un'iscrizione encomiastica 5, ove dichiaravansi le esimie virtù di Luigi, e le cariche da lui sostenute. Fra i nostri feudatarii si ricorda nella medesima iscrizione un Carlo Marliani, il quale, in occasione di una visita al borgo del cardinale arcivescovo Benedetto Odescalchi, fece ristaurare la porta Milano. Ma così la porta, come le pitture di poco merito e in parte corrose furono tolte nel 1861, allorchè fu attuato il tronco della via ferrata, che da Milano mette a Gallarate, dove ora si stanno costruendo due tronchi de'quali l'uno deve congiungersi con Sesto-Calende e l'altro con Varese.
Quì le memorie del tempo narrano un fallo assai romanzesco. Nel 17 di marzo del 1633 il conte Carlo Marliani occise suo cugino Cesare Visconti di Albizzate, gentiluomo, che contava 20,000 scudi d'entrata, per averlo colto in fallo con la contessa Antonia Pusterla sua moglie. La disgraziata donna, più che le parole, comprese il minaccioso sguardo del marito; e per evitare la morte, saltò da una finestra della casa (ch'era in Milano in via della Bagutta), e, si roppe una coscia. Il Conte le sparò un'archibugiata, ma ella non ne rimase vittima. Condutta poi in castello, ed esaminata giudizialmente, confessò con precisione la colpa. Fu il Visconte sepelito su'l terraggio, perchè dicevasi che fosse inconfesso da sette anni. La Contessa dopo cinque mesi di cura medica, fu rinchiusa il 27 d'ottobre nel monastero di Tradate, dove sotto il nome di Francesca Teodora pronunciò i voti monacali. Il marito le fece fabricare due bellissime stanze per sua perpetua dimora. Ella vi pose piede con un aspetto sofferente, e con una angoscia repressa, ma le era duopo rassegnarsi al destino. Quando si vide sola e deserta, e le si affacciò alla mente che quello dovea essere il suo ultimo asilo, si abbandonò al pianto e alla più tetra melancolia, cui solo rattemprarono a poco a poco le pietose cure delle suore. Ma sia che il castigo paresse al Conte troppo mite, sia che di quando in quando si agitasse nella sua anima una fiera contesa tra il volere e il disvolere, discusso quanto poteva giovare e nuocere, e librate le ragioni del bene e del male, l'offesa e il perdono, ma più ancora la vendetta, dopo 20 anni di vita religiosa, la fece proditoriamente ammazzare. Perciò egli venne dannato nel capo con la simultanea perdita del feudo. Se non che i conti Paolo Camillo, Pietro Antonio e Luigi suoi figli, reclamarono per la conservazione in loro di quel diritto feudale, e ne ottennero novamente la investitura. Dal conte Pietro naque Giovanni Raimondo, uno de'60 decurioni di Milano, feudatario di Busto nel 1727, e morto nel 1740. Figli di questo Giovanni furono i conti Carlo e Paolo Camillo, ultimi feudatarii di questa famiglia.
Da Camillo Marliani6 che morì il 14 di aprile del 1738 senza moglie, nè prole, il feudo passò nella famiglia Gambarana, di cui fu nominato pe'l primo il conte Giuseppe il 24 di settembre del 1779. Egli tuttavia per mezzo di suo padre Girolamo, ne aveva già ottenuta promessa con lettera del 16 di aprile del 1770 dall'imperatrice Maria Teresa, la quale ricompensava in tal modo i meriti personali del conte Girolamo, ed i servigi resi dalla defunta di lui consorte, nipote di Camillo Marliani, come dama di Corte, alla principessa Maria Ricciardi, nuora dell'imperatrice. Difatti il 7 di ottobre del 1781, il suddetto Girolamo prendeva possesso del feudo, come tutore del figlio, e così vennero a riunirsi i due stemmi Gambarana e Marliani. In allora il Commune erasi obligato di corrispondere annualmente al Conte feudatario libre 12 di cera di Venezia a riconoscenza di sua rappresentanza7. Passato in appresso il feudo ai Cicogna, questi nel settembre del 1823 vendettero il palazzo al Commune, il quale nel 1851-52 con grave dispendio lo fece ingrandire in modo da potervi collocare li offici communali e distrettuali. Le nuove sue carceri attuate in quest'epoca su'l modello delle prigioni Mazas di Parigi, meritano d'esser visitate8.
- ↑ Così nei Cenni Storico-statistici su'l Borgo di Busto Arsizio del Dott. Ercole Ferrario.
- ↑ Que’ beni furono in appresso restituiti ai Trivulzio, compresovi il palazzo, in oggi proprietà della Principessa Cristina Belgiojoso de’ Marchesi Trivulzio, nel quale, oltre una collezione di preziosi oggetti d’antichità, trovasi un ricco medagliere ed una scelta biblioteca con un buon numero di manoscritti.
- ↑ Morì il Medici il 13 di novembre del 1526 a Governolo nella età di soli 28 anni combattendo contro li Spagnuoli presso il Po. Per la morte di lui i soldati scambiarono di nuovo le mostre bianche in nere, come avevano già praticato il 1 di dicembre del 1521 in occasione della morte di Leone X, donde poi presero il nome di bande nere. Da un carteggio inedito publicato per cura del professore Carlo Milanesi di Firenze nell’Archivio Storico italiano (V. le disp. 14, 15, 17, 18 della nuova serie) si ritrae meglio che d’altra fonte il carattere risoluto, impetuoso e terribile di Giovanni Medici, la cui breve vita fu solo occupata a scorrer quà e là ai servigi di quel principe che gli avesse offerto più largo stipendio.
- ↑ Penso che il duca abbia voluto con questa espressione comprendere, non solo il guado propriamente detto, ma anche ogni altro vegetale tintorio. Infatti Busto aveva allora molti tintori e conciapelli
- ↑
Aloysio Maritano
Equiti ex Collegio Mediolani Clarissimo
Eximiis Roma Privilegiis Ornato
Apud Clementem VIII
Et Apud Paulum V. PP. Max.
Susceptis Universa Urbis Partibus
Praeclara Legatione Perfuncto
Amplissimis Inde Honoribus Habitis
Quam Comitis Provinciam Adeunti
Addictissimi Ut Par Erat Oppidani
Portam Hanc In Obsequium Monumentum
Construebant
Anno Sal. MDCXIII
Comes Carolus Marlianus
Adventuro Em. Cardinali Archiepiscopo
Benedicto Odescalcho
Velustam Ad Magnificentiam Exutam
Restaurabat
Anno Sal. MDCCXXVII - ↑ Il podestà, il notaio criminale ed il bargello erano nominati, come appare da un atto del 3 di marzo del 1772, dal feudatario conte Camillo Marliani. L'attuario civile invece nominavasi dalla Communità, ed aveva l'annuo stipendio di 80 lire con l'obligo di stendere li istromenti e le altre scritture di cui quella abbisognasse, senza alcun'altra ricompensa. La feudale Pretura di Busto Arsizio aveva giurisdizione sopra la Cascina del Piede, frazione di Nerviano. Il podestà era in quel tempo il dottor Carlo Luino.
- ↑ Vedi l'istromento del 23 di aprile del 1791 di transazione tra il feudatario Gambarana e la rappresentanza communale di Busto Arsizio rispetto alle ragioni feudali.
- ↑ Così nella Grande illustrazione del Lombardo Veneto diretta dal cav. Cesare Cantù.