Busto Arsizio - Notizie storico statistiche/Parte I/IV

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IV.


Scorsa di Facino Cane — Republica Ambrosiana — Governo de’ primi Sforza
— Erezione di Busto in Contea (Galeazzo Visconti primo feudatario)


Mi duole che durante il secolo XIV, all’infuori di qualche pergamena che risguarda i trapassi di beni delle monache Umiliate del borgo, non mi fu dato di rinvenire documenti di notabile importanza.

Nel mese di febraio dell’anno 1408, essendo duca di Milano Giovanni Maria Visconti, il celebre conduttiere d’armi Facino Cane, che aveva dovuto abbandonare la [p. 23 modifica]città per essersi inimicato il principe, si attendò con grosso esercito su le sponde del Ticino, e v'inalzò diverse bastie, colle quali interroppe e danneggiò il commercio tra quella regione e la città di Milano. Quivi sprovisto di vittovaglie, cercò procacciarsele per mezzo di una escursione militare, movendo con circa mille soldati a cavallo alla volta di Busto. Ciò saputo, il capitano Benedetto da Marano vicario del Seprio, ne avvertì il Duca di Milano, chiedendogli soccorso con lettera del 4 di aprile del 1408 (Doc. N. 3). I Bustesi alle minaccie di Facino opposero coraggiosamente le armi, pronti per non romper fede al Duca a sostenere la morte più sanguinosa. Circondarono quindi il borgo con uno steccato ed un secondo terrapieno, e vi scavarono all'ingiro una fossa molto profonda, sicchè solo si potesse accedervi per ponti levatoi, e quattro porte sempre chiuse. Liberali i borghigiani dall'imminente pericolo, attribuirono con facile credenza la loro salvezza alla potenza dei Re Magi, in cui onore votarono solenni processioni nei tre giorni precedenti la festa dell'Epifania, e a memoria di questo fatto rimane un frammento d'iscrizione su l'arco della porta intitolata dei tre Re Magi che così incomincia:

Perge tuos venerare deos: fuge crimina mortis,
Sicque dabunt et opes et sua dona soli.
Servarunt, neque adhuc quis spoliavit in armis.
Imbribus, aut alia mars ope fugit atrox,
Vertere tota ducis se credidit ira Facini.
Quo tibi castrorum more stat agger adhuc.
Quos supplex precibus reges, votisque vocaras,
Visi sunt et opem contribuere Magi:
Fugit: ubi vidit non cum mortalibus ullis
Sed se cum superis belligerare viris

1. [p. 24 modifica]

Il linguaggio degli antichi monumenti e delle iscrizioni ove scarseggiano, come qui, rende preziosi anche i pochi avanzi scampati agli insulti dei secoli e dei politici rivolgimenti. La storia di un borgo o di un villaggio ha di solito le sue radici in que’ ruderi da cui nascono le tradizioni e le leggende.

Morto Duca Filippo Maria Visconti, ultimo di questo casato, sorsero varii pretendenti al trono di lui. Primeggiava fra essi Carlo, duca d’Orleans, figlio della Valentina Visconti; Luigi, duca di Savoja, fratello della vedova duchessa di Milano, il re Alfonso di Napoli, chiamato a successore con testamento dell’estinto Duca; e infine Francesco Sforza, marito di Bianca Maria Visconti. Intanto i Milanesi per eccitamento del giurista Bartolomeo Morone si eressero in republica, chiamata dagli storici Ambrosiana, eleggendo perciò a formare il supremo consiglio 24 capitani e difensori della libertà, toltine quattro per sestiere. Ma la cresciuta potenza del conte Francesco sempre anelante alla corona ducale, seppe minare quella republica che, dopo una vita di soli trenta mesi, gli si dovè sottomettere. Su ’I principio di quel governo lo Sforza, condutto parte del suo esercito a Legnano, lo distribuì nelle case, indi s’avviò con una mano dei più scelti e valorosi alla volta di Busto Arsizio. Accortosi egli che il castello, allora tetenuto da Filippo Visconti figlio di Gaspare, a nome dei Milanesi, non poteva opporre una valida resistenza, divisò di stringerlo d’assedio. Ma su le prime per le continue pioggie fu costretto a retrocedere. L’avverso elemento però non rattenne lo Sforza dall’assalire un’altra volta il borgo; anzi vi si preparò con tutte le sue forze, determinato, purchè riuscisse, ad abbracciare ogni estremo espediente di guerra. I Bustesi in allora non scorgendo [p. 25 modifica]alcuna via di scampo, nè meno con una disperata difesa, risolvettero di mandare allo Sforza ambasciatori che offerissero la resa. Avendo il Conte accettato, il castellano consegnò nelle di lui mani le chiavi del castello, e parecchi nobili che vi dimoravano si dichiararono a lui devoti. Pago il vincitore di quest’atto di sommissione, vi lasciò a guarentigia un presidio di soldati. Ciò per altro fu un mero effetto della necessità giacchè rimane una relazione di vive pratiche tenute nel 1449 dai borghigiani per la cessione di Busto alla republica di Milano (Doc. N. 4). Se i Bustesi poi fossero in ciò tutti d'accordo, lo chiarisce una grida del 27 di aprile, segnata da Giovanni d'Ossona e dal celebre Decembrio, ove, tra molti altri, leggonsi i nomi dei ribelli alla Communità di Milano, per essersi opposti alla restituzione di Busto2. Questi erano Giovanni Crivelli detto il Pignatta, Giorgio Crivelli figlio del fu signor Bartolomeo, Paolo Lampugnano detto l'Astolfetto, Tomaso Lampugnano del fu Giovanni, Asmeto de'Galazii e suo figlio Giovannolo, e persino il podestà stesso di Busto, Jacopo de'Trecchi.

E qui mi piace addurre alcuni particolari di quanto avvenne nelle vicinanze del nostro borgo durante la tregua conchiusa tra i Milanesi e gli Sforzeschi, publicata in [p. 26 modifica]città nel 1449 al 16 di ottobre, e sciolta poi il 14 del seguente novembre. I Milanesi ridutti a non aver quasi più nulla per nutrirsi si gettarono su varii villaggi della campagna a far preda. «In prima, (cosi un documento contemporaneo inedito)3 rubarono nel luoco di Cantalupo vino, biava ed altre cose che valeno flor. 300. — Item in lo loco de Lainate hanno rubato nel mese di ottobre in più et più volte vino et biava che valeno flor. 600. — ltem a dì 20 di ottobre hanno rubato a Perotti degli Ambroni da Parabiago su la strada andando a Busti tre boy che valeno flor. 48. — Item sono venute più di 5000 femene fuora de Milano su la pieve di Nerviano et Parabiago et hanno rubato una gran quantitate de uve, le quali hanno portato a Milano.» Segue pure l'enumerazione di altro bestiame, di varii oggetti di vestiario, e di cereali tolti in Saronno, Uboldo, Gallarate, Castelletto, Gola Secca, Valcuvio, Ferno, Cerro, Melzo, Lacchiarella, Binasco, Cavanago, Passirana, Burago, Bellusco, Camuzzago, Oreno, Vellasca, Busto piccolo e Busto grande.

Una supplica dei consoli e consiglieri di Busto ai duchi di Milano Giovan Galeazzo Maria e Bona Sforza del 12 di dicembre del 1480 m'instruisce su la condizione del borgo in quanto all'ordine, ed alla publica sicurezza. Molti borghigiani, e, fra questi quaranta, che erano consoli e consiglieri, presentarono ai detti principi, nell'occasione che lo avevano onorato di una loro visita, delle querele contro alcuni malfattori che vi abitavano. Furono perciò date lettere ducali al podestà di Busto, che lo autorizzavano a pigliare e processare tali [p. 27 modifica]pericolosi suggetti; epperò il podestà tenne per più giorni nel borgo un buon numero di provisionati per mettere loro le mani addosso. Ma questo espediente fu inutile, perchè i ricercati eransi posti in salvo con la fuga, massime essendosi fatte publiche gride promettenti 80 ducati di premio a chi ne avesse consegnato uno vivo, e 25 se morto. Scorsi alcuni giorni, taluno de'fuggiti osò tornare a casa, e sostenuto da persone d'egual tempra, mostrava di beffarsi delle lettere ducali e delle gride, e prorompeva in minacce. Lo stesso facevano anche li assenti e massime contro i consoli e i consiglieri della terra, a cui non sapevano perdonare la denuncia derelitti da loro commessi, ed asserivano che, al ritorno, si sarebbero vendicali. Intimoriti quindi i consoli e i consiglieri, per assicurare la tranquillità e l'usato commercio del borgo si rivolsero di nuovo al Duca, acciò que'facinorosi fossero posti al bando in perpetuo. Non avendo per altro rinvenuto nel carteggio dell'epoca la risposta ducale, nè altro documento in proposito, mi resta ignoto l’esito della cosa.

Due anni dopo, cioè il 26 di febraio del 1482, Daniele Crespi 4 podestà di Busto communicò a Giovanni Botta, consigliere ducale, nel castello di porta Giovia, che per quattro anni consecutivi eransi scossi, per il dazio dell'imbottato, lire mille imperiali ogni anno; e per il pane, il vino e la carne, lire seicento, ma che nel successivo ben poco aveva ricavato. Circa poi all'entrata sui dazii di Lonate Pozzolo, era d'avviso, che ammontasse a lire mille imperiali. In questo stesso secolo finalmente da una supplica senza data s'impara che Pietro Lupi di [p. 28 modifica]Busto Arsizio era appaltatore della decima del fodro forestiero.

Come è noto, i più antichi feudatarii dell'agro milanese erano i corpi religiosi d'ambo i sessi, ed è accertato che in mezzo a deficienza di leggi, e nel silenzio delle opinioni i soli ministri del Vangelo consigliavano mansuetudine ed amore. Infatti li ecclesiastici, salvo qualche eccezione, esercitarono i diritti feudali con maggior mitezza degli altri, e lo afferma anche il Vico (Scienza nuova) dicendo «che li uomini per timore d'essere oppressi o spenti, come in tanta barbarie più mansueti, essi si portavano dai vescovi, e dagli abbati di que'secoli violenti; e ponevano sè, le loro famiglie, e i loro patrimonii, sotto la protezione di quelli, e da quelli vi erano ricevuti, la qual suggezione e protezione sono i principali costitutivi de'feudi.»

La proprietà feudale poi si estese anche ai laici, e giunse al massimo grado durante la monarchia spagnuola. I signori nelle terre di loro sudditanza commandavano sì ai nobili, e sì ai plebei, emanavano leggi, e spettava loro persino la nomina del podestà e dei consoli.

Prima che Busto fosse eretto in contea, si afferma dal Crespi cronista, ch'esso fosse governato da Giovanni Borromeo, e ne adduce in prova lo stemma di questa famiglia, che una volta vedevasi su le pareti della porta maggiore del tempio di Santa Maria, e del quale oggidì non rimane pur vestigio.

Ma ecco le prime notizie riguardanti il nostro borgo, come possesso feudale. Da un documento del 21 di giugno del 1488 in data di Pavia (Doc. N. 5) si vede che il duca Giovanni Galeazzo Maria Sforza coll'autorità di Ludovico il Moro, suo zio, investì Galeazzo Visconti, suo consigliere, del feudo di Busto [p. 29 modifica]Arsizio con titolo di Contado per lui, e suoi figli, e discendenti maschi legitimi. E qui non posso tacere come il Bombognini, e chi si è giovato in appresso delle notizie da lui raccolte, abbia, nel riferire questo fatto, scambiato Ludovico il Moro con Ludovico XII re di Francia, che non era ancor salito al trono, asserendolo autore della anzidetta investitura5. Li ultimi anni però di questo primo feudatario furono contristati da casi guerreschi.

  1. Così stanno in un manoscritto che si conserva nella biblioteca Ambrosiana; e fanno parte di un'ode di Alberto Bossi dedicata ai Bustesi.
  2. Ecco la grida:
    MCCCCXLVIIII DIE XXVII APRILIS.

    De comandamento de li illustri capitanei et defensori de la libertate, ecc. Si fa crida et avvisamento che qualuncha persona de quale grado e stato e condicione voglia se sia habia o sapia dove sia beni mobili e immobili de li infrascritti quali sono rebelli de la excelsa comunitate de Milano li presenta havendoli presso de se o gli notifica fra tri dì a li sindici de la prefata comunità sotto pena de la forca. El nome de quali rebelli sono questi (V. sopra). Notificando che ciascuno subdito de questa comunità sia ove si voglia che darà recepto o favore alcuno cadarà in quella medesima pena.

  3. È una relazione di Pietro da Norsa capitano del Seprio, e commissario per incarico di Francesco Sforza.
  4. Non va confuso co'l celebre pittore Daniele Crespi, nato a Busto un secolo dopo.
  5. Galeazzo Visconti compare co'l titolo di conte anche in una lettera dell'8 di aprile del 1510 a favore del nominato Daniele Crespi.