Atto II

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Atto I Atto III
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ATTO SECONDO.

SCENA PRIMA.

Giustiniano e Belisario.

Giustiniano. Perchè sì mesto e sì dolente in viso,

Belisario, ti scorgo? Se l’interna
Passion mi celi, l’amicizia offendi.
Belisario. E s’io la svelo, il mio dolor s’accresce.
Giustiniano. T’inganni; allor ch’è più nascosto il duolo,
Più l’anima tormenta; altrui narrando
La pena sua, può rimediarvi il core.
Belisario. Ma s’è senza rimedio il male mio,
Che mi giova narrarlo?
Giustiniano.   E Giustiniano
Sì scarso fia d’autorità in Bisanzio,
Che consolar l’amico suo non possa?

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Belisario. Temo che no. Non ha poter sul core

D’una donna crudel ragione o impero.
Giustiniano. Ami tu dunque?
Belisario.   Ah! che pur troppo il disse
L’incauto labbro!
Giustiniano.   E la tua pena è amore?
Belisario. Amor è il duolo mio.
Giustiniano.   Forse non t’ama
La beltà che tu adori?
Belisario.   Anzi mi fugge.
Giustiniano. E vi sarà donna superba o insana
Che disprezzi l’amor di Belisario?
Che aborrisca il suo letto?
Belisario.   Ah! v’è pur troppo.
Giustiniano. È di Grecia costei?
Belisario.   No; ma dimora
Sotto di questo ciel.
Giustiniano.   Le palesasti
La fiamma tua?
Belisario.   Già da gran tempo è noto
Alla bella tiranna il foco mio.
Giustiniano. È nobile o volgar?
Belisario.   Di sangue illustre.
Giustiniano. Il nome?
Belisario.   Oh dio!


SCENA II.




Narsete e detti.



Narsete.   Signor, l’Italia chiede
Un capitan che in nome tuo la regga;
Fra’ tuoi fidi vassalli aspiran molti
All’onorato fregio. Eccot’in questi
Fogli le loro preci e i nomi loro.

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Giustiniano. Belisario, quei fogli a te consegno;

E di scegliere a te l’arbitrio resti.
Sappia la Grecia, Italia e il mondo tutto,
Ch’è il mio poter nelle tue man riposto.
Belisario. Troppo, signor, tua generosa destra
Favorisce un vassallo.
Giustiniano.   Or Belisario
Più vassallo non è. Con un tal nome
La dignità di Cesare si offende.
Belisario. Ma un tal nome, signor, di troppo eccede
La mia condizion.
Giustiniano.   Degno ti rende
La tua virtù di dominar la terra.
L’impero a me tu conservasti, ed io
Teco divido di tue glorie il frutto.
Quest’opra adempi; indi a me torna, amico,
A terminar la tua dolente istoria. (parte

SCENA III.

Belisario e Narsete.

Narsete. Capitano glorioso, infra que’ fogli

V’è pur quel di Narsete. Io che cotante
Prove ti diedi di valor, di fede,
Sperar potrò non rimaner deluso?
Belisario. Questi son tanti eroi; son tutti degni
Del governo d’Italia, anzi del mondo;
Nè esser giusto poss’io con uno solo
Senza rendermi agli altri ingiusto, ingrato.
Deciderà la sorte; io già confondo
Questi onorati fogli; e tu, Narsete,
Uno a sorte ne prendi e quel fìa scelto.
Narsete. Obbedisco al tuo cenno. Eccot’il foglio.
Belisario. Questi l’eletto sia: Filippo.

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Narsete.   (Oh sorte!)

Signor, è tuo nemico.
Belisario.   Belisario
Non ha nemici, e se ne avesse ancora,
Con atto vil non ne faria vendetta,
E vano il replicar, s’oggi la sorte
Ha deciso per lui. Vada Filippo
Al governo d’Italia.

SCENA IV.

Filippo e detti.

Filippo.   (Oh dei! Che sento?

Per rapir l’idol mio si vuol ch’io parta?) (in disparte
Narsete. Se destini così...
Belisario.   Così destino.
Vanne pur a Filippo, ed in mio nome
Recagli il suo destino in questo foglio...
Filippo. Ma risponde Filippo a Belisario, (avanzandosi
Che schernendo il destino, il foglio indegno
Ei lacera e calpesta, e che in Bisanzio
Resterà a suo dispetto.
Narsete.   (Oh stravaganza!) (da sè
Belisario. Perchè sì fiero e minaccioso in tempo
Che d’un chiesto favor la grazia ottieni?
Tu stesso il foglio segni; al trono augusto
Di Cesare il presenti, in dono chiedi
Il governo d’Italia; oggi fra tanti
Che lo chiedono pur, tu sei l’eletto,
E ti lagni? di che? qual ira è questa?
Filippo. Abbastanza comprendo il tuo disegno.
Segnai quel foglio, è ver; ma da che vidi
Il decreto avvilir del Greco soglio.
Io richiesi, egli è ver, d’Italia il freno,

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Ma il feci allor che non sapea d’avere

Belisario rivale anco in amore.
Belisario. Io rivale in amor?
Filippo.   Sì, queir Antonia
Che ami cotanto, anch’io costante adoro;
E se pria nol sapesti, ora tel dico.
Belisario. (Ecco colui per cui sprezzato io sono). (da sè
Filippo. Lascia dunque d’amarla, o in me conosci
Un tuo fiero nemico.
Belisario.   Audace tanto
Al suo liberator parla Filippo?
Non ti rammenti, ingrato, che da’ lacci
Belisario ti trasse?
Filippo.   I ceppi miei
Per sicurezza tua cauto sciogliesti;
Sai che il carcere mio costar potea
A te la vita, ed all’impero tutto
Un eccidio fatal; che mal sofferto
Avrian gli amici miei le mie catene.
Ma comunque ciò siasi, ora, superbo,
Co’ rimproveri tuoi perdesti il merto.
Belisario. Anima vil, la sconoscenza è colpa
Detestabile, odiosa anco fra belve.
Narsete. (Chi vide mai uom più feroce al mondo?) (da sè
Filippo. Dimmi, pretendi tu ch’io sborsi il prezzo
Della mia libertà? Vuoi la mercede
Dell’opra tua? Quella metà di soglio,
Che Cesare ti diè, goditi in pace.
Non parlerò; non moverò de’ Greci
Gli animi a vendicar l’onor del trono.
A me basta regnar nel cor d’Antonia;
Questa sola mi lascia, io tutto il resto
Volentieri ti dono.
Belisario.   Il soglio dunque
Di Grecia è cosa tua? Tu me lo doni?

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Perdonami, signor, non sapea quanto

Debito avessi al liberal tuo core.
Filippo. Questi scherni non soffro. O cedi tosto
Agli amori d’Antonia, o questo ferro
La gran lite decida. (impugna la spada
Narsete.   A qual cimento
L’ira ti spinge mai?
Belisario.   Tanto t’avanzi?
Rammentati chi son; guardami, e trema.
Filippo. Trema chi è vil. Risolvi, o cedi Antonia,
O all’offeso amor mio vittima cadi.
Belisario. Antonia adoro, e questo ferro insegni
A un temerario cor maggior rispetto. (impugna
Narsete. Ferma, signor; quel glorioso brando
Riserbato esser deve ad altre imprese.

(si frappone con la spada


Io punirò il fellon. Questa mia spada
Basta per raffrenar l’insano orgoglio.
Filippo. L’uno e l’altro venite; io non ricuso
Sostener con entrambi il fier cimento.

SCENA V.

Giustiniano con seguito, e detti.

 b                                                                              

Giustiniano. Olà! ne’ regj tetti, e come osate
Brandire il ferro?
Narsete.   In tuo nipote osserva
L’audace assalitor.
Giustiniano.   Superbo, ingrato,
Ti punirò. Non è di regia stirpe
Animo così vil. A me quel ferro,
E fra nuove catene or ti prepara
Finir i giorni tuoi.
Filippo. 8(Sorte crudele!) (getta la spada

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Prendilo pur; ma se un momento solo

Tardavi ancor, tinto saria di sangue.
Belisario. Avvenir ti potea forse il contrario.
Giustiniano. Dimmi: scegliesti ancor chi regger debba
Le provincie d’Italia?
Belisario.   Ecco in Narsete,
Se l’approvi, signor, l’eroe più degno.
Giustiniano. Fia legge il tuo voler. Narsete vada,
E sostenga con merto il grave pondo.
Narsete. (Oh inaspettata mia sorte felice!) (da sè
A te, signor. (a Giustiniano
Giustiniano.   Da Belisario devi
Riconoscere il dono; ei ne dispone.
Narsete. A te dunque mi volgo... (a Belisario
Belisario.   I merti tuoi
Riconobbi così. Nulla mi devi.
Narsete. (Oh felice destin!) (da sè
Filippo.   (Fremo di sdegno!) (da sè
Giustiniano. Narsete, andiam. Dell’italo governo
lo ti darò le leggi, onde quel misto
Popolo vario e quelle genti altere
Scuotano in vano l’orgoglioso capo.
Narsete. Io sieguo i passi tuoi.
Giustiniano.   Tu, Belisario,
Di Filippo disponi. Il suo destino
Penda dal tuo voler. S’egli t’offese,
Usa il regio poter nel vendicarti, (parte con Narsete

SCENA VI.

1

Filippo. Finchèe gira fortuna a tuo favore

L’iniqua ruota sua, non abusarti
De’ doni suoi. Da te pende mia vita.

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Che vuoi di più? Nelle mie vene immergi

La tua spada, e m’uccidi. Allor potrai
Del felice amor tuo goder in pace:
Ma sinchè io vivo son, non lo sperare.
Che fra catene ancor...
Belisario.   Filippo, ascolta.
Tu m’oltraggiasti, è vero; ardisti, ingrato,
Cimentarmi col ferro, e del mio dono
T’abusasti così, superbo, altero.
Belisario però non sa infierire
Contro un uom disarmato. A me sol basta
Vendicarmi di te col tuo rossore.
Compatisco l’amor che ti fe’ cieco,
E la fierezza tua scuso natia.
Prendi pur il tuo ferro. A te lo dono,
Ma rammenta d’usarlo in opre degne
D’uom valoroso. A prò del tuo monarca
Serbalo. A questo patto io te lo rendo.
Filippo. (Convien cedere al fato). Io lo ricevo
Da te, giacchè così vuol la mia sorte.
Contro a’ nemici miei giuro impugnarlo.
(Ma il mio più fier nemico è Belisario). (da sè, parte

SCENA VII.

Belisario solo.

Va pur, felice amante, in te rispetto

D’Antonia il cor, se in te il suo cor risiede.
Ella t’ama pur troppo; e quei confusi
Sensi de’ labbri suoi, quel guardo misto
Di pietade e fierezza erano chiari
Segni d’un nuovo amor. Donna crudele!
Belisario infelice! amor tradito!
Mie deluse speranze! empia, spergiura,

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Quest’è la fé promessa? Ti scordasti

De’ giuramenti tuoi? ma che mi lagno
Di lei che me non cura? è il mio destino
Che d’un sì bell’amor mi rende indegno.
Ma che farò? vederla? Ah! che non degna
D’udir mie voci. Tacerò? D’amarla
Ben poco mostrerei, s’io non parlassi.
Consigliatemi, stelle. Ah! che far deggio?
Sì, sì, l’ingrata abbia in un foglio almeno
I rimproveri miei. Con più coraggio
Seco mi lagnerò. Ma non si offenda
Con ingiurie il mio bene; ancorchè infida,
Merta dall’amor mio tutto il rispetto.
Guardie, scrivere io voglio. Alma, coraggio.
(gli vien recato da scrivere
Aita, o dei! Bella crudel. Crudele
Meco fosti pur troppo. Sì, il bel dono
Di baciarle la man pria di morire
Chiedasi almeno: se d’amarmi sdegna, (scrivendo
Non ricusi d’udirmi... Almeno sappia,
Che al mio rival salvai la vita... Amore,
Tu seconda il disegno. Amico, reca (ad una guardia
Questo foglio ad Antonia. Ah! voglia il fato,
Che d’aprirlo non sdegni. Oh dei! sen viene;
E mi sembra sdegnata. Il foglio ad essa
La guardia presentò. Non ho coraggio
D’avventurarmi al dubbioso incontro. (parte

SCENA VIII.

Teodora e Antonia.

Teodora. Un po’ più di rispetto al mio comando.

Antonia. Di che mai ti quereli? in che mancai?
Dacchè in Bisanzio ritornò il mio bene,
Una volta lo vidi; e tu che fosti

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Colà presente, ben sai come e quanto.

Or negarmi vorrai, ch’un di lui foglio
Possa leggere almeno!
Teodora.   Io vo’ negarti
Tutto ciò che m’offende. Belisario
Ti segue ad onta mia, tu a mio dispetto
Vorresti amarlo? No, non lo sperare,
Noi soffrirò giammai.
Antonia.   Ma qual ragione
Hai tu sul mio voler? D’Antiochia io venni
Teco suddita, è ver, ma non già schiava.
Servirti è impegno mio, ma non a costo
Di perder teco e libertade e vita.
Teodora. Tua sovrana son io, posso qual voglio
Dispor di te. Tu m’obbedisci, e taci.
Antonia. T’obbedirò; soffrirò tutto. Almeno
Lascia ch’io legga solo una volta il foglio2
Scritto dall’idol mio. Sappia io soltanto,
Se si lagna di me; se mancatrice
Mi crede all’amor suo.
Teodora.   Troppo t’avanzi;
Temerario è il desio. Taci, e obbedisci.
Antonia. Ma il foglio in le tue man...
Teodora.   Nelle mie mani
Questo foglio rimane. Oggi vedrai
A qual uso lo serbo.
Antonia.   Ah! se il tuo sdegno
Fulmini a me prepara, io non lo temo.
Ma se il mio ben ferir destina, oh Dio!
La man sospendi, e contro un innocente
Non infierir. Ma che rimiro! A questa
Volta sen corre il traditor Filippo.
Fuggo l’incontro, chè3 d’orrore agghiaccio, (parte

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SCENA IX.

Teodora e Filippo.

Filippo. Tanto non fuggirai, ch’io non ti giunga.

Teodora. Arresta il passo. A miglior uopo il cielo
Mandar non ti potea. Gran cose io deggio
Palesarti, o Filippo. Oggi l’onore
Di Teodora si tenta. (In questo punto
S’incominci la mia fiera vendetta). (da sè
Filippo. Tant’audacia in un cor? E chi esser puote
L’empio profanator del tuo decoro?
Teodora. Odi, e stupisci. Belisario è l’empio
Che ardì, folle, tentar la mia costanza.
Filippo. Egli Antonia adorava, or come in petto
Nuova fiamma nodrisce?
Teodora.   Un empio core
Ch’è già avvezzo ai delitti, orror non sente
Nel replicar le colpe: egli che puote
Arder d’indegno foco, ancor potrebbe
Amar due donne, o pur tradirle entrambe.
Filippo. Ma tu che pensi far?
Teodora.   Fiera vendetta
Contro un vili traditor, e col suo sangue
Lavar l’orrida colpa.
Filippo.   Il braccio mio
T’offro alla giusta impresa. E temp’omai
Che questo sole orgoglioso ecclissi.
Teodora. Tu che de’ miei grand’avi hai pur nel seno
Il regio sangue, ah! non lasciar che impune
Vada chi tanto Teodora offese.
Filippo. Cadrà quel disleal, lo giuro ai numi.
Misero Giustiniano! Apprenda, apprenda
A profonder più cauto i suoi tesori.
Oh inganno di chi regna! Oh di fortuna

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Troppo ingiusto costume! Ella ch’è cieca,

Belisario, se puote, oggi difenda
Dal braccio mio. Io gli destino un colpo
Che gli trarrà quell’empio cor dal petto.

SCENA X.

Giustiniano e detti.

Giustiniano. Come! Non sei tra’lacci? Ancor tu godi

Della tua libertà? Di Belisario
La soverchia pietade omai mi spiace4,
Chè il lasciar impunito un deliquente
Spesse volte è cagion d’altri delitti.
Questa è la prima volta ch’io m’oppongo
A Belisario; e s’ei ti vuole assolto,
Io ti condanno.
Teodora.   Cesare, rammenta
Chi egli è...
Giustiniano.   Lo sturbator della mia pace;
Un superbo, un ingrato, e perciò deve
La sua pena servir d’esempio altrui.
Filippo. Facciasi il tuo voler. Dure catene,
Prigion, tormenti e morte a me destina.
D’un delitto son reo, nè già l’ascondo.
Nemico son di Belisario; e questo
Colpevole mi rende; e pur dovrebbe
L’odiar un traditor dirsi virtude.
Giustiniano. Che dici? Un traditor?
Filippo.   Sì, Belisario
È un traditor; lo sosterrò.
Giustiniano.   Raffrena
La sacrilega lingua. Ha un’alma in seno
Ch’è d’incorrotta fè nido costante.

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Filippo. Ingannato tu sei. Cesare, ascolta

Queste che forse fian l’ultime voci
D’un che a torto condanni. Egli ha tradito
Quella fè; se cotanto...
Teodora.   Assai dicesti.
Taci, nè più turbar di Giustiniano
La bella pace, e d’un ch’ei cieco adora
Apprendi cauto a simular le colpe.
Giustiniano. Perdonami, Teodora, io sì insensato,
Io sì folle non son, che amar volessi
Chi dell’affetto mio degno non fosse.
Amo, è ver, Belisario, ma soltanto
Perchè lo scorgo di cuor puro e giusto.
Che se foss’egli reo, ben mi vedresti
Seco in odio cangiar tutto l’affetto.
Filippo. Oggi dunque comincia a odiar l’audace;
Belisario è già reo.
Giustiniano.   Se un altro fosse
L’accusator fuorchè Filippo, forse
Io potrei dubitarne; ma d’un reo
Non han forza le accuse, ed un reo tale
Che coll’ira s’è reso assai sospetto.
Filippo. Se a me creder non vuoi, credilo a questa
Oltraggiata tua sposa. Ella cogli occhi
Pria che col labbro Belisario accusa.
Testimon della colpa è quel suo pianto.
Giustiniano. Come! Piange Teodora? Amata sposa,
Qual parte hai tu col delinquente? O quale
Parte hai tu nel delitto? Ah! non lasciarmi
Dubbioso così!
Teodora.   Pel duolo estremo
Posso il languido labbro aprire appena.
Filippo. Oh! quanto, Giustinian, l’uomo s’inganna
Nelli giudizi suoi!
Giustiniano.   (Che sarà mai?) (da sè, agitato

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Teodora. Odi, sposo, signor, odi e stupisci.

Belisario infedel tentò sedurmi
Ad illeciti amplessi. Ardì l’audace
Di scoprirmi il suo foco.
Giustiniano.   Ah! un tanto eccesso
Creder non posso in Belisario. Ho prove
Tante della sua fè, che non mi resta
Luogo da dubitarne.
Teodora.   Io lo previdi
Che la cieca passion t’avria condotto
A giudicar la sposa tua mendace.
Credimi qual tu vuoi; se il delinquente
Non ardisci punir, saprò ben io
Con pubblica vendetta il mio decoro
A tempo risarcir. Farò col sangue
Pagar la pena al traditor vassallo.
Giustiniano. Facile troppo è l’ingannarsi, e l’occhio
Stesso talvolta a traveder conduce.
Un equivoco detto, o mal inteso
O mal interpretato, esser potrebbe
Causa d’un grand’error.
Teodora.   Leggi, e risolvi.
Il sacrilego foglio è a me diretto.
Belisario lo scrisse. In esso vedi
Ciò che creder negasti alle mie voci.
(Chi non sa finger, trionfar non speri). (da sè
Filippo. (Un foglio, v’è di più?) (da sè
Giustiniano.   Si legga. (Oh Dio!
La man mi trema; il labbro mio paventa.
Mi s’oscurano gli occhi, in mezzo al core
Un insolito orror nascer mi sento;
Superarlo convien; legger conviene)5
“Bella crudel, se il tuo rigor spietato

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“Mi condanna a morir, deh! lascia almeno,

“Che innanzi la mia morte imprimer possa
“Su tua destra gentile un umil bacio.
“Ama pur quel che ti destina il cielo;
“Ma giusto è ben, s’hai cor umano in petto,
“Che non nieghi ascoltar le mie querele;
“In ricompensa almen d’aver serbato
“Al tuo sposo felice e vita e pace,
“Ascoltami una volta e poi m’uccidi”.
Filippo. Or che dirai, signor?
Giustiniano.   T’accheta, e parti.
Teodora. Potrai più dubitar?
Giustiniano.   Lasciami solo.
Teodora. (Così paghi il superbo il mio disprezzo). (parte
Filippo. (Muoia così di cruda morte e infame). (parte

SCENA XI.

Giustiniano solo.

Belisario è che scrive? A Teodora

Questo foglio è diretto? Io non lo credo.
O Teodora è ingannata, oppur m’inganna.
Ei scrive, è ver; ma di Teodora il nome
Qui non vegg’io. Ad altra donna il foglio
Inviato ha forse Belisario amante.
Cotanta fellonia nel di lui seno
Temer non posso. Ma quel pianto amaro
Di Teodora sarà dunque un inganno?
Empia troppo sarebbe e troppo cruda.
Sposa è colei cui va diretto il foglio,
Ed allo sposo suo salvò la vita
Belisario, e la pace? Ah! che pur troppo
Parla di lei, parla di me l’indegno.
Sì, lo sposo son io. Barbaro, infido,

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Mi serbasti la vita e mi donasti

La pace, è ver; ma in ricompensa io stesso
Che non feci per te? Non ti bastava
La metà del mio soglio? il cor che teco
Diviso avea? Fellon... ma dove scorre
L’incauto labbro mio? Di Giustiniano
Non leggo il nome; e tante vite e tante
Prode salvò di Belisario il braccio.
Ah! che il correr sì tosto a condannarlo
Fora enorme delitto. Il cor mi dice
Ch’è innocente colui. Trovisi dunque,
Si confonda l’invidia; ed abbia al fine
Calunniata virtù premio e non pena.


Fine dell’Atto Secondo.

  1. Belisario, Filippo e guardie.
  2. Così si legge nell’unico testo dell’edizione Zatta.
  3. Nel testo si legge: perchè.
  4. Nel testo c’è qui il punto fermo.
  5. Nel testo, solo le parole Oh Dio! si trovano fra parentesi.