Filippo. Ingannato tu sei. Cesare, ascolta
Queste che forse fian l’ultime voci
D’un che a torto condanni. Egli ha tradito
Quella fè; se cotanto...
Teodora. Assai dicesti.
Taci, nè più turbar di Giustiniano
La bella pace, e d’un ch’ei cieco adora
Apprendi cauto a simular le colpe.
Giustiniano. Perdonami, Teodora, io sì insensato,
Io sì folle non son, che amar volessi
Chi dell’affetto mio degno non fosse.
Amo, è ver, Belisario, ma soltanto
Perchè lo scorgo di cuor puro e giusto.
Che se foss’egli reo, ben mi vedresti
Seco in odio cangiar tutto l’affetto.
Filippo. Oggi dunque comincia a odiar l’audace;
Belisario è già reo.
Giustiniano. Se un altro fosse
L’accusator fuorchè Filippo, forse
Io potrei dubitarne; ma d’un reo
Non han forza le accuse, ed un reo tale
Che coll’ira s’è reso assai sospetto.
Filippo. Se a me creder non vuoi, credilo a questa
Oltraggiata tua sposa. Ella cogli occhi
Pria che col labbro Belisario accusa.
Testimon della colpa è quel suo pianto.
Giustiniano. Come! Piange Teodora? Amata sposa,
Qual parte hai tu col delinquente? O quale
Parte hai tu nel delitto? Ah! non lasciarmi
Dubbioso così!
Teodora. Pel duolo estremo
Posso il languido labbro aprire appena.
Filippo. Oh! quanto, Giustinian, l’uomo s’inganna
Nelli giudizi suoi!
Giustiniano. (Che sarà mai?) (da sè, agitato