Al Polo Australe in velocipede/22. Il Polo Antartico
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CAPITOLO XXII.
Il polo Antartico.
L’audacia, la perseveranza, l’intelligenza del capo della spedizione avevano dunque trionfato! L’ardito tentativo di raggiungere l’estremo limite del mondo australe, passando coi velocipedi attraverso a quel continente, era pienamente riuscito, mentre erano fallite le spedizioni precedenti dei Weddell, dei Foster, dei Biscoë, dei Dumont d’Urville, dei Wilkes, dei Balleny e dei Ross, che avevano cercato di superarlo con le loro navi.
Ormai il polo sud non era più un punto misterioso, impenetrabile, per la spedizione americana. Quella regione, tanto avidamente cercata e discussa dai naviganti e dagli scienziati, si estendeva dinanzi agli occhi dei tre arditi velocipedisti.
Passato il primo slancio d’entusiasmo, si erano spinti fino al margine del grande campo di ghiaccio e guardavano avidamente quella regione sconosciuta, che forse non dovevano più mai rivedere, quasi volessero imprimersela in mente in modo che non potesse più a loro sfuggire.
Quel mare, che era perfettamente libero, pareva che dovesse avere una grande estensione, poichè le sue sponde, formate da grandi banchi di ghiaccio, si perdevano verso l’est e l’ovest e non potevansi scorgere quelle opposte. In mezzo, un’alta montagna, che sembrava inaccessibile, essendo tagliata quasi a picco, lanciava la sua vetta a oltre quattromila piedi. I ghiacci e le nevi la rivestivano, ma qua e là essa mostrava degli spazi aperti, delle rocce rossastre che sembravano di natura vulcanica.
Su quel mare, un numero infinito di pinguini, di diomedee fuliginose, di Micropterus cinereus, di Megalestris antarctici nuotavano o svolazzavano, mentre sulle sponde dei banchi si vedevano centinaia di foche che si scaldavano ai tiepidi raggi del sole, ed in lontananza alcuni orsi simili a quello che aveva assalito Peruschi. Tutti quegli uccelli non parevano affatto spaventati dalla comparsa degli esploratori. I pinguini venivano a giuocherellare vicino ad essi, guardandoli con curiosità ed i volatili volteggiavano in grandi stormi sopra di loro salutandoli con gioconde grida e si posavano a pochi passi senza manifestare il menomo timore. Anche le foche li guardavano placidamente e rimanevano sdraiate ai loro posti.
— Quanta famigliarità in questi animali! esclamò Blunt. Senza dubbio non hanno mai veduto uomini, ed ignorano le armi da fuoco.
— Siamo i primi a giungere qui, disse Wilkye. Ah! amici miei, quanto sono contento di questa scoperta, che gli storici ed i geografi tramanderanno ai posteri. Ormai il polo australe non è più una incognita!
— Ma questo mare, non permetterà a Linderman di giungervi?
— No, disse Wilkye. Questo è un mare interno racchiuso nel cuore del continente, io ne sono certo. Nessuna nave, a meno che non sia fornita di ali o di ruote, mai vi giungerà.
— Quale colpo per l’inglese, quando apprenderà che noi siamo giunti!...
— Se lo ritroveremo! Io temo assai per lui.
— E cosa, signor Wilkye?
— Io non lo so, ma ho dei sinistri presentimenti e sarà prudenza affrettare il nostro ritorno, amici miei.
— Non ci arresteremo qui, fra tanta abbondanza?
— Un ritardo di pochi giorni può esserci fatale, Peruschi. L’estate è assai avanzata, l’inverno non è lontano e la via è lunga per ritornare alla costa. È necessario affrettare la nostra partenza, poichè sono impaziente di rivedere Bisby ed i marinai. Per giungere qui abbiamo impiegato un tempo molto superiore alle nostre previsioni e più ne impiegheremo nel ritorno, ora che la macchina è inservibile. ....Anch’io, amici, desidererei arrestarmi qui parecchie settimane per fare numerose osservazioni e sciogliere tanti quesiti polari che la scienza attende dagli esploratori, ma un lungo soggiorno sarebbe forse la nostra perdita.
— Ci permetterete prima di fare un banchetto al polo australe, disse Peruschi. Vi è tanta selvaggina qui, che mi spiacerebbe di non approfittarne.
— Vi accordo ventiquattro ore di riposo. Intanto ch’io faccio uno schizzo di questa regione che noi mai più rivedremo, voi andate a cacciare.
— Non impiegheremo troppo tempo; qui basta aprire le mani per torcere il collo ai volatili. Andiamo, Blunt.
Mentre Wilkye faceva un disegno di quelle coste, di quel mare e di quell’alta montagna, i due velocipedisti si slanciavano attraverso al banco prendendo a schioppettate le pacifiche foche ed i volatili.
Mezz’ora dopo ritornavano portando con loro i fegati di tre foche e una mezza dozzina di oche la cui carne, quantunque nera, è stimata. La piccola lampada fu accesa e si misero ad arrostire i fegati. Vi aggiunsero una zuppa d’oca, sacrificando gli ultimi biscotti che ancora possedevano e sturarono l’ultima bottiglia di wisky che avevano religiosamente conservata per vuotarla al polo.
Quel pasto, improvvisato all’estremo limite dell’emisfero australe, sulla sponda di quel mare perduto fra quelle deserte regioni, fu quanto mai allegro. I tre esploratori brindarono parecchie volte alla patria lontana, agli amici che forse li ritenevano seppelliti sotto i banchi di ghiaccio, ed al polo.
— Quanti scienziati e quanti arditi esploratori, ci invidierebbero questo pranzo fatto qui, disse Peruschi.
— Ed anche quanti touristes, disse Wilkye. Noi, amici miei, ci troviamo in una posizione così bizzarra, che soddisferebbe qualunque persona. Non vi sembra infatti strano di aver pranzato in compagnia, mentre dovremmo essere separati da una grande distanza, da parecchie ore di rapidissima marcia?
— E perchè, signore? chiese Peruschi.
— Perchè noi ci troviamo seduti sopra un differente meridiano. Qui i migliori orologi sarebbero inutili, poichè indicherebbero tutti un’ora diversa, facendo tutti i meridiani capo ai poli. Mentre il mio cronometro segna le 2 pomeridiane, per voi, Blunt, sono le 3, per Peruschi le 4 ecc.
— Infatti avete ragione, signore, disse Blunt.
— Un’altra bizzarrìa: noi abbiamo pranzato in un punto del mondo che non ha nè il nord, nè l’est, nè l’ovest ma solamente il sud. Sapreste voi indicarmi i punti cardinali da qui?
— No, signore, disse Peruschi. Qui non vi è che il sud. La cosa è assai curiosa, ma vera.
— Ditemi, sono stati molti gli esploratori che hanno tentato di scoprire questo polo Australe? chiese Blunt.
— Parecchi, ma nessuno ha sorpassato i 78° 9' 90" di latitudine. L’olandese Gheritk, nel 1600 viene spinto verso il sud dalle tempeste e dalle correnti, e pel primo scopre le New-Shetland, annunciando al mondo l’esistenza di terre al di là del 64° di latitudine.
Nel 1772 il luogotenente Kerguelen, della marina francese, parte per le regioni australi e scopre l’isola che porta il suo nome. Credendo di aver approdato sul continente polare, rinnova il tentativo nel 1773, ma i ghiacci lo obbligano a ritornare.
Il 7 gennaio 1773, il famoso navigatore Cook, seguendo il 38° meridiano, giunge a 67° 30' di latitudine e l’anno seguente a 71° 15', ma lo scorbuto scoppiato fra i suoi equipaggi e le montagne di ghiaccio, lo costringono ad interrompere il tentativo. In quell’istesso anno, Resneret sbarcava a Kerguelen e ne prendeva possesso in nome del Re di Francia.
L’affermazione di Cook, che in quelle regioni si estendeva un grande continente, diede un novello impulso alle esplorazioni antartiche.
Abramo Bristol, nel 1806, si mette in mare, scopre le isole Aukland, vasto arcipelago che ha buoni porti, ma freddissimo e arido. Nel 1810 Federico Hazlebourg si slancia sulle tracce di Bristol e scopre l’isola Campbell, situata al sud delle Aukland.
Nel 1819 il russo Billinghausen si spinge fino al 70° di latitudine e scopre due isole che chiamò Alessandro I e Pietro I. Nel 1820 l’inglese Brunsfield è arrestato dai ghiacci al 65° di latitudine.
Nel 1820 il nostro compatriota Morrel giunge a 70° 14' di latitudine asserendo di aver scoperto il mare libero, ma pochi vi prestano fede e con ragione, esistendo qui un continente impenetrabile alle navi.
Nel 1822 Palmer, cacciatore di foche, scopre la costa che porta il suo nome e, nel 1825 Powell, scopre le Orcadi Australi, ma i ghiacci lo arrestano al 62° di latitudine. Nello stesso anno un altro pescatore di foche, l’inglese Weddell visita le Orcadi, le Nuove Shetland, la Terra di Sandwik già conosciuta da Cook, si avanza fra i ghiacci fino a 74° 15' di latitudine e il 34° 71' di longitudine. L’inverno lo costringe al ritorno, dopo aver scoperto due altre isole, quelle di Denin e di Marsereen, ma queste non vennero più ritrovate e si crede che abbia scambiato delle enormi montagne di ghiaccio per delle isole.
L’inglese Foster nel 1829, dopo aver scoperto l’isola Decéption, prende possesso delle terre australi a 63° 21' di latitudine e 66° 27' di longitudine.
Biscoë, col brik Tuba, nel gennaio 1831 scopre le terre d’Enderby fra il 60° e 70° di latitudine, vede l’isola Adelaide, e nel 1833 giunge su di una costa che chiama Terra di Graham.
L’inglese Balleny salpa per le regioni australi nel 1839, scopre le cinque isole che portano il suo nome, segue i ghiacci galleggianti, scopre la Terra Sabrina e avanzandosi più oltre si trova chiusa la via da monti che egli credeva di ghiaccio e che invece più tardi, Dumont d’Urville, riconobbe per monti del continente polare situati sulla costa Clarie.
Contemporaneamente l’inglese Wilkes ed il francese Dumont d’Urville tentarono pure di giungere sul continente australe. Quest’ultimo poi che era partito nel 1838 colle corvette Zélée e l’Astrolabe, volendo cercare il mare libero scoperto da Weddell, si era trovato invece dinanzi ad un enorme bastione di ghiaccio. Costeggiandolo raggiunge le Orcadi che erano cinte da immense montagne di ghiaccio, poi piega al sud, correndo il pericolo, per tre giorni interi, di far schiacciare le sue navi dagli ice-bergs, poi scopre una costa che chiamò Terra Luigi Filippo e Jonville e parecchie isole.
Essendosi ammalata la ciurma, ritorna verso il nord, ma l’anno seguente rinnova il tentativo in un punto diametralmente opposto, scopre una costa ed i suoi ufficiali, con una scialuppa sbarcano superando le barriere di ghiaccio e spiegano la bandiera. Quella terra era l’Adelia.
Costretto a navigare verso il nord, al 130° meridiano vede un’altra costa che chiamò Terra Clarie, ma non potè approdare, anzi i suoi ufficiali ritenevano che fosse un enorme campo di ghiaccio.
Intanto Wilkes che era partito dall’Australia con un rapidissimo viaggio, era giunto al 61° di latitudine, poi al 64°, e sbarcava sulla Terra Clarie, confermandone l’esistenza.
Essendosi guastata una delle sue navi, la rimandava in Australia e col Porpoise e il Vincennes continuava l’esplorazione. Al 147° di longitudine trovava un mare sgombro dai ghiacci; si avanza fino al 67° fra due terre che parevano formassero un profondo golfo e giunge sulla Terra Adelia.
Assalito da tremende burrasche di neve, ripara in un canale, poi scopre il capo Caer della Terra Clarie, indi si mette in cerca della Terra d’Enderby, ma la stagione era ormai troppo avanzata e dovette ritornare.
Ed eccoci a Giacomo Clarke Ross, che fu l’ultimo degli esploratori del polo australe, ma anche il più fortunato, poichè si avanzò verso il polo più di tutti.
— Senza scoprirlo però, disse Peruschi, che ascoltava attentamente.
— Senza scoprirlo, rispose Wilkye, tuttavia giunse a sole seicento miglia, a ben breve distanza, come vedete.
Questo valente navigatore, che più tardi doveva distinguersi anche al polo settentrionale, era partito dalla Terra di Wan Diemen, colle navi Erebus e Terror, dopo d'aver ottenuta una carta delle regioni australi da Wilkes. L’11 febbraio 1841 scopriva una costa montuosa che chiamò Terra Vittoria, sbarcando su di una isoletta che chiamò Possession.
Non trovando vestigia di vegetazione, scese al sud e a 78° 7' di latitudine e 168° 12' di longitudine scopriva l’isola Franklin, poi il vulcano Erebo, alto 4000 metri, ed in piena attività, il vulcano Terror che era spento, poi si vide arrestato da un’immensa barriera di ghiaccio, mentre sperava di poter giungere all’80° di latitudine.
Cercò un luogo da svernare a 78° 4' di latitudine per visitare il polo magnetico da cui distava soli 90 chilometri, ma fu costretto a tornare al nord. Cercò allora una terra che Wilkes diceva aver veduta, ma non la trovò in alcun luogo, e dopo cinque mesi ritornava a Wan Diemen.
Ripartito nel gennaio 1842, fu chiuso dai ghiacci galleggianti per quattro settimane, poi essendosi liberato durante una terribile tempesta, potè giungere a 78° 9' 30" di latitudine, che fu il punto più lontano toccato. Il 5 aprile ritornava al nord svernando alle Falkland, ma il terzo anno seguendo il 55° di longitudine scopriva la Terra di Jonville alla punta francese, poi una montagna che chiamò Etna rassomigliando al vulcano siciliano, e constatò che la pretesa Terra Jonville, altro non era che un’isola.
Più tardi scopriva l’Isola del Pericolo, quella di Cookburn, poi una costa notevole spingendosi fino al 71° 30' di latitudine, quindi assalito dai ghiacci fu costretto a fuggire e il 4 settembre gettava l’ancora nella baia di Folkestone. — Ora, amici miei, vuotate l’ultimo bicchiere e cercate di riposare, poichè domani partiremo per la costa.