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capitolo xxii. - il polo antartico | 209 |
Mezz’ora dopo ritornavano portando con loro i fegati di tre foche e una mezza dozzina di oche la cui carne, quantunque nera, è stimata. La piccola lampada fu accesa e si misero ad arrostire i fegati. Vi aggiunsero una zuppa d’oca, sacrificando gli ultimi biscotti che ancora possedevano e sturarono l’ultima bottiglia di wsiky che avevano religiosamente conservata per vuotarla al polo.
Quel pasto, improvvisato all’estremo limite dell’emisfero australe, sulla sponda di quel mare perduto fra quelle deserte regioni, fu quanto mai allegro. I tre esploratori brindarono parecchie volte alla patria lontana, agli amici che forse li ritenevano seppelliti sotto i banchi di ghiaccio, ed al polo.
— Quanti scienziati e quanti arditi esploratori, ci invidierebbero questo pranzo fatto qui, disse Peruschi.
— Ed anche quanti touristes, disse Wilkye. Noi, amici miei, ci troviamo in una posizione così bizzarra, che soddisferebbe qualunque persona. Non vi sembra infatti strano di aver pranzato in compagnia, mentre dovremmo essere separati da una grande distanza, da parecchie ore di rapidissima marcia?
— E perchè, signore? chiese Peruschi.
— Perchè noi ci troviamo seduti sopra un differente meridiano. Qui i migliori orologi sarebbero inutili, poichè indicherebbero tutti un’ora diversa, facendo tutti i meridiani capo ai poli. Mentre il mio cronometro segna le 2 pomeridiane, per voi, Blunt, sono le 3, per Peruschi le 4 ecc.
— Infatti avete ragione, signore, disse Blunt.
— Un’altra bizzarrìa: noi abbiamo pranzato in un punto del mondo che non ha nè il nord, nè l’est, nè l’ovest ma solamente il sud. Sapreste voi indicarmi i punti cardinali da qui?