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capitolo xxii. - il polo antartico | 207 |
dovesse avere una grande estensione, poichè le sue sponde, formate da grandi banchi di ghiaccio, si perdevano verso l’est e l’ovest e non potevansi scorgere quelle opposte. In mezzo, un’alta montagna, che sembrava inaccessibile, essendo tagliata quasi a picco, lanciava la sua vetta a oltre quattromila piedi. I ghiacci e le nevi la rivestivano, ma qua e là essa mostrava degli spazi aperti, delle rocce rossastre che sembravano di natura vulcanica.
Su quel mare, un numero infinito di pinguini, di diomedee fuliginose, di Micropterus cinereus, di Megalestris anctartici nuotavano o svolazzavano, mentre sulle sponde dei banchi si vedevano centinaia di foche che si scaldavano ai tiepidi raggi del sole, ed in lontananza alcuni orsi simili a quello che aveva assalito Peruschi. Tutti quegli uccelli non parevano affatto spaventati dalla comparsa degli esploratori. I pinguini venivano a giuocherellare vicino ad essi, guardandoli con curiosità ed i volatili volteggiavano in grandi stormi sopra di loro salutandoli con gioconde grida e si posavano a pochi passi senza manifestare il menomo timore. Anche le foche li guardavano placidamente e rimanevano sdraiate ai loro posti.
— Quanta famigliarità in questi animali! esclamò Blunt. Senza dubbio non hanno mai veduto uomini, ed ignorano le armi da fuoco.
— Siamo i primi a giungere qui, disse Wilkye. Ah! amici miei, quanto sono contento di questa scoperta, che gli storici ed i geografi tramanderanno ai posteri. Ormai il polo australe non è più una incognita!
— Ma questo mare, non permetterà a Linderman di giungervi?
— No, disse Wilkye. Questo è un mare interno racchiuso nel cuore del continente, io ne sono certo. Nes-