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208 | al polo australe in velocipede |
suna nave, a meno che non sia fornita di ali o di ruote, mai vi giungerà.
— Quale colpo per l’inglese, quando apprenderà che noi siamo giunti!...
— Se lo ritroveremo! Io temo assai per lui.
— E cosa, signor Wilkye?
— Io non lo so, ma ho dei sinistri presentimenti e sarà prudenza affrettare il nostro ritorno, amici miei.
— Non ci arresteremo qui, fra tanta abbondanza?
— Un ritardo di pochi giorni può esserci fatale, Peruschi. L’estate è assai avanzata, l’inverno non è lontano e la via è lunga per ritornare alla costa. È necessario affrettare la nostra partenza, poichè sono impaziente di rivedere Bisby ed i marinai. Per giungere qui abbiamo impiegato un tempo molto superiore alle nostre previsioni e più ne impiegheremo nel ritorno, ora che la macchina è inservibile. ....Anch’io, amici, desidererei arrestarmi qui parecchie settimane per fare numerose osservazioni e sciogliere tanti quesiti polari che la scienza attende dagli esploratori, ma un lungo soggiorno sarebbe forse la nostra perdita.
— Ci permetterete prima di fare un banchetto al polo australe, disse Peruschi. Vi è tanta selvaggina qui, che mi spiacerebbe di non approfittarne.
— Vi accordo ventiquattro ore di riposo. Intanto ch’io faccio uno schizzo di questa regione che noi mai più rivedremo, voi andate a cacciare.
— Non impiegheremo troppo tempo; qui basta aprire le mani per torcere il collo ai volatili. Andiamo, Blunt.
Mentre Wilkye faceva un disegno di quelle coste, di quel mare e di quell’alta montagna, i due velocipedisti si slanciavano attraverso al banco prendendo a schioppettate le pacifiche foche ed i volatili.